Sa generalissa di Franciscu Carlini

2 Febbraio 2023

[Marinella Lőrinczi]

Da tempo Franco/Franciscu Carlini, scrittore saggista e poeta prolifico, ci ha abituati – anzi ci ha viziati tanto che oramai lo pretenderemmo da lui come un must (mi si perdoni l’anglismo) – a leggere i suoi racconti o fiabe in edizioni bilingui sardo-italiane.

L’ultima sua pubblicazione s’intitola Sa generalissa/La generalessa, contus de fèminas/ storie di donne (Alfa Editrice, 2023) come da copertina. E’ quasi inutile –  questo per dire che non è inutile –  rimarcare che egli usa il (suo) campidanese con naturalità caparbietà e orgoglio, senza arretrare di fronte a pretese pseudoscientifiche e pseudomoderniste.

Riguardo alla rinnovata impostazione bilingue, adottata da Franco Carlini anche in altre occasioni, come si diceva, – qualche anno fa per le avventure di Su pisittu / Il gatto Efis, Ed. Della Torre,2021 – mi sono subito chiesta quale delle due fosse la lingua di partenza nello scrivere questi ultimi racconti, se l’italiano o il sardo, e poi mi sono permessa di rivolgergli la domanda, esplicitamente. A domanda chiara risposta altrettanto chiara: prima  il sardo; aggiungo subito che questo procedimento traduttivo va indicato in termini tecnici come autotraduzione consecutiva, a prescindere da quale sia la lingua di partenza.

L’autotraduzione letteraria è diventata una branca speciale degli studi traduttologici, mentre la pratica in se è ben documentata a partire dal Medioevo e la riflessione su di essa fin dall’Antichità. Come in altre situazioni analoghe, anche le procedure autotraduttive di Franco Carlini meriterebbero (avrebbero, in verità, meritato da tempo) una approfondita investigazione, anche e soprattutto dialogando coll’autore: una specie di ricerca sul campo. Ma in un primo approccio empirico un lettore competente di entrambe le lingue, se curioso, potrebbe mettere a confronto certi passi per lui intriganti, osservare le soluzioni linguistiche e testuali adottate e rendersi conto, alle volte, delle ineludibili differenze che però a livello del senso complessivo del racconto si devono compensare ed annullare. Si potrebbe inoltre suggerire una lettura comparata ad alta voce (per esempio a beneficio di bambini o ragazzi), di qualche brano a loro adatto, per saggiarne e commentarne la sonorità. Per (far) intuire come lo scrittore ha proceduto per far splendere le frasi, fai lùxiri is frasias, sia in italiano che in campidanese.

Attraversare questi racconti di Franco Carlini è come una visita in una galleria di ritratti pittorici, femminili e maschili. Olga, la bellissima biondina, disinibita, emancipata (e anche sfacciata …). Aleni, Elena, la mansuetudine personificata, che va fuori di testa per l’indifferenza maciullante dei suoi familiari, i quali  approfittano della sua propensione innata a evitare ed appianare i conflitti. Loletta e Vincenza: Vincenza la bonacciona e l’amica Loletta sempre a caccia di uomini. Due sorelle gemelle – da dove si può prevedere un quiproquò – di cui una era diventata prostituta e tenutaria.

E poi gli uomini. Saverio minatore e poi sindacalista imborghesito a tempo pieno, la cui ascesa sociale è certificata dal suo abbigliamento, dalle camicie in particolare. L’impiegato Demetrio, divorato da un terribile mal di testa, che trascorre un orribile periodo in ospedale. Il ricco e metodico e antimodernista Procuratore Generale, che si considera insieme incarnazione e sacerdote della Legge, della Giustizia e dell’Etica professionale e che, giunto al pensionamento, non ha più, davanti a se, nessuna prospettiva né voglia di vivere. Il ragazzo viziato di una famiglia più che agiata, che mette incinta una povera ragazza; diventato un don Federico scapolo cinquantenne fa la stessa brutta fine di suo padre puttaniere ossia bagasseri. Un vedovo si gode per un po’ la vedovanza, e poi viene piantato dalla seconda moglie, straniera bionda giovane ed ambiziosa. Sgradevoli e acuti problemi di coppia, dove sono implicati i figli oppure pesano le differenze dovute all’estrazione sociale e all’istruzione, e dove inquinano la falsità, l’indifferenza, la menzogna.

I personaggi, qui tracciati rapidamente, – schizzi a matita rispetto ai quadri di Franco Carlini, colmi di colori e di descrizioni – agiscono, dialogano e riflettono entro le loro storie e i loro ambienti. Via via che si prosegue nella lettura, il mondo narrato si amplia, ingloba una varietà di ambienti che vanno da quelli urbani continentali fino a piccoli villaggi sardi, e questo allargamento offre al lettore un terreno esteso ma solido sul quale poggiarsi coinvolto.

Proviene la materia primaria, insieme con una moltitudine di dettagli, dalla “cantina della memoria” – così mi è stato confidato – dove si è depositata, dove in maniera aleatoria è stata momentaneamente accantonata una gran mole di ricordi di vita vissuta e osservata, propria e altrui.

Siamo infatti circondati, da sempre, da storie potenziali di eventi reali e immaginati. Ma una volta materializzati oralmente o per iscritto (se uno ne ha voglia e talento), la realtà verificabile e l’invenzione, la realtà e la fantasticheria creduta realtà (come nelle leggende metropolitane), oppure la realtà e la sua falsificazione a volte necessaria, si possono e devono mescolare fino a (con)fondersi organicamente, strutturalmente.

Della realtà narrata può far parte, anzi, fa parte, l’esperienza personale o autobiografica di chi racconta. “Che relazione pensa che vi sia tra lo scrivere e la vita? Come crede che si influenzino reciprocamente?” chiedeva qualcuno, recentemente, ad una scrittrice esperta ed apprezzata. “Direi che sono come due vasi comunicanti.” Ottima immagine o analogia, perfettamente valida ed applicabile anche per noi.

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