Casi isolati

1 Ottobre 2008

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Manuela Scrocccu

Un delirante servizio del tg1tg2tg5nonsopiùdistinguerli dava conto dell’attività delle forze dell’ordine romane contro pericolosi extracomunitari impegnati nel traffico di borsette griffate contraffatte e occhiali da sole di pseudo marca. Non una parola di analisi su quello che è un fenomeno complesso che muove tanti soldi e interessi e di cui i venditori di strada sono solo l’ultimo e sfruttatissimo ingranaggio. Inquadrature veloci alla CSI, invece, sugli agenti che si gettano atletici all’inseguimento del pericoloso criminale. Sulla polizia che, testuale, ha ripulito le strade di Roma dove non si assiste più, ce l’assicura l’indefessa giornalista, all’indecente vendita di borse taroccate su bancarelle improvvisate. Ora, se una signora romana vorrà acquistare una vera borsa finto-griffata dovrà andare nelle più rinomate boutique del centro (vedi servizio di Report di qualche tempo fa). Io, se fossi stata un pezzo grosso della Polizia di Stato avrei fatto causa alla testata giornalistica per aver messo in ridicolo il lavoro serio di tanti agenti che fanno il proprio dovere ogni giorno.
Ma siamo in Italia dove, stando al parere del pericoloso sovversivo a capo della Caritas don Vittorio Nozza, i principi di accoglienza, tolleranza e convivenza non sono più condivisi, in cui siamo di fronte ad una svolta culturale xenofoba che non sembra preoccupare il mondo politico dal quale arrivano, invece, segnali che alimentano un clima di paura e intolleranza.
L’Italia è ormai una repubblica post-democratica fondata sulla paura e sullo stereotipo dell’extracomunitario rapinatore e spacciatore in base al quale un giovane ragazzo italiano di origine africana non può che essere un ladro e sette ragazzi immigrati trucidati dalla camorra non possono che essere un clan di signori della droga.
Perché si sa, la strada che porta alla tolleranza zero e al raggiungimento della sicurezza assoluta è lastricata di ordinanze di sindaci sceriffi, di “giro di vite” contro la prostituzione e quelli che chiedono l’elemosina, ma anche di barche affondate in mezzo al mare, con il loro carico di clandestini e di disperazione, e di morti ammazzati per il coloro della pelle.
Come Abdoul Guibre, un cittadino italiano di diciannove anni che camminava con due suoi amici nella notte milanese. Abdoul voleva andare in un centro sociale ma è stato ucciso a sprangate da due onesti lavoratori meneghini che si erano convinti che i tre avessero rubato l’incasso della giornata. Non era vero: forse, si dice, avevano preso dei biscotti dal furgone aperto di fronte al negozio degli assassini. Era notte e i tre hanno la pelle scura, perché sono di origine africana. E pelle scura vuol dire rapinatori, ladri, clandestini, extracomunitari e tutte quelle altre cose che questo governo ha promesso di estirpare in campagna elettorale. Il pubblico ministero ha deciso di contestare solo l’aggravante dei futili motivi: l’omicidio del giovane non è un delitto razziale. Per gli inquirenti non si tratta di un “attacco xenofobo”, ma piuttosto di “aggressività impulsiva”. Ipse dixit anche Letizia Moratti che ha condannato l’attacco come “un atto di vile crudeltà che non ha niente a che vedere con la tradizionale tolleranza milanese” mentre il Ministro dell’Interno Maroni ha sentenziato, nell’ordine, che l’attacco a Guibre non ha niente a che fare col razzismo, che la sinistra strumentalizza e che, comunque, il pacchetto sicurezza è una gran bella cosa per i cittadini italiani. Ma allora perché è morto, dopo sette ore di coma in un letto d’ospedale, il giovane Abdoul? Perché se l’è cercata? E’ stato forse per uno scusabilissimo fraintendimento culturale, perchè “se uno è nero e gira di notte di fronte al mio negozio avrò pur diritto di difendere a colpi di spranga il territorio, o no?”  Oppure è stato solo un caso isolato, un brutto episodio di cronaca nera della periferia metropolitana?
Solo un caso, come la strage di Castel Volturno. I sette ragazzi ghanesi non erano spacciatori che contendevano il territorio dello smercio della droga alla camorra. Erano poveri cristi che si spaccavano la schiena con un lavoro in nero e sottopagato e che stavano nel posto sbagliato al momento sbagliato, magari per farsi un panino e due chiacchiere. Ad alta voce i mezzi di comunicazione hanno dato risalto ai disordini scoppiati a causa della rabbia e dell’esasperazione di una comunità vessata dal pregiudizio, alimentando la falsa notizia del regolamento di conti tra bande rivali. Ad alta voce ha parlato anche la gente comune nelle intervistine da tiggì, dando sfogo alla litania della brava gente che non ce la fa più con questi extracomunitari che “già ci bastano i criminali di casa nostra” e che il governo deve mandare l’esercito (accontentati!).
Alla fine poi si è scoperto che i criminali eravamo noi, che Gomorra è rigorosamente made in Italy. Nessuno ha detto “scusate ci siamo sbagliati”, nessuno tra giornalisti, inquirenti, magistrati, politici e ministri ha chiesto scusa alle mogli e agli amici di quei ragazzi per aver presentato i loro cari come pericolosi criminali sulla base di uno mero stereotipo razziale.
Sottovoce, con un leggero sussurro, gli stessi giornali e telegiornali hanno riportato le conclusioni di chi si occupa delle indagini: si è trattato di  un’aggressione terroristica a tutti gli effetti, una sorta di caccia al nero, una strage di persone apparentemente estranee a ogni propensione criminale e tutte accomunate dal solo colore della pelle. Si chiama strategia della tensione. La malavita organizzata soffia sul fuoco dell’odio razziale per seminare la paura in comunità già stremate dalle infiltrazioni camorristiche, assicurandosi così il controllo del territorio. Chissà chi si è ispirato a chi, se il governo alla camorra o la camorra al governo.
Ma questo non si dice, meglio credere che si tratti di casi isolati o di guerra tra poveri. Meglio credere che non ci sia nessun nesso tra il pacchetto sicurezza e la nesso, solo l’aria che si respira, mefitica e impregnata d’odio.

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