Non fare i guastafeste

16 Dicembre 2015
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Giulio Angioni

La diversità del mondo oggigiorno si riproduce dappertutto proprio nella sua diversità e pone dappertutto il problema della convivenza fra le diversità del mondo. Credo che negare o non tenere in conto questa diversità universale, che oggi si riproduce dappertutto, non sia un modo di trovare soluzioni positive alle problematiche poste da questa nuova situazione.

Riprendo qui un ragionamento cominciato su La nuova Sardegna a proposito della disputa nostrana su come e se festeggiare feste nostre e altrui nelle nostre scuole. Sostenevo appunto che tacere, ignorare, addirittura negare la diversità delle origini culturali degli alunni non è il modo migliore di affrontare questa relativa novità. Tanto meno lo è in ambiente scolastico multiculturale, soprattutto in una scuola primaria. La decisione del consiglio dell’istituto scolastico sassarese, e altre simili nei giorni scorsi, di evitare una visita dell’arcivescovo può essere considerata eccessiva. Si potrebbe persino definire una buona occasione mancata.

La diversità del mondo riprodotta anche nel centro storico di Sassari fa sì che anche questa scuola sia frequentata da bambini di varie provenienze, quindi anche di varie religioni e altre varietà culturali in compresenza. Perché finire per ignorare o negare o non fare propria in positivo proprio questa molteplicità anche religiosa? Non è certo semplice, sebbene inedito in Italia, ma è proprio una attenta e serena accettazione, anche pedagogica, di questa pluralità che si deve mettere in conto in positivo. Una scuola che faccia propria in positivo la pluralità religiosa, e non solo, è urgente in Italia. Finora si è giocato duro solo con negazioni o rimozioni, ma è tempo di provare l’inclusione, l’arricchimento culturale, l’apprezzamento della pluralità compresente e comunque efficiente.

Che fare in pratica? In quel consiglio d’istituto avrei sostenuto l’opportunità di trovare modi di celebrare tutti insieme in comune certi aspetti tradizionali della nostra ricorrenza natalizia, magari col tanto altrove contestato presepio, magari anche benedetto dall’arcivescovo, ricevendone la visita natalizia in attesa di ricevere quella di un imam per la fine del Ramadan o di un rabbino per la Pasqua ebraica o il Kippur e così via: insomma, festeggiando con certi aspetti e in modi acconci feste altrui importanti come il nostro Natale, cioè le feste principali delle varie religioni degli alunni di una scuola, o di una classe. Non dunque proibire di cantare Tu scendi dalle stelle, ma semmai cantarlo tutti insieme. E non togliere crocifissi, ma semmai aggiungere in compresenza altri simboli visivi delle altre fedi e pratiche religiose. Non sarà proprio facile all’inizio, ma nemmeno difficile, se si è attenti e rispettosi e non si pretendono accettazioni e inclusioni non previste dalle varie pratiche e credenze. Nessuno certo pretenderebbe organizzare a scuola battesimi per i musulmani o circoncisioni per i cristiani.

I bambini stessi riconoscono senza drammi e fanno propria, anche con interesse e divertimento genuino, proprio la loro pluralità religiosa, per esempio appunto mettendo in comune vari aspetti delle varie feste maggiori delle loro religioni d’origine. Gli insegnanti, in collaborazione con le famiglie e le eventuali figure leader locali delle varie religioni, non faranno fatica a trovare cosa e come e quando “festeggiare” a scuola delle principali ricorrenze religiose degli alunni. Tutti le religioni, anche le più esclusiviste ed esoteriche, hanno pratiche condivisibili con chiunque e magari da chiunque, tanto più da bambini e ragazzi.

E dunque ben vengano le piccole e accorte celebrazioni scolastiche comuni a tutta una classe o all’intera scolaresca, senza che nessuno si debba appartare o negarsi a qualcosa che può essere di tutti, come farsi gli auguri o consumare tutti insieme un dolce festivo tradizionale offerto dalle famiglie per quell’occasione, osservare o partecipare a una piccola danza rituale, indossare un ornamento del corpo o esporlo negli ambienti, scambi di doni tipici della circostanza, cose così, che dappertutto fanno festa, animano la compagnia e aumentano il reciproco conoscersi.

Niente del genere, peraltro, sarebbe altrettanto possibile oggigiorno in chiesa o in sinagoga o in moschea, ancora più o meno off limits per pratiche e culti di altre religioni. Ma a scuola è possibile e auspicabile. Basta incominciare. Poi il continuare viene abbastanza da sé. Per cose così, scambi di usi e costumi, in Sardegna non si parte certo da zero, come accade in tanti altrove dove il mondo si riproduce anche di più nelle sue variazioni su ogni tema del vivere. Ma nella scuola qui come altrove pare proprio che debba, e possa, essere un inizio di qualcosa di necessario, come le buone maniere, come il rispetto reciproco, come la voglia di sapere e di conoscere quella admirabilis ac pene incredibilis dissimilitudo di cui parlavano gli umanisti del Cinquecento europeo alla scoperta dell’America e delle genti americane.

Del resto non mi sto inventando niente. Ciò è quanto si fa da decenni in molte scuole primarie di Londra o di Stoccolma. Ed è quanto è successo anche a mio figlio, durante un nostro soggiorno a Reading. Sono testimone del genuino apprezzamento dei ragazzini per i cibi, gli ornamenti, i canti festivi induisti, islamici, buddisti, quanto per quelli caraibici e per le Christmass Carols anglicane e il presepio e l’albero e i regali e così via. Dunque, perché no? Che le feste incomincino e crepino i guastafeste.

Foto di Francesca Corona

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