Euskadi e Sardegna

16 Aprile 2009

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Mario Cubeddu

Da sardi sconfitti il 15 e 16 febbraio, proviamo a guardarci intorno. Pensiamo alla disperazione di un israeliano di sinistra per avere Benjamin Netanhiau come premier. Certamente peggio che avere Cappellacci. Le conseguenze saranno di sicuro meno cruente. Proviamo a guardare ancora in altre parti del mondo la sorte di popoli piccoli, più o meno come in nostro. Dopo le ultime elezioni il PNV, il partito nazionalista basco, e il suo rappresentante più noto, Juan José Ibarretxe, sono stati estromessi dalle cariche istituzionali. Questo è avvenuto per una perdita di consensi, il successo dell’opposizione, e l’accordo tra il PP, il Partito Popolare, e il PSE, il Partito Socialista spagnolo. La cosa fa una certa impressione e porta a riflettere su percorsi politici che forse ci riguardano da vicino. Il Partito Popolare e il PSE sono ogni giorno in competizione feroce a livello nazionale, eppure nel Paese basco si alleano. Come se avessimo in Sardegna al governo il Partito Democratico di Antonello Cabras insieme al Popolo delle libertà di Comincioli e Cappellacci. Alla presidenza del parlamento basco è stata eletta Arantxa Quiroga, una signora di 35 anni con 4 figli che si è premurata di far sapere che “Io non userei mai il preservativo”. Il Partito Popolare ha preso le distanze dalla Quiroga; in questo si vedono delle differenze rispetto all’Italia neoclericale e ai convertiti della destra. Ma c’è qualcosa che ricorda una Sardegna in cui, almeno a dar retta ai quotidiani, una signora diventa Assessore per aver lavorato all’organizzazione delle accoglienze a papa Benedetto XVI. E’ evidente che sullo sfondo della realtà basca ci sono dei fatti unici, in primo luogo l’esistenza dell’ETA, ala armata di una parte del movimento indipendentista, e la sua politica del terrore. E’ un’organizzazione che ha affrontato la propria crisi politica cercando un senso sul terreno della violenza con attentati e assassinii. Sembrano i colpi di coda dell’animale ferito a morte, almeno a prestar fede a ciò che sta avvenendo in questi giorni: la maggioranza dei leader storici del movimento, gran parte dei quali si trova in carcere con condanne pesanti (Francisco Mujuka deve scontare 2.705 anni!), condanna la lotta armata considerata “una morte a fuoco lento”. Sembra che anche in questo campo Zapatero abbia fatto la scelta giusta quando ha deciso di intavolare delle trattative per una cessazione della lotta armata in Euskadi. L’interruzione della tregua da parte dell’ETA ha fatto perdere molte simpatie, o comunque varie manifestazioni di tolleranza, presso il paese basco. Secondo l’analisi di Luis R. Aizpeolea su El Pais di qualche settimana fa, “dopo la rottura della tregua da parte dell’ETA, l’immensa maggioranza della sinistra “abertzale” (semplificando, potremmo dire “indipendentista”) desidera la fine del terrorismo e solo l’1% appoggia incondizionatamente la direzione dell’ETA, operativamente più debole e socialmente più isolata che mai”. La delegittimazione sociale dell’ETA ha coinvolto, a quanto pare. anche il nazionalismo moderato del PNV, il Partito nazionalista basco. Ibarretze, il “lehendakari” sostituito dal socialista Patxi Lopez, aveva proposto un piano che puntava all’autodeterminazione del popolo basco, a elezioni libere in cui esso potesse pronunciarsi sui modi e i tempi dell’indipendenza. Da quanto si svolgono libere elezioni in Spagna, è la prima volta che la guida dei baschi passa in mano a non nazionalisti, con una Governo guidato dal Partito Socialista. Pur di mettere da parte il PNV il diavolo si è unito all’acqua santa. I prossimi anni dimostreranno se questa è la strada giusta. Una piena sconfitta dell’ETA può portare nuovo ossigeno al PNV, stretto sinora tra la lotta dura contro i terroristi ( il Paese basco ha una polizia autonoma) e le accuse di complicità da parte del nazionalismo spagnolo. Cosa c’entra la Sardegna con ciò che è stato detto? Il 3% conquistato dall’IRS alle regionali ha ben poco a che fare con questi discorsi, visto che uno dei riferimenti ideali di questo movimento politico, che ha l’”indipendentzia” nel nome, è Gandhi con il suo pacifismo, che si tratta di un gruppo ancora fortemente minoritario rispetto alle dimensioni di un PNV, e che inoltre, cosa non certo secondaria, si dichiara alieno da qualsiasi richiamo “nazionalista”. Ciò che importa è comunque il fatto che mai tanti voti erano andati a un gruppo così esplicitamente paladino dell’indipendenza sarda. E questo nonostante che la scena sia stata occupata negli ultimi mesi da un gruppo sparuto di avventurieri di varia provenienza, la cui capacità di attirare l’attenzione dei giornali è stata pari almeno alla loro sfrontatezza e ambiguità politica. Naturalmente con la conclusione delle elezioni regionali hanno cessato di svolgere il loro ruolo, qualunque esso fosse, e sembra che siano stati spazzati via dalle onde e dal maestrale che tempestano Mal di Ventre.  Attenzione maggiore avrebbe meritato invece l’inchiesta su frange dell’indipendentismo di sinistra che, almeno idealmente, appaiono più vicini a esperienze iberiche. I dirigenti di “A manca pro s’indipendentzia” hanno difeso a spada tratta l’innocenza dei loro affiliati che sono stati accusati e rinchiusi in carcere per attività illegali. Non si ha motivo di dubitare di ciò che dicono, anche perché appare difficile vedere oggi tra i giovani sardi un pericolo del genere. Alcune attività di intelligence e di polizia in Sardegna hanno un aspetto da operazione preventiva, in cui non è sempre facile distinguere l’abuso dalla legittimità. La Sardegna ha vissuto nel campo delle garanzie giuridiche tristi esperienze e sarebbe opportuna una vigilanza democratica maggiore, specie quando dei giovani sono tenuti in galera in condizioni durissime per anni prima di essere processati e assolti, talvolta perché accusati di aver collocato ordigni che non sono esplosi o non potevano comunque esplodere, o far danni a cose e persone. Per riprendere il filo e concludere, ci permettiamo di parafrasare una frase famosa, sperando che nessuno si offenda: il “fantasma della sardità” continua ad aggirarsi nella nostra “terra disisperada”. Spesso si parla di “sardismo diffuso” dando ad intendere che si tratti ormai di pensieri e sentimenti  ormai introiettati e vissuti con serenità. Invece, al contrario di ciò che avviene in Spagna, si tratta di un modo di vedere se stessi e il mondo che costituisce un costante, infinito, tormento. Ne è una prova l’ironia riservata al “vellutino” di Soru dagli avversari interni del PD. Così come lo sbandierare da parte del centro-destra la vittoria degli “italiani” Cappellacci e Berlusconi e tutta l’enfasi su come la Sardegna sia uguale al “resto d’Italia”. La guerra è naturalmente rimbalzata sulla povera bandiera dei Quattro Mori che la nuova Giunta ha provveduto a ingabbiare di nuovo nel suo involucro legittimista e feudale. “Este de Moros custa bandera, chi furat su coro”, canta la voce struggente di Francesco Pilu dei Cordas e Cannas; nonostante il tradimento sardista, nonostante si dica che è stata imposta dai conquistatori aragonesi, il simbolo che è stato riferimento per generazioni di sardi continua evidentemente a muovere, per odio o per amore, molti cuori.

4 Commenti a “Euskadi e Sardegna”

  1. Michele Podda scrive:

    Caro Cubeddu, bada che:
    – Dimentichi che dietro Cappellacci c’è B.; è sempre meno peggio?
    – Un confronto del sardismo indipendentista con realtà come quella basca, mi pare sproporzionato e inopportuno, specie se in conclusione tu stesso lo sottolinei.
    – Affermi infatti che qui, in questa terra disisperada, la sardità è ancor più fantasma, ridicolizzata dal PD (salvo uno con la schiena dritta) e sopraffatta dagli “italiani”.
    – Giustamente precisi che la guerra che qui si combatte, CHE TU COMBATTI, si limita alle peripezie della “povera” bandiera dei Quattro Mori, ingabbiata dalla Giunta, tristemente cantata dai Cordas…
    – Non chiarisci di quale tradimento sardista si tratta, se l’alleanza o la consegna o la scissione o altro.
    – Non è chiaro da quale sentimento sgorga la tua sensibilità e l’attenzione per la bandiera dei sardi
    Quale grigiore!

  2. Simona S. Murru scrive:

    Condivido l’analisi di Michele Podda.
    Anch’io ritengo che quello del ‘tradimento sardista’ sia uno slogan buttato lì, nel mucchio, facendo finta ‘di dire qualcosa di sinistra’.

  3. Marcello Madau scrive:

    Colgo alcune delle obiezioni di Podda, ma penso che il disagio di Mario Cubeddu sia sincero e reale, e non certo un pretesto per dire qualcosa di sinistra. Rispetto alle scelte del PsdAZ, non c’è bisogno di pretesti.
    La confusione sui simboli, di cui abbiamo accennato in ‘Continuità territoriale’ , è grave, ma, come succede in questi casi, segno di uno smarrimento più ampio e comunque di una crisi assai complessa.
    A qualcuno non piace il termine tradimento, termine che forse evoca situazioni troppo intensamente affettive per i livelli propri a questa classe politica. Io non sono sardista e non mi sento tradito, ma capisco che lo siano i compagni che nel sardismo indipendentista e progressista hanno creduto e credono. Il loro punto di vista mi pare assai rispettabile, e i sardisti governativi credo farebbero un grave errore a irriderlo e a non tenerne conto. In fin dei conti la causa molto seria di queste reazioni sta nella alleanza di governo che il PSdAz, storicamente fondato nella tradizione autonomista sarda, ha stabilito con partiti e forze economiche tanto retrive quanto assai espressive del colonialismo ‘italiano’. Dal punto di vista politico la lettura in termini di tradimento ideale è quanto meno possibile e certamente lecita.

  4. Mario Cubeddu scrive:

    Da una settimana ero fuori dalla Sardegna e avevo difficoltà a collegarmi a Internet, per cui non ho potuto rispondere prima alle osservazioni di Michele Podda al mio articolo. Ringrazio Marcello per essere intervenuto sul tema del “tradimento” sardista. A Michele e a Simona ho da dire solo che mi meraviglia come un articolo che ha tanti elementi al suo interno venga in sostanza ridotto alla critica a un sostantivo. Le cose di cui mi interessava parlare erano Euskadi e quello che vi accade, compresa l’auspicata definitiva crisi dell’ETA, e la vicenda giudiziaria di A Manca.Chiaro che il raccordo con la Sardegna era pretestuoso, sollecitato forse solo dalla figura del nuovo presidente dell’assemblea basca, una donna e una figura in qualche modo berlusconiana. Quanto al tradimento sardista non capisco cosa si voglia di più e dove si voglia andare a parare; in realtà non mi importa molto una guerra di bandiere. Sul tradimento non ho dubbi, non è la prima volta che avviene, è quasi una costante nelle realtà di oppressione. Cortez arriva alla capitale Azteca guidato da popolazioni locali. Quanto al peso specifico del “combattere” di ciascuno di noi, sarà il tempo a consentire un giudizio minimamente sensato.

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