Indipendenza e balbettii

16 Ottobre 2010

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Marco Ligas

Il dibattito che si è sviluppato (nuovamente) in queste settimane sullo Statuto, sul come riscriverlo, sull’esigenza di una piena e compiuta indipendenza della Sardegna, sulla necessità del coinvolgimento di tutte le componenti della società, appare oggi come il solito balbettio di chi, per incapacità o per calcolo, intende raggirare il popolo sardo mostrando un falso interesse per i problemi reali che soffocano l’isola. C’è da chiedersi come i partiti che mostrano una totale subalternità nei confronti di chi detiene il potere, trovino poi la sfrontatezza di presentarsi come antesignani dell’indipendenza dell’isola.
Tutti gli schieramenti che sostengono la Giunta condividono questa doppiezza: inneggiano all’indipendenza ma, al tempo stesso,  omaggiano il loro comune padrone. Dentro questa contraddizione c’è anche il PSd’Az, nonostante i recenti tentativi tesi a conquistare, all’interno della coalizione, una maggiore autonomia. Si consoliderà questa esigenza? Certo è che i suoi dirigenti, nelle ultime elezioni regionali, hanno dato vita ad un rapporto forte con Berlusconi e non sono riusciti a scioglierlo nemmeno quando una Giunta screditata per i suoi legami con personaggi della P3 è entrata in crisi. Anzi ancora oggi si adoperano, pur rivendicando un ruolo più incisivo all’interno della Giunta, per una ricomposizione delle vecchie alleanze, ma non lo fanno sulla base di una politica che affronti qualcuno dei problemi relativi all’occupazione; la loro rivendicazione più importante sembra essere la visibilità all’interno della Giunta, ossia qualche assessorato in più, come se la preoccupazione di chi ha perso il lavoro venisse meno se nella stanza di comando i rappresentanti sardisti avessero  maggiore peso!
Ancora oggi, a distanza di quasi due anni dalla caduta della Giunta Soru, c’è chi sostiene che l’alleanza con Berlusconi si è resa necessaria a causa dell’autoritarismo dell’ex Presidente della Regione. Bella evoluzione nella politica delle alleanze! Eppure qualche alternativa il PSd’Az l’aveva e ancora ce l’ha: può valorizzare l’ipotesi che le alleanze politiche possono scaturire da un rafforzamento delle relazioni con la società civile, soprattutto quando si colgono e si assumono i bisogni degli strati sociali più in difficoltà. E in Sardegna, purtroppo, questi non sono assenti. 
Nel corso di questi mesi non passa giorno che le nostre città non vengano attraversate o dai lavoratori dell’industria messi in cassa integrazione, o dagli allevatori e dai contadini, o dagli studenti e dagli insegnanti precari. Tutti rivendicano migliori condizioni di vita, soprattutto una maggiore stabilità del lavoro e un adeguamento delle retribuzioni perché possano coprire le spese di tutto un mese. Tutte le manifestazioni si concludono davanti alle sedi delle istituzioni regionali dove i lavoratori chiedono di essere sentiti dai rappresentanti della Giunta o del Consiglio e sollecitano interventi che rispondano alle loro rivendicazioni. Spesso questi lavoratori non trovano un’accoglienza adeguata, il più delle volte la soluzione dei loro problemi viene rinviata e si crea così una frattura, una separazione tra politica e società civile. È la sconfitta della democrazia e l’esito delle ultime elezioni provinciali ha messo in evidenza i pericoli di questo processo.
Viene meno così una concezione importante, presente nella Costituzione, e poi ribadita in leggi successive, secondo cui le Regioni avrebbero dovuto essere enti di governo autonomo con un orientamento teso a legiferare e a programmare, nel tentativo di elaborare strategie in grado di attivare politiche di sviluppo e di coesione sociale. Questa prospettiva tarda a farsi strada e neanche le discussioni più accese, sui temi più importanti, svolte tutte all’interno delle stanze del potere, riusciranno a correggere la tendenza attualmente in corso.
Riscoprire o rilanciare il rapporto tra istituzioni partiti e cittadini, al di fuori di tentazioni plebiscitarie, è l’obiettivo più importante da conseguire; ma sono le componenti del centro sinistra che devono impegnarsi maggiormente per realizzarlo, agli altri schieramenti importa poco o niente. Ed è altrettanto importante rilanciare, insieme alla lotta per l’occupazione, quella per la democrazia nei posti di lavoro. Marchionne recentemente ha detto che chi si scandalizza del suo stipendio (400 volte maggiore del salario di un suo dipendente) non sa che lavoro (lui Marchionne) è obbligato a svolgere! Forse è vero, ma deve essere anche vero che lui Marchionne deve sapere poco della fatica di chi in fabbrica lavora senza tregua, senza consumare il pranzo, senza poter andare a far pipì quando ne ha bisogno, senza avere la possibilità di scioperare quando viene privato della libertà. È dalla lotta per l’affermazione di questi diritti che scaturisce la vera indipendenza, in Sardegna e altrove.

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