Il caso Assange e la libertà di espressione

22 Marzo 2022

[Aldo Lotta]

“L’isolamento prolungato è una caratteristica principale della vita di molti detenuti nelle prigioni di massima sicurezza degli Usa. Per il diritto internazionale equivale alla tortura. Il divieto di tortura è assoluto e le vane promesse di un equo trattamento di Assange da parte degli Usa costituiscono una minaccia a tale divieto”

Queste le dichiarazioni del 13 marzo di Julie Hall, vicedirettrice delle ricerche sull’Europa di Amnesty International in seguito alla decisione della corte suprema del Regno Unito di negare il ricorso di Julian Assange contro una precedente decisione dell’Alta Corte che ne autorizzava l’estradizione negli USA.

Le vicende agghiaccianti legate alla permanenza di Julian Assange nel carcere di alta sicurezza di Belmarsh, noto come la Guantanamo del Regno Unito, sono note o facilmente reperibili sulla rete.

Quanto ora è oltremodo urgente è che quanti hanno realmente a cuore la democrazia, e i diritti fondamentali dell’uomo chiedano a gran voce la sospensione di questa atroce e liberticida sentenza e la liberazione dell’imputato.

Nel tempo diverse voci più che autorevoli si sono levate in favore di Assange, tra cui gli organi delle Nazioni Unite che si occupano della detenzione arbitraria, seguite dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (attraverso la risoluzione 2317). In occasione della giornata mondiale della libertà di stampa, il 2 maggio 2019, 22 illustri giuristi svizzeri hanno firmato un appello chiedendo la concessione da parte del loro Paese l’asilo ad Assange sottolineando che tale concessione avrebbe rappresentato “una dichiarazione d’impegno da parte del governo nei confronti della società civile, dei diritti umani e della libertà di stampa”. Appelli moltiplicatisi nel tempo grazie ad interventi di personalità o organizzazioni politiche in numerose nazioni del mondo libero, tra cui, nel 2019, in Italia.

Ma il movimento d’opinione più importante e più interessato in tutta questa amara vicenda non può che essere quello del mondo del giornalismo:

Nel gennaio 2020 l’appello Speak up for Assange, promosso da giornalisti di 96 Paesi ha raccolto 1100 firme, tra cui quelle di Barbara Spinelli, Noam Chomsky ed Edward Snowden: per i promotori “in una democrazia i giornalisti devono poter rivelare i crimini di guerra e casi di tortura senza il rischio di finire in prigione” per cui “esortiamo i nostri colleghi giornalisti a informare il pubblico in modo accurato sugli abusi dei diritti umani da lui subiti”.

Nessuno dunque oggi può ignorare o mostrare disinteresse verso due aspetti fondamentali riguardanti questa vergognosa e disumana vicenda:

  • La lunga detenzione di Assange durante questi anni, prima dentro l’ambasciata ecuadoriana e poi in un carcere di massima sicurezza, non ha visto, purtroppo, una presa di posizione politico-istituzionale decisa e coraggiosa a favore della sua liberazione. Il silenzio degli Stati e il rifiuto di offrire l’asilo politico ad Assange equivale, di fatto, ad una sua condanna all’estradizione e alla morte civica.
  • Colpisce oggi, immediatamente dopo la sentenza della Corte britannica il silenzio assordante (assurdo) da parte di chi dovrebbe essere maggiormente interessato al destino di Assange: i giornalisti. Secondo l’appello dei giuristi “il giornalismo investigativo non sarebbe stato possibile senza la piattaforma internet Wikileaks di Julian Assange. Grazie a Wikileaks sappiamo tra l’altro che la NSA (il servizio segreto di spionaggio elettronico statunitense) sorveglia le persone sull’intero pianeta, che nessun programma di computer è sicuro dai servizi segreti americani, che in Afghanistan ci sono stati omicidi e torture ‘extralegali’ con l’approvazione degli Stati occidentali”. Ma, oltre i crimini di guerra in Afghanistan e Iraq, Wikileaks ha pubblicato nel corso degli anni notizie riservate sui bombardamenti ed eccidi nello Yemen, sulla corruzione del mondo arabo, sulle esecuzioni extragiudiziali in Kenia sulla rivolta tibetana in Cina, sulle purghe di Erdogan in Turchia..

Ecco perché è diventato urgente e imprescindibile (anche e soprattutto ora che le vicende della guerra in Ucraina apportano al nostro pianeta ulteriori ingiustizie e oppressione) che il mondo dell’informazione rivendichi con forza il diritto-dovere di riportare quanto accade senza limiti o condizionamenti.

I giornalisti, insieme alla società civile, possono e devono chiedere la fine della campagna scatenata contro Julian Assange. Prima che una condanna definitiva cada anche su di loro si adoperino per esigere che i governi finalmente intervengano per la sua liberazione, assumendosi le responsabilità di proteggere la libertà di espressione e di informazione sancite dalla nostra Costituzione, dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani dell’ONU e dalla Carta dei Diritti Fondamentali della UE.

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