Istruzione senza attributi

16 Settembre 2009

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Pierluigi Carta

Nella scuola ci sono già, inizialmente, fin troppe inibizioni: è un istituto che richiedendo un vastissimo numero di consensi si fonda sul compromesso e si orienta verso il generico. L’educatore più abile e apprezzato è colui che è meno libero; sono molti gli equivoci sui quali si basa la scuola pubblica italiana dal dopoguerra in poi, equivoci che derivano dalla vetustà e dall’aria di inviolabilità che la scuola stessa aveva e che con l’ultimo ventennio di modifiche non si è sgravata ma bensì si è aggravata adeguandosi allo standard di cultura popolar-mediocre suggerito dalle istituzioni e sostenuto dalla cultura di massa diffusa dai media in stile Mike. Oggi tali inibizioni sono esasperate da un sistema scolastico che fa acqua attraverso le falle sempre più grosse nello scafo del precariato, sul quale si regge ormai tutta la struttura dell’educazione italiana. Lo Stato preferisce non avere sul libro paga perpetuo la totalità delle necessità salariali del personale perché si auspica di riuscire a ridurne pian piano il numero.
Non potendo ancora sbarazzarsi del personale di ruolo, la Gelmini persegue il suo intento di tagliar le teste “in eccesso” sulle quali si reggono però numerose discipline e le politiche di sostegno; col maestro unico mina alle basi un modello pedagogico che richiama l’attenzione dei massimi esperti in materia, deforma le cattedre nelle scuole medie e superiori aumentando il carico didattico e l’ammontare delle ore settimanali, taglia svariati corsi accademici accorpando le cattedre e chiudendo i corsi magistrali. L’autunno tiepido si apre con le precarie proteste, si è dato il via ai sit-in in tutta Italia, fanno da battipista Milano e Roma, le città sarde non rimangono però indietro: Sassari e Cagliari si distinguono già dal 2 e dal 7 settembre con sit-in davanti all’Ufficio scolastico provinciale e al Consiglio regionale, andando ad occupare perfino la 131. Qui da noi la protesta in nudità non è ancora arrivata ma probabilmente non tarderanno dato che la condizione isolana è tra le peggiori. I numeri non tornano secondo Peppino Loddo, che sfida ad un pubblico confronto Armando Pietrella, il direttore dell’Ufficio scolastico regionale. Secondo il segretario della FLC, Pietrella ha danneggiato ulteriormente il sistema scolastico sardo, già affondato sotto i colpi della Gelmini, attivando in meno 121 immissioni in ruolo. La CGIL in questo frangente sta vicino al mondo del precariato scolastico, sono infatti molteplici le denunce che vogliono presentare al presidente della Giunta il primo giorno di scuola: “questo federalismo accattone sottrae i costi scolastici allo Stato e li accolla alla Regione – circa 20.000.000 €, soldi già destinati all’autonomia scolastica – la farsa dell’accordo Baire-Gelmini non garantisce il diritto al lavoro e in più è stato pubblicizzato in maniera disonesta” parole del segretario. A suo supporto sostengo che la Gelmini ha dichiarato infatti che non ci sarebbero stati licenziamenti, omettendo di citare, forse per vergogna, i 7.000 docenti che quest’anno non rivestiranno alcuna supplenza. Il Psd’Az presenta la Mozione Sanna, Dessì, Manichedda, Planetta, Solinas sulla scuola sarda e sull’Accordo stipulato tra la Regione sarda e il Governo nazionale; nonostante la loro appartenenza alla maggioranza impegnano con questa mozione la Giunta regionale a non ratificare in alcun modo l’Accordo siglato in data 31 luglio 2009, e a procedere ad un nuovo accordo col governo nazionale, alla luce di ampie consultazioni del mondo della scuola. È senz’altro apprezzabile il gesto, peccato che la mozione sia ritardo, dato che le “ampie consultazioni” rivelano da almeno undici mesi quali effetti avrebbe prodotto la manovra Gelmini, e che il loro assalto alla diligenza risale al febbraio di quest’anno, in tempi già sospetti. La Giunta comunque ha presentato il programma regionale di sviluppo della XIV legislatura, anni 2010-2014 con buon ottimismo e dal sottotitolo “lo sviluppo nasce dall’Io”. Senza umorismo è facile palesare il paradosso costante in cui la nostra società si trova e con che metodi viene governata. I conti del bilancio sardo sono in rosso e la Baire riesce solamente a farsi preda e con lei tutta l’isola; la giunta ha previsto il peggio dell’ideologia Moratti, con i buoni scuola spendibili egualmente in scuole pubbliche o private – un’altra regalia ai ceti abbienti e un altro affondo al settore pubblico – con la sottrazione di ingenti fondi alla scuola pubblica e con la parificazione delle scuole private. Sono stati inoltre stanziati 90 milioni di € per la formazione professionale, rendendo effettiva la possibilità di espletare l’obbligo formativo anche nelle scuole di formazione. Il primo risultato si è manifestato con 8.000 studenti dirottati dalle scuole secondarie. L“io” dal quale dovrebbe nascere lo “sviluppo” regionale è disagevole immaginarselo. Non è infatti piacevole figurarsi in uno studente odierno, italiano o sardo che sia, il quale incarna il prodotto scadente di una fabbrica di cultura becera e appiattita verso la mediocrità; oppure vedersi precario in una società sempre più precaria che toglie dignità e sicurezza al lavoro. Esso diventa via via la merce di scambio più facilmente sacrificabile e vessabile. La forza-lavoro continua ad essere pagata non in base a quel che rende, ma in relazione ai costi necessari per produrla, o meglio per mantenerla. In questo periodo di crisi, il lavoro, ovvero ciò che dovrebbe distinguere l’uomo dagli altri animali e stimolare la sua iniziativa e le sue doti creative, gli viene negato e nei casi più fortunati restituito sotto forma di un privilegio parziale e labile, che non può fungere da punto aggregante di una società disgregata già di per sé. Se nella società capitalista, il lavoro era per Marx fonte di alienazione, in quanto presupponeva la negazione della natura umana e l’estraniazione dall’altro uomo, oggi al crepuscolo del neocapitalismo è diventato mera ancora di salvezza nel mare d’incertezza e vana speranza cardine di un’esistenza borghese, asservita alle esigenze del mercato globale e non del territorio in cui si espletano le funzioni sociali che formano la personalità dell’individuo. Si può dedurre quindi che da un”io” sardo povero non possa che svilupparsi una regione sarda altrettanto povera. Quindi la Baire sembra che spinga per realizzare il più celermente possibile tale povertà oppure dimostra che il suo “io” è già impoverito, e in tal caso non le si può pretendere granché.

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