Dalla marginalità alla centralità. Cosa facciamo da grandi?

16 Settembre 2019
[Cristiano Sabino]

Lo Scorso primo settembre ho partecipato ad una stimolante assemblea ad Oristano indetta dal collettivo Furia Rossa. La chiamata era interessante e si proponeva di discutere un argomento degno di nota, ovvero come fare passare le lotte in Sardegna dalla marginalità alla centralità politica. Abbiamo discusso una intera giornata senza obiettivi tangibili, così come da chiamata, con le tante realtà politici, sociali e di movimento, presenti.

Purtroppo però la premessa stessa della chiamata dei compagni della Furia Rossa è stata in un certo senso confermata dal tono generale della discussione: «viviamo in un’epoca cupa, in cui non si capisce bene se sia peggiore la realtà in cui viviamo o il modo in cui la descriviamo. Un pessimismo profondo, non dell’intelligenza ma della volontà, circonda la nostra attività politica da tempo e poche luci sembrano indirizzare il nostro cammino».

Dalla maggior parte degli interventi è stato tragicamente confermato proprio questo dato: in Sardegna, fra le realtà che pure ogni giorno lavorano a mani basse per contrastare questo o quell’altro progetto spoliante, non esiste alcuna visione politica organica. Mi attirerò un mare di critiche ma a volte la realtà va raccontata per come essa è e non per come vorremmo che fosse.

Allora forse bisogna cominciare con il mettere a posto il senso della domanda posta dalla Furia e in un certo senso torcerla contro noi stessi: non sarà infatti che ad essere marginali non sono le nostre lotte ma noi, cioè la mancanza di un progetto politico chiaro, strutturato, non ambiguo, identificante e catalizzante? Non sarà che la mancanza di questo progetto sia da imputare non alla volontà dei nostri avversari ma a noi stessi? Non sarà che in fondo in fondo ci piace questa situazione in cui nessuno decide, ci si autoassolve, ci si auto patisce, ci si autoconvoca in un circuito continuo di dilazioni pseudo democratiche dove nessuno deve mai realmente rispondere alla propria comunità politica e alle esigenze imposte dalla storia e dall’agenda reale della Sardegna?

Non sarà che in molti casi non vogliamo fare politica, nel senso che non vogliamo davvero spostare i rapporti di forza, ma vogliamo esprimere il nostro senso di malessere e di negatività e su quello pensiamo – erroneamente – di catalizzare consensi?

Chiarendoci credo di poter sostenere che spesso ad essere marginali non sono le nostre lotte, ma noi, la nostra offerta politica, anzi proprio la sua assenza. Le lotte in Sardegna ci sono e alcune volte ottengono pure qualcosa. Pensiamo soltanto a quando A Foras ha fermato due esercitazioni militari NATO o quando il movimento ambientalista ha bloccato il revamping dell’inceneritore di Tossilo o quando abbiamo bloccato la costruzione dei radar militari sulle coste della Sardegna, o quando abbiamo attirato l’attenzione di tutta l’opinione pubblica sull’opposizione al finanziamento pubblico alla sanità privata con le manifestazioni davanti al Mater Olbia o quando abbiamo costretto l’ASPAL a rispondere alle denunce sui falsi tirocini o quando la Rete della sanità sarda ha contenuto i danni della riforma di Arru o quando i Cobas scuola hanno bloccato le Invalsi o i movimenti per la casa a Cagliari che hanno dato alloggio a tante persone bisognose. Tutti esempi di lotte non marginali che hanno ottenuto qualcosa di parziale, che sono state al centro del dibattito politico sardo, che hanno inciso, che hanno portato i media a discutere di cose serie spezzando il flusso mortifero di notizie melassa e di propaganda coloniale. Non è che queste azioni sono state fatte da marziani. Sono state fatte da noi, chi più chi meno, ma i promotori di queste azioni siamo stati noi. Certo molte di queste lotte poi sono state riassorbite o sconfitte, ma non sono state affatto marginali. Anzi, sono state sconfitte proprio perché non esisteva e non esiste ancora una forza politica capace di raccoglierne il frutto e di darne rappresentanza nella società, nel dibattito pubblico, nelle istituzioni, nell’agenda politica. Dovremmo parlare di questa mancanza e non della marginalità delle lotte, perché altrimenti confondiamo i piani e diamo l’impressione che la marginalità è più un nostro stato d’animo (in alcuni casi una vera e propria vocazione esistenziale) che un dato effettivo.

Certo nessuno di noi è autosufficiente, ma forse la domanda da porre è se esiste la volontà di superare questa autoinsufficienza o meno. Perché dai tanti interventi che ho ascoltato non mi sembra che questa volontà esista. Inoltre penso che il discorso affrontato ad Oristano sia stato un grande passo indietro rispetto a quello affrontato due anni fa a S. Cristina, più o meno con le stesse persone e con le stesse forze, percorso che ha poi portato all’attività del progetto Caminera Noa.

Mi ha sorpreso riascoltare annosi problemi quali “viene prima l’indipendenza o il socialismo?”. Ma basta veramente! Questo dibattito deve considerarsi esaurito, come quelli sulla “vera storia della bandiera sarda” o sulla dicotomia violenza-non violenza. Che senso ha ancora affrontare questi discorsi? A S. Cristina due anni fa avevamo trovato un buon punto di accordo per poter praticare assieme: antifascismo; anticapitalismo; sostenibilità; autodeterminazione; metodo democratico. Punto e a capo e poi lavoro lavoro lavoro! E così abbiamo fatto ottenendo molti buoni risultati.

È stata la rivoluzione? No, ma almeno si è usciti dall’empasse di discussioni circuitanti, praticando la democrazia con assemblee plenarie aperte a tutti, battendo in breccia settarismo, liderismo e tendenze gruppettare ed egemoniche con deleghe sul lavoro che ci hanno permesso di fare qualche passo avanti.

Dobbiamo avere il coraggio di tracciare una riga su questi punti e di andare a vanti a lavorare. Chi c’è c’è e chi non c’è verrà convinto dalla bontà del lavoro che metteremo in campo che alla fine è sempre la migliore argomentazione di tutte.

Altro equivoco linguistico impaludante è quello della comunicazione. Giustissimo il discorso sul fatto che non sappiamo comunicare. Ma prima di questo dobbiamo chiederci “che cosa vogliamo comunicare”? I fascisti vincono perché hanno una linea e la comunicano. I 5S stelle sono diventati grandi perché avevano due o tre tormentoni (fondati per altro, come la lotta alla corruzione, la questione della povertà e la critica alla politica professionista), una organizzazione strutturata e una ottima comunicazione alle spalle.

Noi chi vogliamo essere? Vogliamo essere? È questa la domanda che dobbiamo farci prima di discutere di comunicazione. Il resto scusate ma credo siano problemi inutili o utili in altre sedi, sicuramente interessanti e stimolanti, ma ci dobbiamo mettere in testa che la storia del movimento dei movimenti e del coordinamento dei cordinamenti non esiste più manco a Porto Alegre. Ci serve sapere quali sono i punti irrinunciabili, regole chiare, agibilità politica a chi ottiene incarichi e poi una buona comunicazione alle spalle. E ci serve saperlo subito. Basta anche con la storia che non abbiamo fretta. Siamo già in pesante ritardo e sinceramente credo che dobbiamo dircelo con grande chiarezza. Dobbiamo costruire, dobbiamo costituirci e dobbiamo farlo in fretta, altrimenti ci fanno a pezzi, noi, le nostre belle lotte, le nostre belle idee, fino a disperderne le tracce. Questo processo di demolizione dell’alternativa popolare e sardista (in senso lato) in Sardegna è già in fase molto avanzata e altri soggetti stanno già occupando il nostro naturale spazio politico.

Se non si parla di questo a mio avviso non si parla di nulla. E infatti da molti anni a questa parte in molte assemblee fatte da pezzi di cuore e persone onestissime e bellissime, di questo abbiamo parlato, del nulla.

Quando facciamo una assemblea con questi temi all’ordine del giorno dove non ci siano interventi ammazza cristiani di 35 minuti su tutto lo scibile umano e si discuta di cosa vogliamo fare da grandi per salvare questo meraviglioso e bistrattato pezzo di mondo dove per croce e delizia ci è capitato di vivere?

1 Commento a “Dalla marginalità alla centralità. Cosa facciamo da grandi?”

  1. Per sottrarsi al dominio bisogna sconfiggerne l’egemonia: verso una via sarda alla democrazia (2/2) ~ SardegnaMondo scrive:

    […] questo rispondo anche a una sollecitazione in proposito di Cristiano Sabino, sul manifesto […]

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