La solitudine del laico

1 Febbraio 2008

Franco Tronci

Se un giorno faremo l’analisi del presente periodo di crisi del Paese, da poco conclusosi con la caduta del governo di centro-sinistra guidato da Prodi, dovremmo mettere in conto anche la perdita di una conquista che, forse, avevamo considerato irreversibile, quella della laicità dello Stato. Neppure nei tempi di più forte supremazia democristiana l’ingerenza clericale e vaticana nella vita degli italiani e delle istituzioni repubblicane era stata così pervasiva e prepotente.
Numerose sono le ragioni che potrebbero contribuire a spiegare tale novità: il nuovo pontificato di Benedetto XVI; la decisione della conferenza episcopale italiana di arroccarsi, come avvenne con il Concilio di Trento e la Controriforma, nella nazione che, per ragioni storiche, è stata più influenzata dalla presenza del capo della chiesa cattolica; la delega all’autorità religiosa cattolica, come al mercato in economia, della rappresentanza delle istanze morali, individuali e collettive del paese da parte del neonato partito democratico, nel quale la corrente clericale, denominata teodem, sembra aver preso decisamente il sopravvento per quanto riguarda la materia in questione.
L’episodio più significativo di questo nuovo clima, come testimonia la sua risonanza mediatica, è stata la polemica verificatasi all’università La Sapienza di Roma per effetto dell’improvvida iniziativa del rettore di invitare il pontefice all’inaugurazione dell’anno accademico.
Solo chi è digiuno di conoscenze intorno alla storia d’Italia ed alla storia della cultura europea, può ritenersi sorpreso per la lettera di protesta del professore emerito Marcello Cini e di altri sessantasei docenti della più grande università italiana contro l’inopportunità dell’iniziative del rettore.
Fatto sta che i docenti in questione, poi sostenuti da un congruo numero di docenti degli altri atenei, sono stati lasciati soli, e seppelliti da una valanga di insulti e di minacce, da quelle forze politiche e culturali che avrebbero dovuto considerarsi i naturali difensori dell’autonomia e della laicità della più importante istituzione culturale e scientifica del Paese.
Recentemente, in una riunione del consiglio della facoltà nella quale presto il mio insegnamento, ho cercato, forse maldestramente, di portare l’attenzione dei presenti a riflettere su quanto accaduto all’università di Roma. Sono stato più volte interrotto e definitivamente messo a tacere con la giustificazione che l’argomento non era all’ordine del giorno. Eppure era mia intenzione avanzare la proposta di condividere, con un civile dibattito, un grave fatto che riguarda l’università nel suo complesso e la profonda crisi che essa attraversa.
E, magari, poter fare alcune domande ai rappresentanti degli studenti come, ad esempio, chiedere loro se la scuola aveva provveduto a spiegare loro il significato del concetto di laicità dello stato, riconosciuto nella Costituzione, oggetto in questi giorni di formale celebrazione; oppure, se fossero consapevoli delle origini dell’anticlericalismo e del suo rapporto con la presenza in Italia, per diversi secoli di uno Stato teocratico sempre ostile all’unità della nazione. Curiosando, avrei potuto chiedere loro se sapessero che i professori universitari, proprio in ragione di quella laicità conquistata, sono esentati dal giuramento di fedeltà allo Stato; e, ancora, se avessero mai sentito parlare di quei pochi, undici per la precisione, docenti universitari che si rifiutarono di giurare fedeltà al regime fascista e che, perciò, furono cacciati dall’università.
Tante avrebbero potuto essere le domande e i temi da discutere, se, nel frattempo, l’università non fosse diventata un diplomificio regolato da pure motivazioni economicistiche.
Tutto ciò, peraltro, non è estraneo al dibattito incerto, reticente, privo di slancio che concerne l’ipotesi di unità della sinistra come tentativo di costruire un argine ai guai che si prospettano. La difesa della laicità deve costituire uno dei cardini del programma della sinistra unitaria assieme alla difesa del lavoro, al diritto all’istruzione, alla salute, alla pace, alla giustizia. La coscienza di tali obiettivi presuppone il ritorno ad una pratica dell’esperienza politica intesa come processo di formazione del cittadino così lontana dall’attuale sollecitazione alla soddisfazione pura e semplice degli egoismi individuali.
La libertà religiosa, come pure la libertà dalla religione, costituiscono una parte cospicua dell’eredità che la cultura rinascimentale e soprattutto quella illuministica, accanto alla fondamentale Dichiarazione universale dei diritto dell’uomo, ci hanno lasciato e che trovano nel libero esercizio della scienza e della ricerca il loro campo di applicazione più appropriato. La separazione fra stato e chiesa non ne è che la logica conseguenza.
Il ricorso al tribunale della ragione, l’uso dell’esperienza e del calcolo, l’utilizzo del documento nella ricostruzione dei fatti, accompagnati alla rinuncia alle risposte “definitive” ed alle aspettative miracolistiche e consolatorie rendono, d’altronde, la vita del laico impegnativa e drammatica in sé. Per essa dobbiamo impegnarci, insieme alle giovani generazioni, a chiedere rispetto.

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