Tuvixeddu e della valorizzazione

1 Marzo 2008

Carlo Tronchetti

Io sono una persona eminentemente pratica, e quindi inizierò da un dato di fatto assolutamente indubitabile. La necropoli punica di Tuvixeddu è unica in tutto il Mediterraneo. E’ da questa valutazione che si devono muovere tutte le ulteriori considerazioni, ipotesi progettuali, decisioni e così via. E partendo da questo non si può non arrivare ad un altro punto, anch’esso, secondo me, basilare ed irrinunciabile. L’area in cui si trova la necropoli di Tuvixeddu deve essere tutelata e le attività progettuali che la riguardano devono essere rivolte alla sua valorizzazione, in quanto elemento culturale fondamentale della storia, non solo della città di Cagliari e della Sardegna, ma della presenza cartaginese nel Mediterraneo occidentale. Altre esigenze, anch’esse sicuramente rispettabili e assolutamente non trascurabili, legate alla vita attuale, in questo caso devono essere quantomeno considerate come esigenze di secondo piano. Non sta certamente a me intervenire in un settore non di mia competenza, quale quello dei lavori pubblici nella città, dove le mie valutazioni si limitano al buon senso comune. Ma anche queste mi portano a pensare che tutto quanto ruota attorno a Tuvixeddu sia rivolto non tanto all’interesse della città, quanto a quello del Grande Lavoro in sè e per sè, con tutti gli annessi e connessi. A questo proposito non è fuor di luogo ricordare una circolare del ministero per i Beni e le Attività Culturali di qualche anno fa, il cui succo, al di sotto di tutti gli orpelli in burocratese, era: “Non rompete le scatole alle grandi imprese che fanno i grandi lavori, altrimenti sono c….i vostri”. Temo proprio che, con il deprecato probabile ritorno in auge della Banda Bassotti, questo concetto tornerà di nuovo prepotentemente alla ribalta nazionale.
Noi ritorniamo invece all’argomento principale di questo contributo, quello della valorizzazione di Tuvixeddu. E qui cominciano i problemi, e non piccoli. La necropoli di Tuvixeddu, come in miglior dettaglio è spiegato da altri, è costituita da centinaia e centinaia di tombe, in massima prevalenza del tipo a camera ipogeica, cioè composte da una camera scavata nella roccia del colle, raggiungibile mediante un pozzo, profondo in media tra i 3 ed i 4 metri, anche se non mancano profondità maggiori. Questo vuol dire che le tombe, dall’esterno non sono visibili. L’aspetto “monumentale” della necropoli si percepisce adesso solo grazie all’attività della vecchia cava che ne ha devastato una parte, tagliando il colle. Così si è formato il cosiddetto anfiteatro di Tuvixeddu, sulle cui pareti si riconoscono, in una visione molto suggestiva, i pozzi e le camere delle tombe. Se non esistesse questo taglio, l’unica cosa che si potrebbe percepire sarebbero i pozzi di discesa alle camere. In pratica avremmo dinanzi un colle tutto costellato di buchi rettangolari, quasi come un immenso gruviera (a parte la forma del buco), con la differenza fondamentale che nel gruviera il buono sta intorno al buco, mentre nel nostro caso è proprio al suo interno che si trova la parte principale e più importante. E questo, come capite, porta ai problemi di cui parlavo prima, e che elencherò brevemente.
Il più importante dipende dalla conformazione stessa delle tombe. Per poterle visitare si deve scendere con una scala a pioli per 3 o 4 metri, chinarsi per entrare nel basso e stretto portello di accesso alla camera, dove, finalmente, si vede …. che cosa? Nella maggior parte dei casi quattro pareti, un pavimento ed un tetto piatto, ricavati nella roccia. Due hanno una decorazione dipinta con figure (la “tomba dell’ureo” è il fiore all’occhiello), poche altre hanno fasce di colore dipinte, alcune presentano una decorazione con segni religiosi o astrali incisi, abitualmente nella parte terminale del pozzo sopra il portello.
Come fare per far scendere i visitatori nelle tombe più interessanti senza che vi siano: a) pericoli per chi scende; b) interventi pesanti sulla struttura della tomba per renderla visitabile; c) rischi per la conservazione degli elementi più delicati della tomba? E’ chiaro a chiunque si sia trovato a gestire un qualcosa aperto al pubblico che il primo punto pone seri problemi. Una cosa che si fa abbastanza abitualmente in casa propria, come salire e scendere da una scala, portata in uno spazio aperto alla visita del pubblico, diviene una fonte di infiniti guai, controversie legali ecc., nel deprecabile (ma sempre possibile) caso di una fortuita caduta e cose simili. Si dovrebbe allora mettere in opera una scaletta protetta del tipo alla biscaglina. Ma questo vuol dire un intervento massiccio nella struttura del pozzo, senza togliere del tutto i rischi. Un consistente afflusso di visitatori, poi, può provocare danni alla pittura delle tombe, come già è avvenuto nelle celebri tombe etrusche dipinte di Tarquinia, che adesso si possono ammirare solo dietro un vetro che isola l’ambiente dalla camera dipinta da quello in cui si trovano i visitatori. Ma le tombe etrusche hanno, fortunatamente per loro, un tipo di accesso diverso, assai più agevole.
Un altro tipo di problemi viene posto anche dal recupero totale delle tombe che si trovano sul colle. La maggior parte di esse (tranne quelle che sono collocate in spazi urbanizzati già da circa un secolo e che quindi non sono state toccate da scavi precedenti) è già stata scavata tra gli ultimi decenni dell’800 e la metà del ‘900. Dopo lo scavo sono state nuovamente colmate di terra. Ora lo svuotarle nuovamente non porterebbe all’acquisizione di alcun nuovo dato archeologico, e porterebbe invece, ancora, ad una situazione di pericolo, perché i pozzetti si aprono direttamente a filo del terreno. Per consentire una visita del colle si dovrebbero allora creare percorsi rigidamente recintati, oppure recintare ogni singolo pozzetto. Ma il rapporto costi/benefici (che dobbiamo sempre tenere presente in ogni nostra operazione di carattere pubblico) giustifica un così massiccio impegno, quale lo svuotamento di centinaia di tombe sotterranee, che non potrebbero essere poi visitate? E che, se anche lo potessero, avrebbero oggettivamente scarsa attrattiva per il pubblico, in così grande quantità? Io ritengo di no. Basterebbe, a mio avviso, asportare la parte superiore del riempimento, in modo da evidenziare il pozzetto, segnalandolo in modo adeguato, e creando dei semplici percorsi pedonali. Anche ne caso ci si voglia allontanare dal sentiero tracciato, cadere da un gradino di 20 centimetri nell’erba è assai diverso che cadere da tre metri sulla roccia.
La visita dovrebbe accentrarsi nell’anfiteatro da dove si possono percepire bene le tombe ed i pozzi, e poi dopo un percorso di visita in cui si osservano alcune tombe dall’alto (queste sì con il pozzetto scavato e recintato), confluire in uno spazio museale. In questo, in una apposita sala, si potrebbero vedere non solo le riproduzioni delle decorazioni delle tombe non visitabili, ma anche, utilizzando le microtelecamere basculanti, potervi navigare all’interno. Gli ormai consueti strumenti divulgativi, quali grafici, ricostruzioni tridimensionali fisiche, ricostruzioni virtuali ecc., sarebbero il naturale complemento alla visita. Il museo, ovviamente, dovrebbe raccogliere una ampia scelta dei materiali rinvenuti nelle tombe e nell’area di Tuvixeddu, in modo da illustrarne la storia e le vicende. Ho detto una scelta e non tutti i materiali, perché le centinaia di tombe hanno restituito centinaia e centinaia di oggetti, prevalentemente ceramici, sostanzialmente ripetitivi e che, esposti tutti assieme, ingenererebbero nel visitatore un cupo senso di oppressione.
Una mia vecchia idea, mai andata in porto, era quella di sfruttare il canyon e lo spazio verso via Is Maglias, per creare un Museo/Laboratorio della città di Cagliari, che la illustrasse dal suo nascere sino ad oggi, collegata con l’area archeologica della necropoli. Avrebbe potuto essere un bel polo di presentazione e produzione di cultura e conoscenza. Ma sembra che queste cose, purtroppo, non interessino poi a molti.

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