Paesaggi elettorali

16 Maggio 2009

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Marcello Madau

Elezioni: è probabile che nella pratica della democrazia sia un vero e proprio errore focalizzarsi troppo su questo aspetto sempre più formale  trascurandone altri che mi sembrano decisamente più importanti. Questo discorso vale anche per un’Europa che ha finora pesantemente privilegiato la costruzione dei quadri economici e militari, con evidente crisi di legittimazione.  Eppure proprio oggi sarebbe un errore trascurare questo appuntamento.
Non avendo grande attrazione per il patriottismo (in genere ne penso tutto il male che posso), non sono certo attratto dall’ipotesi di una patria europea, ma trovo attraente la costruzione di un grande luogo, già da molti attraversato, dove possano vivere le cosiddette diversità culturali, nel quale si crei un senso comune di appartenenza ad uno spazio globale pacifico e dialettico, medicina dei nazionalismi che avvelenano i nostri tempi, fondati che siano su vere o false costruzioni memoriali. Dove si possano costruire lotte allargate per una democrazia più ampia per la quale dovremo lottare e costruire a prescindere dal risultato elettorale, condizionato da leggi e sbarramenti antidemocratici che contraddicono proprio il principio di inclusione e tutela delle minoranze.
Ma nelle sedi del parlamento europeo e delle commissioni si prendono ormai decisioni rilevanti anche sui beni culturali e paesaggistici. Sarebbe bene esserci.
La ricca Europa è attraversata da tensioni economiche e politiche che si scaricano sulle classi subalterne ed il precariato diffuso, sui migranti, sui beni comuni e l’accesso libero ad stessi. L’ambiente, a rischio planetario, alterna scenari grandiosi e delicatissimi a quadri apocalittici nei mari, nelle spiagge, tra ghiacciai e boschi, in fiumi irreparabilmente inquinati dai veleni delle fabbriche sino alla guerra: quella balcanica alla quale abbiamo democraticamente partecipato ha sancito l’avvelenamento di una delle grandi icone ambientali europee, il bel Danubio blu.
A straordinarie biodiversità, a cibi e vini eccellenti si contrappongono l’assalto biotecnologico ai campi coltivati ed epidemie alimentari prodotte, volta per volta, dall’ansia del profitto. Il principio di precauzione viene sempre condiviso dopo che le malattie sono esplose e uccidono i corpi (ormoni o mucca pazza che sia), ma al momento della realizzazione dei profitti è generalmente ignorato. Così oggi per gli organismi geneticamente modificati. Sul clima e gli organismi geneticamente modificati l’Italia è in prima fila con i paesi e gli interessi peggiori. Il campo di riferimento va dalle più infide multinazionali farmaceutiche a piccoli e grandi padroncini con licenza di inquinare.
Quando parliamo di beni culturali dobbiamo parlare di culture, e lo scambio e la conoscenza reciproca sono presupposti da incontri attenti e solidali fra le genti: qua l’avvelenamento viene dalla mela marcia del nazionalismo, figlio della modernità del capitalismo europeo. Un veleno così potente da operare anche in assenza di nazione, come nel caso della Padania e della sua  Lega Nord, simbolizzata da un guerriero inesistente eppure feroce. Le tensioni fasciste e razziste che emergono, espresse dalle gravi parole di Borghezio e le facce ripulite di qualche ‘rispettabile’ ministro leghista (di quella Repubblica che si vuole democratica e fondata sul lavoro), vanno respinte ritrovando la forza dell’antifascismo militante corroborata dal nuovo internazionalismo dei movimenti globali.
In questo delicato quadro storico-politico è importante costruire democrazia da sinistra nella società, nei luoghi di lavoro e convivenza, ma avere anche occhi e orecchie dentro le istituzioni, coltivare, se non è possibile l’unità, almeno percorsi paralleli più ampi di quanto oggi lo siano in un paese dove esisteva la più forte sinistra europea. E’ allora grande il ruolo di tali beni, punti di racconto e incontro in grado di liberare un potente messaggio unificante, tutto contemporaneo, possibilità che ci regala la migliore tradizione post-moderna della tutela e della ricerca su cultura e ambiente.
Anche qua l’Italia non sta facendo una bella figura. Una volta, entro la classica bipartizione che si faceva fra tradizioni vincoliste e tradizioni liberiste,  il nostro apporto ad un Europa della cultura poteva essere pensato da traino e modello rispetto ad esperienze e tradizioni meno attente e consolidate: oggi dobbiamo vergognarci dei tagli alla cultura, di ministri cortigiani candidati – come il povero Chagall di ‘Per favore non mordermi sul collo’ – ad un loculo vicino alla tomba del capo; di general managers paninari,  della crisi e dei tagli inferti al sistema della tutela. La sinistra dovrà costruire (la tradizione di pensiero non manca certo, da Bianchi Bandinelli ad Argan, da Cederna a Torelli) battaglie europee lungimiranti nell’archeologia, nell’architettura, nei libri e nelle tradizioni; nella difesa e nella costruzione dell’urbanistica partecipata e sostenibile, dei paesaggi culturali, dei monumenti e delle tradizioni con la voglia di conoscere i luoghi e i racconti in un rinnovato Grand Tour,  che unisca percorsi non più aristocratici e militari, ma popolari e attenti.
Perseguire tutto questo e valorizzare il tempo  dell’incontro e dell’esistenza meridiana rispetto ai tempi e alle regole del capitalismo, non è roba da Partito Democratico né da Italia dei Valori. E’ una battaglia in direzione di un concetto allargato ed europeo di ‘bene comune’, per riaprire le proprie frontiere a quella che una volta era Europa, prima che i Greci la rapissero, prima che si spostasse  progressivamente verso occidente, dove sta oggi. Di essa, entro un’area più o meno corrispondente all’attuale penisola anatolica ed alla fascia siro-palestinese sino all’Egitto, fra il Nilo e il Caucaso, facevano parte tanti popoli che nell’Europa di oggi ci dovrebbero stare. Un Europa italiana e rumena, kurda e armena, israelita, palestinese e siriana, turca. Un’Europa dei popoli e delle culture che spinga alla contaminazione attraverso il rispetto e la conoscenza reciproci.
C’è bisogno di una sinistra che creda in queste battaglie e metta al centro il lavoro cognitivo che le permetterebbe di impegnarsi e realizzare, riconoscendoli come valore e risorsa,  tali beni comuni.

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