Contorni. Razzismi d’oggi

1 Dicembre 2014
Solidarietà delle Genti,  Antonio Oliva
Giulio Angioni

L’identità occidentale è così ovvia e disponibile da non essere normalmente evocata, nemmeno quando arma l’islam fondamentalista o legittima le guerre antiterrorismo o attizza le paure e del più rozzo leghismo padano. Se ne possono individuare varie caratteristiche, ma l’essenziale è la convinzione di superiorità di ciò che vagamente diciamo Occidente, che si misura con le diversità del ‘resto del mondo’ quasi solo per rafforzarsi. Essere e sentirsi occidentale, erede del meglio che si è fatto al mondo e la nozione di resto del mondo sono idee vaghe, geopoliticamente vischiose e anche contraddittorie, ma la loro vaghezza non è é causa né segno di una loro scarsa forza.
Non manca chi pensa ancora la superiorità occidentale in termini biologici, per cui il dominio e la subalternità sono spiegati con cause naturali. Ma i modi oggi prevalenti di dare senso al mondo e al modo occidentale di viverci sono solidi non tanto perché si naturalizzano le diversità storico-culturali, ma in quanto il sentimento di superiorità degli occidentali poggia sul dato di fatto che l’Occidente è da secoli dominatore del mondo. Questo sentimento è stato negli ultimi decenni tanto tranquillo e mite da non avere avuto quasi mai bisogno di esprimersi in intolleranze non più correnti. Ha sonnecchiato più o meno dalla decolonizzazione fino all’attentato alle Torri Gemelle, che ha rimesso a nudo e acutizzato l’islamofobia latente. Il contrappeso buono al senso inossidabile della nostra superiorità è stato principalmente la generosità terzomondistica del cosiddetto aiuto allo sviluppo, soprattutto nel campo dei saperi e delle abilità tecniche sul mondo naturale e nelle regole di convivenza etico-civili, e non più tanto nelle idee e nelle pratiche religiose.
La visione-sentimento di superiorità occidentale oggi non può più restare implicita. Anche su misura italiana è diventato esplicito poche ore dopo l’attentato alle Torri Gemelle (per bocca del premier Berlusconi), e anche combattivo. Non si esprime più, se non in discorsi di certo leghismo padano o di estremismi di destra, fondando la superiorità dell’Occidente bianco democratico e industriale su radici e cause biologiche: la superiorità politicamente corretta degli occidentali bianchi non è più una superiorità psico-fisica, genetica. Quest’idea è poco corrente e perfino screditata, anche se per circa due secoli ha fatto parte della visione occidentale insieme con l’altra idea del determinismo geografico e soprattutto climatico. L’Occidente sente, a volte proclama e di norma pratica la superiorità storica occidentale, appunto perché il razzismo accorto di oggi è un razzismo storico e culturale, ma ancora fondante. La rinuncia all’idea della superiorità su base biologica non rende i costrutti razzisti storico-culturali meno robusti, meno boriosi e meno violenti. Anzi il razzismo storico-culturale è più pervasivo e accorto, più aggiornato e meno rozzo. Non giudica, gli basta constatare la propria superiorità evidente dentro e fuori l’Occidente e non si capisce come la si possa non solo negare ma addirittura combatterla. L’Occidente manda le sonde nel cosmo, il Terzo Mondo non riesce a sfamarsi “lasciato a se stesso”. Il consumismo, dal punto di vista delle necessità elementari, è superiore alla fame, per tutti, anche se nella cultura cristiana c’è il paradosso della superiorità morale e spirituale del povero e di chi si fa povero tra e per i poveri, mentre la pluralità culturale del mondo oggi si riproduce, specie in Occidente, nel più appartato villaggio o periferia.
Una facile antropologia è corresponsabile della divulgazione dell’idea naturalistica, e quindi razzistica, che l’inferiorizzazione dell’altro, l’etnocentrismo più in generale, siano qualcosa di universale, perfino di innato. Per cui sarebbe un obbligo per tutti correggere la propensione della specie umana a inferiorizzare il diverso, controllando un presunto naturale razzismo, un po’ come si impara da bambini a controllare gli sfinteri. L’aver compreso questo e sviluppato tolleranze e relativismi a volte è attribuito alla superiorità occidentale in quanto la sola capace di educarsi in senso non etnocentrico e non razzistico. Argomento raffinato ma fallace perché l’etnocentrismo è tutt’altro che ineluttabile o umanamente universale, o naturale, ma è incidente storicamente determinato. Non stigma neo-hobbesiano dell’homo sapiens, ma soprattutto vizio storico dell’Occidente moderno, che si è armato e ornato della sua superiorità etnocentrica nei secoli del colonialismo e dell’europeizzazione del mondo. Ma il resto del mondo inferiorizzato ha imparato sulla sua pelle la dolorosa e pretestuosa fallacia della propria inferiorità. Del resto, l’osservazione diretta di modi di vivere non meno della storia ci mostrano casi significativi di non inferiorizzazione del diverso. Non è rara la superiorizzazione del diverso, dell’estraneo, dello straniero, del non moderno. Una superiorizzazione dell’altro è posta da certuni come causa della disfatta degli imperi azteco e inca al primo contatto con le masnade di Cortés e di Pizarro. In luoghi dove chi viene da fuori di fatto domina è possibile che sia considerato superiore. Dove il forestiero troppe volte è arrivato in armi, dominatore, padrone, signore, ora il forestiero sbarca anche da poveraccio. Ma il sentimento di superiorità occidentale è a disposizione da tempo, sebbene l’essere a pieno titolo occidentali, europei, si faccia ogni tanto problematico, con crisi di identità perché è preoccupazione di luoghi occidentali marginali quella di ‘mantenersi’ in Occidente, nel pericolo di scivolare verso l’Africa vicina, simbolo da secoli di ogni arretratezza da Terzo Mondo.
Chi ritiene che il razzismo oggi sia solo quello violento verso lo straniero, i grandi e piccoli pogrom contro zingari ed extracomunitari, o delle imprese di giovinastri come i naziskin, o di novità medievali come le ronde padane, è poco capace di capire quanto, da occidentali, si è compartecipi di nuove forme del vecchio e collaudato eurocentrismo violento o mite che ci fa sentire al mondo in una posizione di superiorità, ovvia e indiscussa nei più, e, se messa in discussione da uomini e da fatti, quasi solo in funzione di critica agli eccessi violenti, o di critica ai nostri costumi criticabili alla Montesquieu.
Ma le forme odierne del senso di superiorità occidentale sono piuttosto miti, aliene da violenze e intolleranze, collaborative, caritatevoli, new age. Ma simili a quando le differenze di modi di vivere si naturalizzavano col salto mortale di un buonismo colonialista per cui il fardello dell’uomo bianco era la cristianizzazione e l’incivilimento dei barbari e dei selvaggi. La convinzione che l’Occidente abbia sempre da imporre e da insegnare si assorbe per imprinting dalla più tenera età.
Gli eccessi intolleranti e violenti sono solo un aspetto, il peggiore, del modo occidentale di stare e di sentirsi al mondo: ma il peggiore anche perché le violenze razziste servono a mascherare la loro origine, cioè il tranquillo senso di legittima superiorità occidentale, tanto più sicuro di sé in quanto si pensa democratico, tollerante, soccorrevole e rispettoso dei diritti umani, anzi soprattutto per tutto questo bagaglio di valori per noi irrinunciabili, di cui ancora certi occidentali si pensano i soli capaci: quindi valori anche esclusivi, conseguenza storica e culturale unica, che responsabilizza gli elaboratori e quindi custodi e divulgatori, anche in armi, di un modo di vivere concepito e sentito superiore.

*Nell’immagine:  Solidarietà delle Genti, 2011 di Antonio Oliva

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