Vite quotidiane. La memoria non si archivia

25 Settembre 2013
Giuliani
Giacinto Bullai

Pubblichiamo il primo intervento di Giacinto Bullai che per il manifesto sardo, seguirà una rubrica chiamata “Vite quotidiane”. Di volta in volta verranno intervistati protagonisti di vicende significative. (Red) Durante il processo in Cassazione sulle violenze della polizia contro i manifestanti alla scuola Diaz è bastato un video di 15 secondi per condannare altissimi funzionari dello Stato. Sulla morte di Carlo, invece, filmati di ore e centinaia di foto non sono stati sufficienti nemmeno per aprire un dibattimento». È proprio dall’archiviazione del Giudice per le indagini preliminari Elena Daloiso, datata 2003, che Giuliano Giuliani, padre del giovane ucciso da un carabiniere al G8 di Genova, inizia la ricostruzione meticolosa di fatti, responsabilità oggettive, volti, nomi e violenze di quel pomeriggio di 12 anni fa in piazza Alimonda pubblicata sul suo ultimo libro, “Non si archivia un omicidio”. «Noi chiediamo che si possa celebrare un processo», incalza con fare garbato Giuliani durante la recente presentazione del libro a Cagliari, «perché troppe testimonianze smentiscono categoricamente la ricostruzione dei periti del Pm Franz per cui il carabiniere Placanica avrebbe sparato in aria e il proiettile mortale sarebbe stato deviato da un sasso in volo nel cielo di Genova». Appare ancora incredibile ma fu proprio questa la conclusione mirabolante dei periti Carlo Torre, Pietro Benedetti, Paolo Romanini e Nello Balossino che nel 2002 furono incaricati dal pubblico ministero Silvio Franz di ricostruire la scena del delitto. Incredibile perché le immagini di quella pistola impugnata con la canna ad altezza d’uomo e con la chiara intenzione di uccidere sono ancora davanti agli occhi di tutti. Adesso anche catalogate nel dvd allegato al libro autoprodotto da Giuliani.

Giuliano Giuliani, come si spiega l’archiviazione del procedimento sull’uccisione di suo figlio?
«Abbiamo pagato il fatto che l’omicidio di Carlo sia stato il primo reato accaduto a Genova preso in considerazione dalla magistratura e allora la voglia di cancellare ha prevalso sulla dignità di un Pm e di un Gip».
Anche la corte di Giustizia europea ha riconosciuto che “le autorità italiane non hanno condotto un’inchiesta adeguata sulle circostanze della morte del giovane manifestante”. Adesso come state procedendo in sede giudiziaria?
«Abbiamo recentemente intentato una causa civile contro Placanica e il responsabile della piazza all’epoca dei fatti, vicequestore Adriano Lauro. Vogliamo che si celebri il processo negato in sede penale e preciso che qualunque eventuale risarcimento ci possa essere riconosciuto sarà devoluto per le iniziative umanitarie del comitato piazza Carlo Giuliani».
Poi per la Diaz il processo è andato diversamente
«Infatti sono convinto che se la vicenda di Carlo fosse stata esaminata dopo questa sentenza, il procedimento giudiziario avrebbe avuto un altro esito: nel 2003 ancora non si parlava di “macelleria messicana”, la percezione era diversa».
Quali sono i principali interrogativi che lei pone con il nuovo libro?
«Intanto quelli relativi al contesto che ha portato all’omicidio di Carlo: perché un reparto di carabinieri comandato da ufficiali che come il tenente colonnello Truglio hanno partecipato alle missioni di guerra, attacca senza ragione il corteo regolare di via Tolemaide dal lato di via Caffa? Perché lo stesso reparto scappa dopo un minuto verso piazza Alimonda giustificando, come diranno, che dall’altra parte c’erano migliaia di manifestanti? Io li ho contati dalle foto e non erano più di sessanta mentre i carabinieri erano ottanta. Cosa ci facevano due Land Rover al seguito del reparto con all’interno lo stesso Placanica stordito dai gas lacrimogeni? Perché, quando pochi manifestanti esasperati dagli attacchi ingiustificati attaccano la Land Rover, il reparto non interviene? Tutto ciò è supportato da immagini e video provenienti dal tribunale di Genova».
Arriva il momento dello sparo
«Intanto è bene precisare che nell’istante in cui raccoglie l’estintore, secondo me nel tentativo di disarmare il militare, Carlo si trova a quattro, cinque metri dalla camionetta, come testimoniano video e immagini. Quindi lui non è vicinissimo al carabiniere che spara come sembrerebbe osservando la famosa foto Reuters che lo ritrae di spalle. Questa immagine è ingannevole perché crea il tipico effetto di schiacciamento dovuto al teleobiettivo. Partono due colpi di pistola diretti e il primo colpisce Carlo sotto l’occhio sinistro. Lui si accascia, la camionetta lo investe due volte e si allontana».
Dopodiché avviene un fatto agghiacciante
«Dal confronto di alcune foto scattate in tempi molto ravvicinati si evince che vicino alla testa di Carlo si trova un sasso sporco di sangue che poco prima è a un metro e mezzo sulla sinistra: ciò significa che il carabiniere accovacciato vicino a lui gli ha spaccato la fronte con una pietrata. In quel momento Carlo è ancora vivo perché la ferita causata dalla pietra è irrorata di sangue. Si tratta di un tentativo di depistaggio che emergerà subito dopo quando il vicequestore Lauro ripreso da Canale 5 inscena il finto inseguimento di un manifestante, gridando, “L’hai ucciso tu, bastardo, col tuo sasso”».
Lei ritiene che a sparare sia stato Placanica?
«Abbiamo molti dubbi anche su questo dovuti al fatto che un carabiniere di leva con nessuna esperienza, stordito dall’effetto dei gas lacrimogeni, possa sparare in quel modo con freddezza e mira da killer. Ci chiediamo quindi quanti erano i militari seduti nelle panche posteriori della camionetta all’atto dello sparo e come erano sistemati? Per queste e tante altre ragioni pretendiamo chiarezza, verità e un processo che faccia piena luce sull’omicidio di Carlo».

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