Laghi, oro e cunette

16 Marzo 2010

cubeddu

Mario Cubeddu

A scuola ci insegnavano a ripetere con orgoglio che il lago Omodeo era il bacino artificiale più grande d’Europa. Nel frattempo la nuova diga ha consentito di raddoppiare il contenuto d’acqua e l’estensione del lago, ma chissà se  è ancora il più grande del nostro continente. Senza dubbio sembra che sia uno dei più inquinati. La notizia è venuta fuori incidentalmente, diffusa da uomini di scienza nel corso di un convegno tenutosi a Oristano per parlare delle prospettive di sviluppo turistico della zona circostante. Nel lago abbondano nitrati, fosforo, potassio e tossine non ben definite. Si è accennato anche ai pericoli che possono derivare alla salute umana dalle sostanze tossiche che l’uso irriguo di queste acque può infiltrare nella vegetazione  e quindi nella catena alimentare. Sorprendersi del comportamento degli organi di informazione sembra essere ormai una dimostrazione di fatua ingenuità, ma una notizia del genere non può fare semplicemente la sua comparsa in una cronaca locale ed essere consumata tra cautele e apparenti smentite. Le si sbatte la porta in faccia con l’argomento che in questo modo si reca danno ai produttori di ortaggi e di mozzarelle della pianura campidanese. L’accertamento dei fatti lo si riserva a un improbabile approfondimento futuro. Individuare le cause delle condizioni attuali del grande lago sarebbe il primo passo per poter esercitare un minimo di prevenzione. Si è presa subito di mira l’agricoltura e l’allevamento dei territori circostanti. Le associazioni degli agricoltori hanno giustamente obiettato che la pressione delle coltivazioni, quindi la diffusione dei concimi lungo il corso del Tirso, non è tanto consistente da giustificare un inquinamento così importante. Si scopre in aggiunta che molti paesi sardi ancora oggi non hanno impianti di depurazione fognaria efficienti e riversano nel fiume e nel lago gli scarichi non filtrati. Anche a questo proposito si può osservare che non sembra poter essere così incisiva la presenza delle poche decine di migliaia di persone che gravitano sull’idrografia del fiume. Sullo sfondo è rimasta invece la presenza a monte della zona industriale di Ottana. Oggi meno che mai, a causa di una crisi che sembra definitiva,  appare opportuno prendere di mira gli stabilimenti industriali, e la chimica in particolare, come principali responsabili dell’inquinamento ambientale. Ma il riserbo sull’argomento da parte della politica e del sindacato sardi, spesso il totale silenzio, non giovano a nessuno. Perché i nodi vengono al pettine e il colore e l’odore dell’acqua inquinata prima o poi saltano agli occhi e al naso. I drammi dell’occupazione non possono costituire un alibi. A suo tempo venivano solo dai soliti fatui e ingenui le riserve sulla corsa all’oro in tutta la Sardegna e in particolare a Furtei. Oggi le scorie di questa sventurata e coloniale iniziativa le troviamo impresse in maniera indelebile sul territorio, sulle facce e nella rabbia degli operai licenziati dalla Gold Mining che sfilano davanti ai palazzi della Regione. In confronto il tema delle cunette apparirà irrilevante. Eppure esso ha un impatto emotivo e delle conseguenze economiche altrettanto importanti. Si è diffusa da circa dieci anni da parte degli enti che si occupano della manutenzione stradale la pratica di contenere lo sviluppo della vegetazione a lato del nastro stradale e nelle cunette con l’uso di sostanze chimiche capaci di far seccare l’erba. Hanno cominciato alcune Province, oggi la cosa è praticata anche dall’ANAS sulla 131, spina dorsale del sistema delle comunicazioni e carta da visita offerta dalla Sardegna a chi attraversa il suo territorio. Il risultato lo può vedere chiunque percorra le strade sarde: mentre la campagna, anche se gelata da una primavera che non si decide ad arrivare, è verde e già fiorita, il viaggiatore è accompagnato da un nastro nero di erba necrotizzata, più che secca. Nelle cunette l’acqua che scorre, o che ristagna, ha i riflessi oleosi delle chiazze di petrolio. La ribellione contro questa pratica è stata tanto diffusa quanto vana. I cittadini comuni hanno lamentato il danno ad un aspetto sano e gradevole del paesaggio. Si buttano soldi in progetti di “decoro urbano” pensando che basti lastricare una piazza per accreditare una vocazione turistica di un paese. E intanto il viaggiatore è portato a distogliere lo sguardo e  scappare da strade in cui alle migliaia di buste di plastica e ad ogni genere di sporcizia si unisce ora il nastro nero prodotto dalla chimica. Anche la gente di campagna, in genere rassegnata a tutto, ha protestato. Il contadino  vede entrare i liquami nei suoi campi, il pastore teme che le sue bestie siano contaminate da un’erba che prima ingiallisce, poi diventa marrone e si spegne in un nero di morte. L’impatto di questi prodotti sul territorio è tutto da studiare e definire. Si tratta di sostanze il cui uso è consentito, ma per cui si raccomanda cautela. Si preferisce ignorare le  conseguenze di lungo periodo. Certo non ci si pone il problema delle migliaia di litri di sostanze chimiche gettate nel territorio, che dilavati dall’acqua sono portati inevitabilmente agli stagni di Cabras e al mare. La protesta generale è arrivata sino agli amministratori. I consiglieri della Provincia di Oristano hanno votato all’unanimità un regolamento che proibisce l’uso dei diserbanti su tutte le strade della Provincia.  Tutto è stato inutile, le cose continuano come prima. Lo può vedere benissimo che percorre la 131 da Cagliari ad Oristano e chi viaggia sulle provinciali di Narbolia e Seneghe.  Ci si giustifica con ragioni economiche: non si ha personale sufficiente per tagliare l’erba.  E’ paradossale che le Province pensino di risparmiare nello svolgere uno dei pochi compiti che giustifichino la loro esistenza. Nonostante il blocco delle assunzioni i dipendenti non sono pochi, aumentano le indennità, l’istituzione sembra esistere per mantenere se stessa, non per svolgere compiti al servizio del bene comune. Se c’è qualcosa su cui non si può risparmiare, in cui ogni investimento ha delle ripercussioni benefiche, è il rispetto di se stessi e del proprio ambiente. Investire e far lavorare per la pulizia del territorio comporterebbe non solo vantaggi occupativi, ma dovrebbe costituire base indispensabile per ogni prospettiva di miglioramento economico. Nessuno è disposto a vivere, soprattutto se ospite pagante, in una stanza lurida e maleodorante. Il padrone di casa può abituarsi  alla sporcizia fisica e morale sino a non accorgersene più, ma l’ospite se ne andrà senza neanche disfare la valigia.

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