A quattro anni dal golpe: la Turchia oggi

1 Agosto 2020

[Emanuela Locci]

Sono passati quattro, quelli che sembrano quattro lunghissimi anni, da quando a metà di luglio 2016 fu organizzato un tentato colpo di stato per rovesciare il leader indiscusso del partito Akp, nonché presidente della Repubblica di Turchia, Recep Tayyip Erdoğan.

In questo arco di tempo sono cambiate molte situazioni, sono entrati in scena, o si sono riproposti in altre vesti protagonisti dell’arena politica turca, oltre alla presenza di altri attori internazionali e nazionali, che hanno decretato tutta una serie di situazioni in cui la Turchia si è trovata o ha fatto in modo di trovarsi.

Diversi sono gli elementi che caratterizzano questo lasso di tempo. Primo fra tutti la stretta sui diritti civili e la deriva autoritaria del governo a maggioranza Akp. Dopo il tentato colpo di stato, non si contano i casi di arresti arbitrari, di processi farsa, di detenzioni illegali che stanno macchiando in modo indelebile la nomea della giustizia in Turchia. Emblematico il caso di Osman Kavala che è detenuto illegalmente da oltre mille giorni. Un triste capitolo della storia recente della Turchia. Altri esempi possono essere citati se si pensa alle decine di avvocati, giornalisti e dissidenti in generale che soggiornano senza apparente o giustificato motivo nelle carceri turche. Notissima la morte per astinenza da cibo di personalità del mondo artistico che hanno scelto la morte per mancanza di sostentamento per rivendicare un giusto processo. Noto parimenti il caso del leader del partito filo curdo Hdp, Selahattin Demirtaş, privato da anni della libertà senza che si giunga ad un processo. Il suo è un esempio eclatante di prigioniero politico.

Ad accompagnare questa stretta vi è un altro elemento ossia la concentrazione di potere nelle mani del presidente e del suo entourage. A guardare dall’esterno pare evidente lo svuotamento di poteri sia dell’esercito che del potere giuridico. Un argomento di sicuro interesse che andremo ad approfondire in seguito.

Oltre questi elementi interni ve ne sono altri di politica estera. Già prima del 2016 la Turchia aveva iniziato un ampio programma di allargamento della propria influenza in varie parti del mondo dall’Africa all’Asia. Particolarmente interessante e importante la sua azione in alcune regioni dell’Africa, regioni che interessano da vicino anche l’Italia. Ci si riferisce in particolare alla presenza turca in Libia, questione di cui si è ampiamente dibattuto e che ha visto la terra libica diventare terra di conquista politica per i maggiori attori internazionali, dalla Russia alla Turchia per l’appunto. Recentissimi i contatti tra il presidente turco Erdogan e il premier Conte per parlare della situazione libica. Un colloquio in cui i due leader si sono espressi favorevolmente rispetto ad una soluzione pacifica della questione. Non è dato sapere in quale modo intendano procedere, anche in considerazione della massiccia presenza di soldati mercenari che da alcuni mesi transitano proprio grazie alla Turchia verso gli scenari di guerra libici. A meno che l’Italia non abbia un asso nella manica e stia lavorando riservatamente per risolvere la situazione, sembra che l’unica certezza sia la presenza militare turca nel territorio, presenza che la Turchia vuole estendere anche ai territori interni della Libia.

Meno conosciute, ma non meno importanti sono le operazioni che il governo di Ankara porta avanti in centro Africa e nel Corno d’Africa. In quest’ultima regione la sua presenza è ormai radicata. La sua presenza si è fatta evidente nella questione della liberazione della cooperante italiana Silvia Romano. Del resto è naturale aspettarsi che l’influenza turca sia in crescita in queste zone, considerati gli ingenti investimenti che sono stati portati avanti da Ankara.

Tutto questo enorme sistema di investimenti che ha messo anche in pericolo la stessa “tenuta” del sistema economico turco ha certo lo scopo di rafforzare la presenza e l’influenza del paese oltre i suoi confini nazionali. Un obiettivo che il presidente Erdogan intende raggiungere anche per bilanciare il crescente disaffezionamento dei suoi concittadini verso il suo partito che negli ultimi sondaggi risulta aver perso importanti percentuali. Ma questa è un’altra storia che illustreremmo in un altro appuntamento della rubrica Turchia e dintorni.

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