Ripartire dalla salute mentale

2 Giugno 2020
[Gisella Trincas]

Pubblichiamo l’intervento introduttivo della presidente nazionale dell’Unasam Gisella Trincas a nome del coordinamento nazionale della Conferenza Nazionale Salute Mentale che ha svolto la sua assemblea online il 30 maggio 2020.

Obiettivo di questa assemblea, come già detto nei documenti preparatori, è aprire un confronto, il più ampio possibile, sulle questioni già portate alla attenzione del Governo e delle Regioni durante e dopo la nostra Conferenza Nazionale del giugno scorso.

L’emergenza Covid-19 ha messo inesorabilmente a nudo la fragilità di questo sistema sociale e sanitario. I provvedimenti del Governo, inizialmente orientati al necessario e urgente rafforzamento dell’attività ospedaliera, già indebolita dai gravi tagli prodotti dai governi precedenti, non hanno però riguardato il sistema territoriale. Sistema già fortemente penalizzato dai tagli finanziari, dalle disuguaglianze territoriali, dall’arretramento culturale.
Il forzato isolamento delle persone nelle loro case, o nelle “strutture”, non interrompeva i bisogni e le difficoltà vissute dalle persone ma semmai li ha aggravati. Ognuno di noi può testimoniare cosa questo abbia significato per tanti che vivono la condizione della sofferenza mentale o delle dipendenze, per le persone con disabilità, per gli anziani soli, per chi vive nella povertà, per i migranti e i richiedenti asilo, per i bambini e le bambine privati della scuola e del gioco all’aperto, per i giovani e gli adolescenti. E per tutte quelle situazioni caratterizzate dall’ordinaria violenza domestica di cui donne e bambini sono state vittime ancora più esposte in questo periodo di isolamento..
Così come l’isolamento delle “strutture”, senza neppure il conforto dei propri cari, e senza un monitoraggio e una verifica attenta da parte del servizio pubblico, in molte situazioni, ha fatto emergere le criticità di quel “sistema istituzionalizzante e coercitivo” che da lungo tempo chiediamo venga indagato e definitivamente superato.
Le stesse disposizioni con le quali sono state sospese le attività “ordinarie” in salute mentale e non solo (pensiamo alla medicina di base e alla pediatria, ma anche alla attività specialistica ambulatoriale) garantendo solo le urgenze ed emergenze, sono state applicate in maniera differente sul territorio nazionale. Quei servizi già carenti dal punto di vista organizzativo e delle pratiche (nella maggior parte del Paese) hanno interrotto qualunque attività ordinaria riabilitativa e di sostegno individuale, hanno tenuto le porte chiuse e lasciato ai familiari il compito di farsi carico di situazioni difficili aggravate dall’isolamento forzato e dalla sospensione di qualunque attività di sostegno individuale. Quelli che già operavano sui presupposti della salute mentale di comunità, hanno riadattato i loro interventi terapeutici e riabilitativi, senza abbandonare nessuno e rafforzando il sostegno individuale sia nei centri di salute mentale che al domicilio delle persone, anche avvalendosi della collaborazione della cooperazione sociale e delle organizzazioni di volontariato.
Oggi, vogliamo ricominciare, e affrontare insieme problemi, pratiche e proposte. Vogliamo partire dalle quattro questioni che abbiamo indicato nella lettera di convocazione di questa assemblea per porre al centro della fase di rilancio del nostro Paese il tema della salute mentale, che necessita, insieme ad altre emergenze vecchie e nuove, di un poderoso intervento finanziario, organizzativo e culturale di ampio respiro. Proverò a dare qualche indicazione in più.
1) Occorre ripensare al sistema territoriale degli interventi sociali e sanitari, introducendo il concetto di prossimità e di salute di comunità, che contrasta nettamente col concetto di “distanziamento sociale” ma anche col concetto di “istituzionalizzazione” e “invalidazione”. Chi esprime dei bisogni sanitari o sociali chiede che il sistema pubblico sia attrezzato dal punto di vista organizzativo, finanziario e culturale, esattamente nel territorio dove il bisogno si esprime. Affinchè possa essere intercettato, compreso e affrontato con tempestività. Attraverso un percorso di intervento non predefinito dalla struttura burocratica sulla base della propria programmazione di bilancio, ma pensato e concordato con la persona umana che il bisogno esprime e finalizzato alla sua emancipazione, alla liberazione dal bisogno, col concorso della rete sociale e amicale.
Si tratta di rovesciare totalmente i concetti di assistenzialismo, istituzionalizzazione, cronicizzazione di cui è ancora fortemente permeata la nostra società, e andare ostinatamente nella direzione di quanto culturalmente avanzato viene indicato dalle Leggi di settore e prima ancora dalla nostra Carta Costituzionale. Questo richiede, ad esempio, centri di salute mentale diffusi sul territorio nazionale, aperti almeno 12 ore tutti i giorni dell’anno, ricchi di molteplicità professionali orientate alla costruzione di percorsi individuali di ripresa, con la piena e responsabile partecipazione delle persone utenti.
2) In Italia un numero elevatissimo di persone sta in strutture chiuse e coercitive. La lotta al manicomio e ai luoghi dell’internamento ha consentito il superamento di tutti gli ospedali psichiatrici pubblici e gli ospedali psichiatrici giudiziari ma non abbiamo definitivamente abbandonato la strada della massiccia istituzionalizzazione. In questo periodo di emergenza covid, è scoppiato lo scandalo che ha investito diverse RSA e strutture psichiatriche. Luoghi in cui convivono un numero elevato di persone la cui vita è scandita dagli orari rigidi dei pasti del sonno e della terapia, dai rigidi regolamenti sulle visite di parenti e amici, sulla libertà di movimento, da pratiche decisamente illegali (come ad esempio legare le persone anziane o le persone disabili nelle sedie o tenere le porte di ingresso chiave a chiave) e dalla pressochè assenza di controllo e monitoraggio sulla qualità degli interventi e sulla qualità della vita delle persone ospitate.
Noi riteniamo, anche sulla base di tante esperienze sperimentate nel nostro Paese, che si può curare senza rinchiuderle violandone la libertà e la dignità umana. Devono essere ripensati i luoghi della cura, della assistenza e del sostegno individuale, riconvertendo tutte le strutture che oggi non rispettano la personalizzazione dell’intervento e una buona qualità della vita, sostituendole con luoghi della cura e dell’abitare di piccole o piccolissime dimensioni: abitare condiviso, condomini solidali, o case individuali supportate. Vogliamo sostituire i luoghi dell’esclusione con i luoghi della vita.
3) Esiste una ampia gamma di norme e disposizioni nazionali e internazionali, ma anche tante esperienze concrete che indicano la strada da percorrere per sviluppare interventi finalizzati a favorire autonomia ed emancipazione sociale. Sia che riguardi persone con disabilità o persone in difficoltà sociale ed economica. La stessa Convenzione ONU per le persone con disabilità o fragilità sociale invita gli Stati a riconoscere il diritto a vivere nella società con la stessa libertà di scelta delle altre persone. Lo stesso sforzo che il Governo deve compiere per la generalità dei cittadini e delle cittadine, per il diritto alla casa, al lavoro, alle relazioni sociali, all’istruzione, alla formazione, per promuovere una società giusta e solidale, lo deve compiere per le persone più fragili ed esposte alla emarginazione sociale. Devono essere quindi ripensati i sistemi sociali del territorio, sia dal punto di vista culturale che dal punto di vista economico, affinchè questi principi costituzionali siano rispettati e questi diritti resi esigibili. Si può farlo anche col sostegno forte e concreto all’impresa sociale che ha già dimostrato di essere capace di andare verso questa direzione, cambiando i destini delle persone, con costi finanziari decisamente inferiori alla loro istituzionalizzazione.
4) Oltre a quelle già dette, vi sono altri luoghi e forme in cui si sviluppano forme di coercizione e violazione dei diritti umani. Luoghi in cui non vi è un numero eccessivo di persone accolte ma dove contano principalmente le pratiche. Si pensi a quei TSO attivati in violazione delle norme e con metodi violenti, ai SPDC con le porte chiuse, l’uso massiccio di psicofarmaci, e l’utilizzo delle fasce con cui legare al letto persone sofferenti che di ben altro hanno bisogno (ricordiamo fra tutti la drammatica vicenda di Franco Mastrogiovanni e Giuseppe Casu, la terribile morte di Elena Casetto, neppure vent’enne, bruciata viva nel SPDC di Bergamo, ma anche la vicenda in tempo di Covid di Dario Musso). Eppure, come dimostrano i servizi di diagnosi e cura no restraint, si possono affrontare le situazioni più critiche senza ricorrere alla violenza e nel rispetto della persona umana.
Un’altra forma di violazione dei diritti umani della persona è costituita dal massiccio, e in tanti casi irragionevole, ricorso all’istituto della amministrazione di sostegno.
Conosciamo l’entità di questa misura in salute mentale, attivata il più delle volte dagli stessi operatori dei servizi. Una misura giuridica che doveva proteggere le cosiddette persone fragili, senza limitarne le libertà, si è trasformata di fatto in una forma di interdizione che viola il diritto all’autodeterminazione delle persone con disabilità fisica o psichica sancito dalla stessa Convenzione ONU.
Riprenderemo quindi nel dibattito che seguirà, questi punti, senza dimenticare le tante altre emergenze che in questi mesi difficili sono esplose, in particolare mi riferiscono alla Scuola e ai bisogni dimenticati dei bambini e delle bambine.

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