Curiosità del vocabolario sardo secondo Antonio Mele

1 Dicembre 2020

[Graziano Pintori]

Ogni volta che noi apriamo la bocca “un’intera visione del mondo parla attraverso noi” (Gramsci).

Ricordiamoci questa frase se ci dovesse capitare fra le mani un opuscolo dal titolo: “Curiosità del vocabolario sardo: termini attinenti agli insetti con relativa proposta etimologica”; l’autore è prof. Antonio Mele docente in pensione, profondo conoscitore del latino, del greco e tenace difensore del nostro idioma da artificiose manipolazioni. L’aspetto tipografico dell’opuscolo è modesto ma dal contenuto assai prezioso, che conferma l’impegno del prof verso la cultura e la divulgazione della lingua sarda. La lettura del libretto mi ha indotto a indossare i panni di un bambino, che ascolta dalla voce di un anziano certi fonemi che, pur tenendo lo stesso significato, sono percepiti con una musicalità primitiva: tilipirche, Θilipirke, Θiliprike, tilibiske, attilibiske. Termini che danno la sensazione di emergere dalla notte dei tempi, con la capacità di scuotere, nel mio caso, la memoria legata alla “pitzinnìa” giovinezza, quando la campagna era a “lacana” poco lontano dall’abitato. Allora si usava la campagna come palestra ludica, dove si facevano sfide su chi per primo individuava “sa chichera” (la cicala), oppure catturava “su curritolu” (il cerambice) afferrandolo per le antenne e farlo “lavorare” con un legnetto; poi c’erano “sos culiluches” (le lucciole), “sas cradanancas” (le zecche) che succhiano il sangue dei cani e delle pecore. “Predu Pischeddu” (la Coccinella) e “Predu Fava” (bruco delle fave) mi creavano inquietudine perché pensavo che fossero persone condannate a essere insetti, chissà per quale maledizione. Anche “sas ghespes” (le vespe) con il loro ronzio mi zittiva per paura di essere punto. Torniamo a noi. Come abbiamo visto la sonorità dei nomi in sardo degli insetti sono in grado di suscitare sensazioni dimenticate, come quelle del fantastico mondo della campagna dove, concretamente, si percepisce che la natura a qualsiasi forma di vita – compresi predu fava e predu pischeddu – ha assegnato un ruolo ben definito, non banale. Non a caso prof. Mele scrive, ” la lingua sarda riflette le attitudini spirituali di chi ne fa uso”. L’opuscolo non trascura le tante contaminazioni che minacciano la sopravvivenza delle lingue in generale, e ancora di più quelle minoritarie, come la lingua sarda. In questa fase della lettura mi è venuta in mente un’intervista di Giacomo Mameli del 2017 al Prof. Marco Pala(1) il quale si chiedeva: “Oggi una visione del mondo può essere contenuta in un tweet?”; pensando a Tramp, l’uomo a capo della potenza più grande del mondo, pare proprio di si, naturalmente al netto delle conseguenze che attualmente il nostro pianeta sta pagando in termini di sconnessione politica, economica, sociale, climatica e via dicendo. Il trampismo, visto così, sembra il preludio di “1984” di George Orwel ideatore del newspeak, la neo lingua artificiale che aveva lo scopo di ridurre la lingua ai minimi termini, priva di astrattismi perché il vero obiettivo politico era cancellare il linguaggio, senza il quale non può esserci opposizione al potere. A questo riguardo l’articolo di Giuseppe Congiargiu comparso sulla Nuova Sardegna del 29 novembre sul saggio di Piersandro Pillonca, mette in risalto i 40 anni di dibattiti sul sardo nell’aula del consiglio regionale. Un dibattito lungo, pesante e auto celebrativo che ha mostrato l’incongruità della politica, compresa quella autonomista, non in grado di rendere coeso il popolo sardo davanti alla questione del suo idioma. Il Congiargiu a tal proposito cita l’On Piretta che nel lontano 1981 disse: ”Vogliono negare non solo la lingua ma qualche cosa di più: vogliono negare l’esistenza stessa del popolo sardo”, ossia l’inconcludenza di certi dibattiti scoprono l’attualità di Orwel. Ben vengano, quindi, gli opuscoli come quelli scritti dal Prof. Antonio Mele, che fra l’altro cita il linguista tedesco H. Weinrich dell’università di Monaco, coniatore di uno spot a favore della lingua sarda: “Noi siamo l’isola delle cinquanta lingue, quindi un’immagine dell’Europa”. Per concludere riporto la dedica di M. Pittau sul libro Grammatica della Lingua Sarda “ Dedico quest’opera ai miei nipoti con l’invito a imparare e usare la lingua dei loro nonni”. Chi ha orecchie per intendere, intenda.

  1. docente di Letterature Comparate – Università di Cagliari

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