Continua lo spopolamento dell’isola

16 Marzo 2014
kristianzZ
Graziano Pintori

La questione dello spopolamento è controversa tanto è che ha raggiunto livelli di guardia, una recente proiezione rivela che trentuno comuni isolani sono destinati a scomparire nei prossimi sessant’anni, alcuni dei quali avranno vita solo per altri dieci – quindici anni

. Le cause di questa nefasta previsione sono diverse, però, come al solito, non tutte le proposte collimano per indicare una soluzione condivisa, nonostante l’affievolimento del valore identitario sia un campanello di allarme eloquente che indica la lenta e inesorabile estinzione dei nostri paesi. Per valore identitario s’intende il senso di appartenenza a un popolo e alla sua lingua, al territorio e al suo paesaggio, alla cultura e alla sua economia, significa tempo, storia, convivenza millenaria su una terra circondata dal mare dove si è reso più particolare il senso dell’identità e della vita. Oggi, purtroppo, come sardi sentiamo, più degli abitanti della terra ferma, un vuoto dentro di noi, quel vuoto che è la consapevolezza del mondo cambiato: diversi sono i mezzi di produzione e i sistemi sociali, l’urbanizzazione e i sistemi veicolari e di trasporto delle merci, cambiata è la comunicazione e la Tv con l’ossessione della pubblicità, inoltre, grazie a internet, non esistono spazi o frontiere che non possano essere raggiunti e superati. Tutto è stato frantumato, semplificato e reso disponibile dal mercato, tutto è stato stravolto, anche “l’isola è stata liberata dal mare che da sempre l’ha tenuta prigioniera tra i suoi flutti” (1). Perciò, non bisogna meravigliarsi più di tanto se l’impatto forte e veloce della globalizzazione ha reso più leggero il senso dell’identità, anche perché è stato favorito dalla latitanza della politica, la quale non ha saputo gestire, filtrare, proteggere l’inevitabile sbandamento economico e culturale conseguenti. La politica nostrana ha preferito affidare ad altri la gestione degli effetti e delle nuove esigenze derivanti dai cambiamenti epocali accennati, non a caso i colossi industriali e dell’energia, del turismo e dell’edilizia, e, non ultima,l’occupazione militare, hanno trasformato radicalmente i connotati fisici del territorio sardo, mentre sulla popolazione ha fatto eco la chimera del benessere costiero, favorendo l’esodo dai centri dell’interno a scapito dell’agro-pastorizia. Le ripercussioni negative hanno influito, come già detto, sulla coscienza identitaria dei sardi, un tema discusso sulle pagine della Nuova Sardegna, nei mesi scorsi, da S. Mannuzzu, P. Fois, G. Pulina, S. Marcuzzi e altri. In sostanza si è detto che la cultura di un popolo non deve essere sovrastata da altra cultura dominante; che l’identità si riconosce anche dai segni del paesaggio, quello che deriva dall’azione di fattori umani e naturali e loro interrelazioni; che la tradizione, la conoscenza, le pratiche farciscono l’identità di un popolo. Inoltre, si è detto che il fragile equilibrio sul quale poggia il futuro dei sardi è minato proprio dagli effetti della globalizzazione, perciò è più che necessario puntellare i cardini della nostra economia costituiti dall’agricoltura e dalla pastorizia e tutto ciò che deriva da queste attività senza tempo, le quali, per la loro sopravvivenza, hanno necessità dell’ambiente favorevole e della presenza costante dell’uomo. Oggi la Comunità Europea, l’Unesco ecc. rendono disponibili degli strumenti legislativi, finanziari, culturali in grado di indirizzare la Sardegna verso nuovi obiettivi di sviluppo, come, per esempio, il Piano di Sviluppo Rurale 2014 – 2020 ricco di potenzialità e proposte. La ricerca di nuove opportunità di sviluppo compatibili con l’ambiente, il paesaggio, le attività umane radicate nella nostra cultura economica potrebbero vivificare la nostra identità. Tali opportunità, molte volte, si rivelano più concrete dei tanti convegni sulla lingua e la cultura sarda, spesso imperniati sulle inutili tendenze di parlare sempre di noi stessi fino alla nausea, senza renderci conto che allo stesso tempo l’abusivismo dilaga, i veleni industriali, militari, minerari ecc. scorrono indisturbati davanti ai nostri bla, bla, bla.
Per concludere, se l’identità è economia, cultura, tradizione come tale và salvaguardata, e con essa va difeso l’ ambiente che da sempre ci accompagna nel nostro lungo cammino dell’essere sardi. Difendere l’ambiente è difendere l’uomo, la pastorizia, l’agricoltura e, non ultimo, il paesaggio che caratterizza il cielo e la terra di cui siamo ospiti: ”il paesaggio è la faccia, il corpo dell’identità di una terra e se muore il corpo anche l’anima se ne va via” (1). Lo spopolamento è il segno tangibile che la nostra anima sta andando via, purtroppo non sappiamo ancora dove andrà a finire.

(1) S. Mannuzzu

3 Commenti a “Continua lo spopolamento dell’isola”

  1. Maurizio Feo scrive:

    Signor Pintori: il suo articolo non mi convince neanche un po’. Da una parte esso dà per scontato che dello spopolamento di alcune zone della Sardegna sia responsabile il venir meno dei ‘valori identitari’. Dall’altra identifica erroneamente detti ‘valori’ con l’economia, (oltre che, correttamente, con la cultura e la tradizione) e da questa identificazione fa derivare la necessità di difenderli..Ebbene: lei crede davvero che se all’improvviso i Sardi riacquistassero il proprio senso identitario smarrito l’economia isolana si risolleverebbe? Qualunque sia la sua risposta, la informo che si può lavorare e produrre anche se privi di qualsiasi spirito identitario.Gli è che non si può pretendere di lavorare tutti comodamente seduti ad una scrivania. Lo scarso entusiasmo è dovuto al fatto che lavorare costa sempre fatica: non lo confonda con l’identità! Le faccio un esempio:la produzione di vino in Sardegna (ma prenda pure quella dell’olio, o quella che preferisce lei) è di ottima qualità: 80 case vinicole prenderanno parte alla 48° mostra di Vinitaly quest’ anno. E vinceranno premi, come pure l’olio sardo fa ogni anno. Ma i giovani non desiderano questi lavori, ‘perché costa troppa fatica chinarsi verso la terra’. Ma anche se i lavori tradizionali vanno perdendosi, come quello del sughero, superato tra non molto da materiali di sintesi, c’è egualmente chi il lavoro riesce ad inventarselo: per esempio, creando uno dei tanti uffici di Posta Privata.
    La sardità non c’entra.

  2. enea canu scrive:

    Signor Pintori,
    mi pare si faccia un pò di confusione tra depauperamento identitario e declino fino a futura scomparsa di alcuni Comuni dell’isola.
    Per quanto riguarda il sentimento identitario direi che il sardo medio ne ha fin troppo, arrivando persino a volersi distinguere da paese a paese, spesso inframmezzando e rinforzando queste distinzioni con “antipatie” territoriali.
    La presupposta scomparsa dei Comuni fa invece riferimento ad una problematica tutta istituzionale e tutto sommato, se si lavorasse in futuro all’accorpamento di Comuni limitrofi, e di soggetti amministrativi locali (province, prefetture, comunità locali, montane e costiere etc) con progetti di sviluppo a medio/ampio raggio con i soggetti amministrativi votati al servizio e alla semplificazione, anzichè alla stratificazione di competenze, per permettere quella crescita sostenibile che lei propone, forse non ci sarebbe bisogno di porgere come sempre il piattino della questua, e verso chi poi? La UE, suggerisce lei, e ancora l’Unesco, come dire che a difendere la Nostra identità, ci devono pensare i “continentali” .

    Cordialità

  3. Graziano Pintori scrive:

    L’articolo non ha la pretesa di contenere la sola verità sull’argomento trattato, perciò è opinabile come i signori Feo e Canu hanno scelto di fare, e per questo li ringrazio.Voglio precisare che, secondo il mio punto di vista, fra le cause, e non l’unica, dello spopolamento dei nostri paesi c’è la perdita del valore identitario, il quale, a sua volta, si alimenta anche con le attività che da sempre hanno caratterizzato l’economia isolana.
    L’accorpamento dei comuni di sicuro sarebbe un modo corretto per porre un argine allo spopolamento, ciò non toglie che il Piano di Sviluppo Rurale 2014/2020 possa essere un valido e concreto supporto. Ricorrere alle proposte che arrivano dall’Europa non significa essere i soliti queruli, ma vuol dire utilizzare quanto è nel nostro diritto; perchè, comunque sia, nel contesto politico e economico globale, siamo, inevitabilmente, anche europei.
    Cordialità

Scrivi un commento


Ciascun commento potrà avere una lunghezza massima di 1500 battute.
Non sono ammessi commenti consecutivi.


caratteri disponibili

----------------------------------------------------------------------------------------
ALTRI ARTICOLI