Giorgio La Malfa motiva il suo NO

1 Giugno 2016
giorgio_la_malfa
Giorgio La Malfa

Pubblichiamo questo testo di Giorgio La Malfa che motiva pacatamente e con argomentazioni ben fondate il suo no al Referendum costituzionale in risposta ad un articolo del Prof. Guido Melis su L’Unità (per il SI).  La Malfa – com’è noto – è un laico di centro (area repubblicaana), e difende le ragioni del parlamento come fulcro centrale del sistema democratico (Red).

Caro Guido,
ho letto con molta attenzione  il tuo scritto in risposta a Gustavo Zagrebelski che chiarisce bene le posizioni tue e  dei fautori del sì al referendum. Tre mi sembra che siano i capisaldi del tuo ragionamento. 1. ” le istituzioni in Italia, così come sono non funzionano. Sono una palla al piede per il Paese anziché una guida e una risorsa.” 2. il problema è “come rafforzare la decisione, adeguandola ai tempi veloci che viviamo, senza con ciò rinunciare al controllo dal basso.” 3. E’ sbagliato collegare riforma costituzionale e legge elettorale: “nessuna di queste asserzioni delle quali è punteggiata l’intervista [di Zagrebelski] ha attinenza diretta con la riforma. Tutte ne prescindono. Vertono semmai sulla riforma elettorale (che è altra cosa, approvata con legge ordinaria).”
Ho molti dubbi su ciascuno dei punti su cui fondi le tue affermazioni. Comincio dall’affermazione che le istituzioni italiane non funzionano. Personalmente ho avuto ed ho  da sempre  molta diffidenza verso  questa tesi.  Ho sempre pensato che invece delle istituzioni fossero inadeguati ed insufficienti i partiti che erano investiti dai cittadini del diritto di governare e gli uomini investiti di quelle alte responsabilità. A me sembra che quando esponenti di governo ponevano (e pongono) il tema delle riforme istituzionali lo facevano (e lo fanno) fondamentalmente per avere una esimente per i loro insuccessi. Se un uomo politico si batte come un leone per giungere al potere promettendo che appena giunto al potere smuoverà l’Italia, la farà ripartire, capovolgerà il verso dell’Europa e così via e, appena insediato, spiega che così come è la macchina, egli non può realizzare le proprie promesse, è legittimo il dubbio che cerchi delle scuse. Questo mio giudizio non nasce con Renzi: fui contrario ai discorsi di Craxi sulla grande riforma, a quelli di Berlusconi sullo stesso tema, perfino al ‘famoso’ decalogo istituzionale di Giovanni Spadolini. Lo penso anche dell’attuale prodotto di riforma. “Non mi lasciano lavorare”, sembra il motto di questi riformatori. Non giudicatemi dal tasso di crescita dell’1% scarso, dalla disoccupazione che resta al 12%, dalla osservazione del FMI che continuando così l’Italia tornerà ai livelli produttivi del 2007 solo “alla metà degli anni venti”.  Abbiate fiducia in me e datemi un potere vastissimo. Se lo dicesse un leader dell’opposizione e annunciasse come unico proposito la riforma costituzionale, lo capirei. Sentirlo dire ai capi di governo, mi sembra inaccettabile.
In realtà le istituzioni della democrazia parlamentare (non altre) hanno accompagnato il miracolo economico italiano degli anni 50 e 60 ed hanno consentito negli anni dei governi Prodi di ridurre il deficit e di abbassare il rapporto debito/PIL. Alla prova esse non hanno funzionato male per circa un ventennio e in molti altri anni. Non pensi che ci sia un problema di forze politiche incapaci di far funzionare bene le istituzioni?
E se il problema fosse di cambiare le classi dirigenti? In questo caso il NO al referendum non sarebbe un no al cambiamento, come i fautori del si dicono, bensì un NO al consolidamento di una classe dirigente che si dichiara incapace di governare NONOSTANTE gli strumenti a sua disposizione. Cambiare tutto perché nulla cambi. Non è questo il trucco dei conservatori?
Aggiungo infine, su questo punto,  che l’attuale Presidente del Consiglio ha dichiarato più volte che mai nel dopoguerra il governo è riuscito a fare tanto per il paese ed ha enumerato le decine di riforme introdotte! Ha anche inviato un opuscolo per illustrare questi risultati. Come si concilia questa affermazione, con quella che sarebbe indispensabile riformare un paese immobile?
Seconda affermazione: “rafforzare la decisione…senza rinunciare al controllo dal basso.”  Nella riforma di cui discutiamo, questo risultato non dipende dal nuovo assetto istituzionale, ma dalla legge elettorale. Ma dov’è il controllo dal basso in questo nuovo sistema? Dove sono i contrappesi a un potere così forte? In un sistema che elegge direttamente il capo dell’Esecutivo, il controllo viene, come in America, dalla separazione dei poteri. Camera e Senato americani non sono eletti insieme al presidente degli Stati Uniti e su sua indicazione. Se si eleggono insieme il capo dell’esecutivo e la maggioranza del Parlamento, il controllo dal basso non c’è più e non si può non rilevare che c’è un serio rischio per la democrazia. Può darsi che il pericolo non si manifesti nella sua prima applicazione, ma possiamo essere tranquilli per il futuro?
Terza ed ultima considerazione. Tradizionalmente i fautori dei sistemi presidenziali sostenevano che l’elettorato moderato è cruciale per vincere le elezioni e quindi  i candidati in una elezione presidenziale debbono convergere verso il centro dello schieramento. Non possiamo più essere certi che questo avvenga. In America i due candidati più ‘attraenti’ si collocano al di fuori dello spettro tradizionale della politica americana; lo stesso è avvenuto in Austria, in Francia la signora le Pen ha buone chances di successo, e così via. Anche in Italia l’estremismo premia.
I sistemi parlamentari, invece,  tendono a escludere le ali estreme:  in Italia lo hanno fatto con grande efficacia nel dopoguerra, fino a quando, nel 1994 non si è cominciato ad andare verso sistemi maggioritari. In un’Europa in preda al  malessere che è sotto i nostri occhi, è prudente approntare un sistema elettorale che può dare tutto il potere a partiti che magari al primo turno non vanno oltre un quinto degli elettori? Non rispondere che questa è materia della legge elettorale, perché le dichiarazioni del Presidente del Consiglio sono nel senso che la legge elettorale non si tocca. Dunque il giudizio deve essere dato INSIEME sulla legge elettorale e sulla riforma costituzionale. E se si vuole fermare questa legge elettorale, che io considero pericolosissima (magari non nella persona dell’attuale leader del PD. ma nella sua potenzialità futura), oggi il solo voto utile è il NO. Ed è quello che io mi appresto a dare  nel prossimo mese di ottobre.
Ti ringrazio per avermi incluso nella lista dei tuoi corrispondenti e mi scuso per averti risposto così lungamente.

Con viva cordialità
Giorgio La Malfa

Da Democrazia Oggi

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