La morte ai tempi del Coronavirus

16 Aprile 2020
(Ansa/Andrea Canali)

(Ansa/Andrea Canali)

[Amedeo Spagnuolo]

L’evento più terribile e solitario attraverso il quale l’uomo è costretto a passare è sicuramente quello della morte. Ma in questi mesi, nei quali siamo stati aggrediti da questo virus tanto piccolo quanto potente, migliaia di uomini hanno dovuto sperimentare un tipo di morte ancora più terribile, la morte in piena e totale solitudine all’interno di un asettico ospedale, imbrigliati da fili e cannule, lontani dai propri cari, lontani dal dolce e sofferente sguardo di una madre, di una moglie, di un figlio che danno al morente il non trascurabile conforto di essere stato amato e la certezza di poter comunque rimanere nel cuore di quelle persone con le quali si è condivisa la vita o una parte di essa. E invece niente, la peste dei nostri tempi non concede nulla, chi si ammala viene scaraventato in un’angosciante dimensione di paura e solitudine. Non poter morire nella propria casa, una sorta di luogo sacro nella quale si è vissuta la vita nella gioia e nel dolore, quella casa impregnata dall’esistenza di chi ci sta per lasciare e vorrebbe almeno avere la consolazione di poter comunicare ai propri cari che il momento di morire è arrivato, abbandonare questo mondo e non poter esprimere ciò se non forse a un estraneo (medico, infermiere, prete) se pur dotato di grande sensibilità, è veramente un destino troppo ingiusto e incomprensibile.

L’uomo grazie alla sua dimensione razionale e alla filosofia ha sempre cercato di alleviare le angosce che nascono dai pensieri sulla morte, attraverso dei ragionamenti che potessero quanto meno, offrire qualche spunto di riflessione utile ad attenuare un po’ quell’angoscia, analizziamone qualcuno, i primi che mi vengono in mente. Marco Aurelio intendeva la morte come una sorta di riposo dopo le innumerevoli traversie che l’uomo è costretto a subire durante la sua vita, infatti, egli diceva: “Nella morte è il riposo dai contraccolpi dei sensi, dai movimenti impulsivi che ci tirano qua e là come marionette, dalle divagazioni dei nostri ragionamenti, dalle cure che dobbiamo avere per il corpo”. Leibniz affermava: “Non si può parlare di generazione totale o di morte perfetta, intesa rigorosamente come separazione dall’anima. Ciò che chiamiamo generazione sono sviluppi ed accrescimenti e ciò che chiamiamo morti sono involuzioni e diminuzioni”. Hegel dal canto suo sottolinea il fatto che: “La inadeguatezza dell’animale all’universalità, è la sua malattia originale; ed è il germe innato della morte. La negazione di questa inadeguatezza è appunto l’adempimento del suo destino”. Io che amo la filosofia devo onestamente ammettere che le suddette illuminanti riflessioni non mi aiutano ad accettare un po’ più serenamente la sorte che è toccata a tutte quelle persone che sono state costrette a morire da sole o magari con il pietoso conforto dei nostri eroi della Sanità Pubblica che oltre a svolgere il loro massacrante lavoro si son dovuti sostituire alle famiglie di quei poveri malati e, con infinito dolore, probabilmente stringendogli la mano, condividere con loro quegli ultimi istanti.

La testimonianza di Marina Vanzetta, 55 anni, operatrice di un’ambulanza del 118 è emblematica: «La signora era in fin di vita, ci siamo fermati attorno al letto e l’abbiamo accudita come figli. Non volevamo se ne andasse da sola, l’ho accarezzata, le ho tenuto la mano, le ho sistemato una ciocca dei suoi capelli bianchi e sottili…Insomma: l’ho accompagnata fino alla morte. Ho fatto quello che avrebbe fatto una figlia».

È doveroso dire però che la situazione drammatica che l’Italia sta vivendo a causa della pandemia non è causata solo dalla virulenza del Coronavirus, diciamocelo francamente ci sono delle responsabilità politiche enormi dovute ai continui tagli che la Sanità pubblica ha dovuto subire negli ultimi anni. Andiamo con ordine: innanzitutto ci siamo mossi in ritardo, infatti, i casi di polmonite anomala vengono segnalati in Italia già a fine dicembre, a Piacenza, con 40 polmoniti in una settimana, a Milano 70 polmoniti in più al giorno ecc. In tutto questo periodo, come è facile comprendere, il virus ha circolato liberamente.

Il problema della scarsità dei posti letto in terapia intensiva che nel 2012 (anno degli ultimi dati europei disponibili) vedeva l’Italia con 12,5 posti ogni 100 mila abitanti, il Belgio 15,9, l’Austria 21,8, la Germania 29,2. Ci sono poi i tagli alla Sanità realizzati a partire dal 2012 da tutti i governi che si sono succeduti: Monti; Letta; Renzi ecc. L’Italia poi ha meno infermieri di tutti i paesi dell’Europa occidentale: 8,5 per 1000 abitanti in Europa; 5,8 in Italia.

Dunque una vergognosa politica dei tagli alla Sanità pubblica perseguita sostanzialmente da tutti i governi degli ultimi vent’anni che, coerentemente, con la logica che in genere guida la politica italiana, non ha tenuto presente della situazione “imprevista” ma non impossibile della pandemia da Coronavirus che stiamo riuscendo a fronteggiare solo grazie al coraggio e all’abnegazione di medici, infermieri e operatori sanitari che in non pochi casi, rimettendoci la vita, stanno cercando di combattere ciò che poteva probabilmente essere affrontato prima e meglio se solo non avessimo avuto una classe politica dedita principalmente alla cura di sé piuttosto che alla tutela di un fondamentale bene comune come la sanità.

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