Klaus Voigt: un ricordo

16 Dicembre 2021

[Claudio Natoli]

Ho conosciuto personalmente Klaus all’università di Cagliari, dove insegnavo dal 1992, e l’occasione fu il Convegno, organizzato, nel novembre 2000, dalla comune nostra collega e amica Mimi Sechi, intitolato L’ombra lunga dell’esilio. Ebraismo e memoria, di cui sono stati pubblicati gli atti.

Fino a quel momento avevo frequentato Klaus attraverso i suoi libri e suoi contributi scientifici sugli esuli ebrei in Italia, a cominciare dal grande affresco sul Rifugio precario, che molto aveva contribuito alla nascita di una nuova stagione di studi volta a rovesciare l’immagine del carattere improvvisato ed  esogeno della persecuzione degli ebrei da parte del fascismo in Italia e anche la vulgata “auto-assolutoria” del popolo italiano che avevano informato per un tempo troppo prolungato non solo la memoria pubblica, ma anche ambiti molto autorevoli della storiografia. A ciò aveva fatto seguito la grande mostra Zuflucht auf Widerruf, curata da Klaus e allestita a Milano nel 1995, sugli artisti e intellettuali tedeschi in Italia nel 1933-1945, in cui, oltre a documentare gli effetti devastanti della persecuzione sulla vita degli esuli a partire dalle leggi razziali del 1938, si metteva in luce il contributo qualitativo e  umanistico che avevano continuato ad offrire alla grande cultura tedesca, rappresentata in modo così rilevante nell’ “altra Germania” dell’esilio.

In quel primo nostro incontro cagliaritano potei apprezzare dal vivo in Klaus non solo l’ampiezza delle conoscenze e degli orizzonti culturali di un intellettuale europeo, ma anche la sua straordinaria immediatezza, affabilità e disponibilità, l’attenzione verso i suoi interlocutori, sia che fossero studenti, insegnanti, ricercatori più giovani o studiosi affermati. Credo di poter dire che divenimmo subito amici. A distanza di breve tempo Klaus pubblico la bellissima e molto innovativa ricerca sui Ragazzi di Villa Emma, e quella fu l’occasione per proseguire una collaborazione con l’Università di Cagliari destinata a durare a lungo nel tempo. Insieme con Enzo Collotti, e le insegnanti cagliaritane Luisa Plaisant e Donatella Picciau, avevamo progettato e cominciato a realizzare un work in progress finalizzato alla Giornata della memoria e rivolto all’università, alle scuole e all’intera cittadinanza che avrebbe coperto l’arco di un intero quindicennio. Esso era strutturato in modo che ogni anno la tragedia della Shoah venisse contestualizzata nella storia dell’Europa sotto la dominazione nazi-fascista, scegliendo di volta in volta di approfondire uno dei complessi ambiti che avevano concorso a quell’esito e che ne erano stati parte integrante.

Decidemmo nel 2003 di dedicare uno spazio particolare al tema della resistenza civile in rapporto al salvataggio degli ebrei, affidando a Klaus una relazione su questo tema; ma, al tempo stesso, scegliemmo di allestire in quegli stessi giorni la mostra sui ragazzi di Villa Emma che ancora Klaus aveva realizzato per il Comune e la Fondazione di Nonantola La mostra suddivisa in due parti, ricostruiva l’intera vicenda della fuga, dell’approdo in Italia e del salvataggio in Svizzera di quei ragazzi ebrei, ma al tempo stesso documentava le varie fasi della persecuzione antiebraica del fascismo italiano, sino alla partecipazione attiva del regime di Salò alla Shoah nel 1943-45. Grazie alla sensibilità del rettore dell’Università di Cagliari Pasquale Mistretta, la mostra fu così realizzata alla Cittadella dei musei, avvalendosi anche della collaborazione dell’Archivio di Stato di Cagliari, che ne curò l’allestimento con l’aggiunta di una serie di preziose bacheche che illustravano, con materiali originali, la persecuzione degli ebrei in Sardegna e segnatamente nel campo universitario.

  La mostra ebbe un grande impatto, oltre che sull’università, sulla cittadinanza più vasta e sul territorio cagliaritano, decine e decine di scuole di diverso ordine e grado portarono i ragazzi a visitarla. Ma un altro fatto determinante fu che, nella mancanza assoluta di personale che potesse tenere aperta la mostra, decidemmo di ricorrere al lavoro volontario degli studenti universitari che frequentavano i corsi di Storia contemporanea e di quelli di alcune classi dell’Istituto tecnico industriale Dionigi Scano, coordinati dalla loro professoressa Donatella Picciau: furono questi ragazzi non solo a tenere aperta la mostra per più due settimane,  ma a svolgere anche direttamente le relative visite guidate dopo avere seguito un impegnativo corso di formazione. Klaus fu in quei giorni onnipresente, fornì preziosi consigli e si prestò anche a una video-intervista preparata e condotta dai ragazzi stessi sul laboratorio della ricerca e sul senso più profondo del proprio lavoro di studioso. Forse varrebbe oggi la pena di recuperarla.  Né Klaus tenne per sé il suo congenito e irrefrenabile entusiasmo, che trasmise a tutti noi: in seguito, non ci nascose che quella era stata un’esperienza tra le più belle nel rapporto con i giovani dell’intero suo percorso di studioso.

Da allora i nostri rapporti di collaborazione e di amicizia divennero sempre più stretti. Nel 2008 Klaus accolse me e un gruppo di studenti del mio corso di laurea magistrale e ci guidò a Berlino per una settimana di studio attraverso i luoghi della memoria del regime nazista, della Resistenza tedesca e della Shoah. Visitammo il museo della storia ebraica e il memoriale della Shoah, a due passi dalla porta di Brandeburgo, la mostra sulla Germania nazista allestita a cielo aperto sulle rovine di quella che un tempo era stata la sede centrale della Gestapo, la Fondazione della memoria della Resistenza tedesca nella Stauffenbergstrasse, il monumento così essenziale ma così evocativo dello sterminio dei disabili al Tieirgarten 4, la lapide sul Landswehrkanal che ricorda l’assassinio di Rosa Luxemburg, il campo di concentramento di Sachsenhausen, e naturalmente la villa, oggi museo storico, che ospitò la Conferenza che aprì la strada alla “soluzione finale” sul lago di Wansee. E poi gli itinerari culturali, dal Pergamonmuseum alla Pinacoteca di Berlino, ma anche le deliziose serate di inizio estate passate nel profumo dei tigli nelle osterie popolari di Kreutzberg a discutere insieme agli studenti di quanto avevamo appena condiviso, o anche delle diversità nelle politiche pubbliche della memoria in Germania e in Italia, non senza constatare, negli ultimi anni, una divaricazione sempre più inquietante a sfavore del nostro paese. I rapporti di Klaus con l’università di Cagliari si intensificarono ancora negli anni successivi, con un seminario rivolto ai dottorandi che Klaus svolse presso il Dipartimento di Studi storici, geografici e artistici nel maggio 2009 sui tema delle metodologie e delle fonti del Rifugio precario e sul contributo degli esuli ebrei dell’Europa alla Resistenza italiana. Ne derivò un saggio che venne tradotto come sempre impeccabilmente da Loredana Melissari sulla figura di quattro donne dell’esilio nella Resistenza italiana (Ruth Gottlieb, Ursula Hirschnmann, Brigitte Loewenthal, Ruth Weidenreich) . Esso venne pubblicato nella rivista del Dipartimento, “Studi e ricerche”. Ricordo di avere confessato a Loredana che il nostro borsellino, come quello di Catullo, era pieno di ragnatele. Non se lo fece ripetere due volte e di questo voglio ancora una volta ringraziarla.

Nel frattempo era cresciuta sempre più tra noi una vera e affettuosa amicizia. Nei suoi frequenti soggiorni in Italia, quando si avvicinava a Roma, Klaus non mancava mai di venirci a trovare, dividendosi tra noi e Giovanna Grenga e Gerhard Kuck, altri amici carissimi. Questi incontri erano sempre all’insegna della sua Gemütlichkeit e della sua inesauribile vitalità: era nella sua natura privilegiare il lato positivo delle cose, apprezzava la bellezza dell’arte in tutte le sue forme e le gioie della vita, e tra queste, perché non dirlo, amava molto la cucina italiana. Riuscì ad incantare anche i nostri amici vicini di casa, una sera che ci aveva fatto un’improvvisata e noi eravamo invitati a cena da loro, e naturalmente Klaus vi fu associato. I nostri amici ne hanno conservato un ricordo bellissimo, e più volte mi hanno chiesto quando sarebbe tornato a visitarci. Ci scambiavamo e discutevamo dei nostri libri e dei nostri scritti, ed a me è capitato di giovarmi più volte della sua non comune generosità ricorrendo al suo consiglio per questioni che riguardavano le competenze del suo campo di ricerca. In occasione di un mio articolo che poi è stato pubblicato in una rivista tedesca, si premurò non solo di suggerire alcuni miglioramenti, ma di rivedere anche la traduzione in alcuni passi che riteneva sacrificassero il testo italiano. Discutemmo anche di un suo progetto di varare una collana editoriale sul tema dell’esilio e dell’accoglienza nel periodo dei regimi fascisti con particolare riferimento all’Italia, la cui direzione mi propose di assumere, pensando per sé all’avanzare dell’età, ma io decisi di declinare l’invito scrivendogli che lui stesso avrebbe avuto tutto il tempo e le condizioni di salute per dirigerlo e per imprimere ad esso il segno delle sue conoscenze, delle sue capacità e del suo impegno. Era il Natale 2014.

Oggi sento forte il rimpianto di non avere potuto trascorrere insieme a lui un soggiorno in un paese sito nella più bella Toscana ai confini della Val d’Orcia, in un paesaggio leonardesco che lui amava moltissimo; ne parlammo più volte, gliene inviavo ogni tanto evocative cartoline, ma abbiamo purtroppo sempre rimandato. Quando, nello scorso mese di agosto, Klaus ha voluto farmi sapere della malattia che lo aveva colpito, ho esitato diversi giorni prima di chiamarlo. Avevo timore di sentirlo trasformato, e anche, naturalmente, di non riuscire a trovare il tono e le parole giuste. Quando ho raccolto il coraggio per farlo, sono rimasto sorpreso e ammirato dalla serenità e dalla persistente fiducia nel futuro con cui affrontava questa prova così difficile e dirompente che la vita gli aveva riservato in sorte. E così fu una conservazione molto più simile a molte altre di quanto avevo immaginato: mi riferì con sobrietà e con spirito positivo delle cure che stava facendo, ma parlò anche delle ferie estive e dei suoi amati laghi attorno a Berlino, ma soprattutto del suo desiderio di tornare  in Italia quest’autunno per portare avanti il lavoro per la mostra sulla vita e l’opera Rudolf Levy, artista tedesco esule della Germania nazista e deportato ad Auschwitz, a cui si era dedicato, con la consueta passione, negli ultimi anni. Per parte mia gli dissi, e lo pensavo davvero, che avevo riconosciuto, anche questa volta, il miglior Klaus.

Non è andata così. E nel concludere, non posso non ricordare che è la seconda volta nel giro di quindici giorni che ci vediamo a Firenze per ricordare un grande Maestro ed amico scomparso: e, infatti, due settimane fa, ci ha lasciato Enzo Collotti, anch’egli legato a Klaus da una grande amicizia, dall’impegno civile e da tanti interessi di ricerca comuni. Ce ne sarebbe abbastanza per sentirsi oggi irrimediabilmente più poveri e anche molto più soli. Ci conforta solo, se così si può dire, il privilegio di averli frequentati e di aver potuto lavorare a stretto contatto con loro, la traccia incancellabile che hanno lasciato e che rimarrà, ne sono sicuro, nel percorso di vita di tutti noi.

Questo articolo riprende l’intervento di Claudio Natoli svolto in occasione dell’incontro Omaggio a Klaus Voigt, 1938-2021, in commemorazione di Klaus Voigt, deceduto a Berlino nello scorso mese di settembre (Firenze, Oratorio di S. Apollonia, 28 ottobre 2021).

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