Il sardo lingua romanza minoritaria

1 Novembre 2016
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Graziano Pintori

Il Prof. Antonio Mele ci mette a disposizione un’altra fatica: “Il Panorama Linguistico Italiano – Il Sardo Lingua Romanza Minoritaria – Problematiche Varie”. Un lungo titolo che vale come premessa al contenuto del libro, il quale rappresenta il terzo volume di linguistica sarda prodotto nell’arco di due anni. Vale la pena ricordare i titoli delle due opere precedenti, anch’esse stampate dalla Tipografica Nuorese di Nino Florulli: “Termini Prelatini della Lingua Sarda Tuttora Vivi nell’Uso” e “Termini Attinenti all’Ambito Avio-Faunistico con Relativa Proposta Etimologica”.

Un tridente di linguistica che mette in campo non solo le problematiche culturali e politiche della nostra lingua, ma anche un ricco vocabolario in grado di vivificare il linguaggio del sardo parlato e scritto. L’autore, da strenuo difensore della genuinità della lingua sarda, coerente con l’onestà intellettuale che lo contraddistingue, afferma che le opere da lui prodotte hanno come primo e ultimo fine la divulgazione, scevra da qualsiasi compromesso e intento speculativo, compreso quello pecuniario: “… ciò che scrivo deve servire come stimolo alle nuove generazioni perché s’impegnino nello studio, leggano, attizzino la curiosità, si informino e convivano con la nostra cultura”.

In questo si coglie la natura genuina dell’animatore culturale e dell’insegnante, che vive con preoccupazione il fatto che non ci sia una consapevolezza diffusa, soprattutto fra i giovani, di appartenere a una cultura linguistica capace di confrontarsi anche con altre lingue, pur definite più avanzate. Sappiamo bene che l’assenza di consapevolezza trova radici lontane come l’isolamento, che ha favorito il pensare la nostra lingua in termini di minoranza allogena sottoposta al potere dello Stato, che storicamente ha sempre imposto un freno alla sua emancipazione. Su questo punto non si possono non richiamare le grandi responsabilità dell’intellettualità nostrana e della politica autonomista. La preoccupazione dell’autore traspare anche dal fatto che il sardo subisce la pervasività della lingua italiana, anche in quei settori in cui il sardo presenta capacità espressive ed elaborazione di concetti moderni e innovativi.

L’anglicismo, l’italianismo e il “porcheddinu” dilagano nella comunicazione, senza che ci si renda conto delle offese linguistiche che colpiscono la nobiltà del nostro idioma. Il prof. Mele cita, con rammarico, le tante famiglie che ormai non sono più in grado di tramandare il sardo parlato perché, fra le tante cause, impoverite, linguisticamente parlando, dal verbo televisivo, dalla superficialità culturale e dalla globalizzazione, insidiosa e fuorviante; a tutto questo si aggiunga l’uso dell’inglese imposto come paradigma linguistico per sentirsi moderni e proiettati verso il futuro, lasciando alle lingue minoritarie un ruolo dai sapori antichi conditi di arretratezza. Il risultato è l’omologazione linguistica di pasoliniana memoria, da cui il sonoro di un italiano stentato, un sardo linguisticamente scorretto e un inglese povero o da analfabeti: un insieme di aridità verbale, o, se si vuole, di assenza di spiritualità linguistica.

Leggendo i libri di Mele ci accorgiamo che siamo vicini al capolinea della lingua sarda, perciò bisogna unire tutte le forze possibili: famiglia e scuola, Regione Sarda e Comuni per costruire una trincea di resistenza nei confronti “dell’apatia e dell’indifferenza”, ma anche nei confronti dello Stato e dell’ottusità politica e culturale. Senza remora alcuna bisogna pretendere dallo Stato che “…la lingua sarda deve essere insegnata in tutte le scuole di ogni ordine e grado, non come lingua opzionale ma come materia obbligatoria inserita nei programmi ministeriali”, su questo fronte non deve mancare l’impulso decisivo della Regione Sarda con le altre amministrazioni locali. Fiducia alle famiglie e risorse alle scuole, dice Prof. Mele, poiché luoghi in cui si può far emergere la memoria storica e capire che la parola possiede “la capacità sorprendente e quasi magica di ricostruire il passato che si riteneva morto e sepolto nell’oblio”.

Inoltre, è indispensabile coinvolgere i giovani, interpellarli, farli sentire protagonisti attivi nel difficile percorso per la salvezza del nostro idioma: “… bisogna colmare il divario comunicativo generazionale”; essi non possono essere estranei alla questione linguistica, devono essere invogliati a recuperare la lingua materna come ricerca di un’identità culturale, che le istituzioni ufficiali non hanno mai preso in seria considerazione.

L’autore considera il bilinguismo dei sardi come qualcosa di naturale “…è una ricchezza che deve essere preservata” dice citando Gramsci, quando raccomanda alla sorella Teresina di “ non commettere l’errore di proibire ai figli di parlare in sardo”. Con molta schiettezza l’autore afferma che la “Lingua Comuna” non esiste, giacché “lingua politica costruita a tavolino, che nessuno parla essendo del tutto slegata dall’anima popolare”. Secondo il prof. Mele “bisogna rispettare tutte le varietà dialettali, concedendo loro pari dignità”. “Accanto all’italiano si usi dunque il sardo nelle sue molteplici varietà”. “La lingua è una realtà in continuo movimento, sempre oscillante tra arcaicità resistenziale e spinta innovativa”, tutto il contrario del modello immobile, ingessato, fittizio e incomprensibile della Lingua Comuna.

Alla fine, tra il serio e il faceto, l’autore cita un paradosso che non è un paradosso: “la patria del sardo non è la Sardegna, ma la Germania” perché in quel luogo non ci si limita solo ad insegnare linguistica sarda, ma si tengono corsi per parlare in sardo, come pure in Spagna e nella Repubblica Ceca. Chi ha orecchie per intendere, intenda. A medas annos.

5 Commenti a “Il sardo lingua romanza minoritaria”

  1. Neo Sardo scrive:

    Sperando che il “panorama linguistico italiano” del titolo del libro non tradisca il considerare da parte dell’autore il sardo come una lingua fortemente imparentata con l’italiano e tralasciando il trito concetto di “isolamento”, buono per tutte le stagioni, vorrei commentare i seguenti passaggi dell’articolo: “Con molta schiettezza l’autore afferma che la “Lingua Comuna” non esiste, giacché “lingua politica costruita a tavolino, che nessuno parla essendo del tutto slegata dall’anima popolare”. Certo che nessuno la parla, questa Lingua Comuna, dato che è uno standard per l’uso del sardo s c r i t t o! Prosegue l’articolo: “Secondo il prof. Mele “bisogna rispettare tutte le varietà dialettali, concedendo loro pari dignità”. E’ proprio ciò che la Lingua Comuna fa ogni giorno, rispettando tutte le varietà del sardo parlate ma uniformandone lo scritto. Come vorrebbe insegnare il sardo nelle scuole l’autore del libro? Soltanto oralmente? Lasciando al docente la scelta di quale grafia utilizzare nei testi di insegnamento? E quali e quanti testi, quindi, uno per ogni 377 comuni sardi? E come decidere la grafia di ognuno di questi 377 testi, se anche scrittori/poeti di uno stesso comune usano/hanno usato grafie proprie e personali? A me pare che la “arcaicità resistenziale” sia quella di chi si oppone ad uno standard per il sardo scritto, e ribadisco s c r i t t o, contro una piena ufficializzazione ed insegnamento della lingua nelle scuole sarde, anche come materia veicolare.

  2. Graziano Pintori scrive:

    Per lingua standard scritta si intenderebbe, quindi, come più volte segnalato dal Mele, di un “esperanto sardo” da memorizzare come un regolamento. Faccio mie le parole usate dall’autore quando definisce la lingua standard scritta senza anima, perché priva del contributo del parlato popolare, da cui si forgiano nuovi termini che attualizzano e rendono viva qualsiasi lingua. In caso contrario si tratterebbe di un codice scritto sconosciuto al resto del mondo e criptato come i codici segreti.
    Non bisogna banalizzare la questione dell’insegnamento scolastico con la battuta di “un testo per ciascuno dei 377 comuni sardi”, sarebbe più che sufficiente adottare un testo per ciascuna variante: Campidanese, Logudorese, Gallurese, Nuorese, Ligure/Tabarchino, Catalano, Sassarese; a questi personalmente aggiungerei anche tutte le altre sub-varianti locali e/o territoriali, tipo: l’Ogliastrino, il Baroniese, il Barbaricino con il “colpo di glottide”, il Planargese ecc. ecc., ben sapendo e tenendo conto che morfologia e sintassi nella nostra lingua sono omogenee.
    Ringrazio il lettore per l’attenzione prestata.

  3. Neo Sardo scrive:

    Il parlato popolare si può ben scrivere in forma standard, con regole chiare e non certo segrete e criptate (http://www.regione.sardegna.it/documenti/1_72_20060418160308.pdf). Nessun esperanto da memorizzare: una volta imparate le regole chiunque può scrivere con lo standard in lingua sarda, che lei giustamente dice avere morfologia e sintassi uniformi. Gli ormai numerosi testi di ogni tipo prodotti in LSC da autori provenienti da ogni parte dell’Isola dovrebbero aver dimostrato che uno standard scritto per la lingua sarda può essere usato da tutti e per qualunque scopo. E basti ascoltare i relatori e i partecipanti agli incontri del Coordinamento per il Sardo Ufficiale, i quali sarebbero secondo i detrattori dello standard gli aspiranti uccisori delle parlate locali: ognuno parla usando la propria variante! Lo standard scritto è fondamentale se si vuole davvero ufficializzare l’insegnamento dl sardo nelle scuole di ogni ordine e grado. Riguardo la sua proposta per i testi di insegnamento, ho contato 11 versioni di libri per l’insegnamento del sardo—ma i suoi “ecc” dicono di un’approssimazione per difetto. Considerando la scuola italiana come abaco per una sommaria conta dei libri di testo di italiano—grammatica e letteratura—utilizzati nelle scuole primarie, secondarie di I grado, secondarie di II grado, ho contato circa 20 libri. Considerando soltanto l’insegnamento del sardo come materia propria e non come lingua veicolare per altre materie, fanno: 20×11=220 libri!

  4. Neo Sardo scrive:

    E libri delle altre materie scritti in sardo? I libri di storia in sardo? Di geografia, matematica, scienze, storia dell’arte, tecnologia, musica…? Ogni libro in—almeno—11 varianti di sardo. Ma se il sardo è uno solo, basta un libro solo! Un bambino della Valle d’Aosta, uno della Lombardia, uno dell’Abruzzo, uno del Lazio, uno della Campania, uno della Sicilia, leggono diversamente tra loro l’italiano standard. E ne parlano uno ancora più differente. E nel campo letterario, ad esempio, lo stesso standard dell’italiano che dovrebbe appiattire lo stile di scrittori diversi tra loro produce una varietà incredibile di “voci”. I libri di Grazia Deledda sono stilisticamente diversi da quelli di Italo Calvino, di Pasolini, di Moravia… Ognuno di questi autori ha la propria originale “voce”, riconoscibilissima, pur usando tutti lo stesso standard scritto, così come in tutte le altre lingue è così. Compresa quella sarda.

  5. Graziano Pintori scrive:

    La scrittura sono i segni convenzionali con i quali si rendono visibili le parole. La scrittura si arricchisce di nuovi termini e terminologie trasmessi dall’oralità, dal parlato quotidiano di tutte le lingue. Il sardo non è una lingua dominante perciò acquisisce nuovi vocaboli soprattutto dall’italiano, poi dall’inglese, dal francese, ed essendo nell’era della globalizzazione anche da altre lingue lontane. La ricchezza e l’originalità della nostra lingua consiste proprio nel fatto che ciascuna variante orale e scritta acquisisce i nuovi termini adattandoli al proprio modo di esprimersi e/o comunicare. Questa preziosa caratteristica non necessita di nessun’altra lingua scritta dominante extra uterina, o se si vuole partorita da un laboratorio linguistico, che esproprierebbe la comunità dei sardi parlanti e scriventi di un ruolo fondamentale del loro essere sardi. Di ciò mi convince il credere che chi parla e scrive in sardo è capito senza difficoltà, indipendentemente dalle varianti utilizzate, da coloro che pensano e ascoltano in sardo. Infine, non faccio la conta dei libri necessari per mandare avanti questo vitale obiettivo, ritengo che sia necessario un intelligente sussidiario per ciascuna variante e sub variante linguistica.
    Cordialmente

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