Gli ombelichi del mondo

1 Gennaio 2008

Francesco Cocco

Il processo di aggregazione tra le forze politiche è fenomeno al quale la sinistra erede del movimento operaio dovrebbe guardare con grande interesse. Nei partiti maggiori gioca un peso rilevante il tentativo di fagocitare o, quanto meno, egemonizzare le forze minori. In queste ultime, a loro volta, la ricerca di unità pare nascere essenzialmente dall’esigenza di sfuggire all’ indebolimento ed alla stessa scomparsa come risultato della disciplina elettorale in cantiere.
Quel che maggiormente deve interessare, a chi si richiama ai valori storici del movimento operaio, è la mancanza di un partito capace di farsi progetto sia sul piano della complessiva proposta politica che della stessa forma partito. Sembra prevalere una sostanziale resistenza all’unità. Così il massimo obiettivo raggiungibile è sinora quello di una federazione tra le diverse soggettività.
Dalla scomparsa del PCI è andato affermandosi nella sinistra di classe un’ accentuata frammentazione non necessariamente in sé negativa per il momento storico e le ragioni che la sottendevano. Spesso essa nasceva dalla necessità di creare blocchi di resistenza alla dissolvenza, raggruppandoli secondo le varie sensibilità. Vi era poi l’esigenza di riaggregare forze che sarebbero state condannate alla dispersione. Ma nel tempo le diverse soggettività hanno finito per alimentare fenomeni di leaderismo sia al centro che in periferia.
Ancora una volta possono aiutarci le categorie gramsciane nell’interpretazione di un fenomeno negativo come quello del leaderismo. Siamo in presenza di quel tipo di politici che egli chiamava “ombelichi mondo……. che tentano di inserirsi nella storia per profittarne, e restano infallibilmente fuori dalla storia e dalla vita”.
Ormai a 40 anni da quel grande avvenimento politico che fu il 68, credo vada fatta una seria riflessione sul suo significato storico e sulla sua eredità, negli aspetti positivi ed in quelli negativi. Ma c’è un valore altamente positivo ed attuale sul quale non possiamo non concordare: la coralità come momento democratico in contrapposizione alla passività propria della dimensione leaderistica della politica.
L’attuale crisi dei partiti nasce anche dal fatto che la ricerca del consenso non avviene più sulla base di un progetto capace di generare egemonia ma sulla sollecitazione di desideri ed istinti individuali. E questo avviene attraverso i sondaggi , che diventano il volano per inseguire il consenso.
Tutto ciò non è di per sé un fatto riprovevole. Potrebbe anzi essere positivo se finalizzato all’elaborazione di un progetto che non sia mera ricerca del soddisfacimento di interessi individualistici. Un progetto che si ponga in posizione dialettica per far prevalere l’interesse generale su quelli individuali e corporativi. Purtroppo il modello con cui oggi generalmente si procede ha l’ effetto di distruggere lo spirito comunitario, la stessa dimensione aggregante della legge.
I cosiddetti partiti leggeri, non partecipati, fondati essenzialmente sull’apparire nei media segnano non solo un mutamento antropologico della politica ma un complessivo indebolimento della democrazia. Per altro verso bisogna prendere atto che, pur perdurando la crisi del “partito ideologico”chiuso in una propria visione del mondo, tende timidamente a ricomparire l’idea del “partito progetto”. E questo non tanto in riferimento alla forma partito quanto alle sottolineature che vengono da tutte le parti in relazione ad un progetto di società all’altezza dei tempi.
A questi appuntamenti non sempre la sinistra sembra esser sufficientemente pronta. Anche per questo occorre riscoprire il momento della coralità ed evitare la passività che comporta l’infeudamento al leader.
E’un obiettivo al quale non possiamo sottrarci se vogliamo che la sinistri ritrovi una reale unità fondata su un comune progetto partecipato e non sui funambolismi di piccoli e grandi leader da qualificare più “ombelichi del mondo” che reali dirigenti della sinistra di classe.

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