L’Editto delle Chiudende irrompe nel romanzo sardo

16 Maggio 2023

[Francesco Casula]

L’Editto delle Chiudende è senza ombra di dubbio l’evento che maggiormente entra prepotentemente nella poesia e nella tradizione popolare sarda: perché è uno dei più funesti in quanto colpisce a morte non solo l’economia sarda ma il comunitarismo, che in tutta la storia, fin dalla civiltà nuragica, aveva caratterizzato la società sarda.

   Contro tale editto per primo lanciò i suoi strali dell’ironia il principe dei poeti satirici in lingua sarda, Diego Mele, soprattutto con “In Olzai non campat pius mazzone” (In Olzai non campat pius mazzone/ca nde l’hana leadu sa pastura,/sa zente ingolumada a sa dulzura/imbentat sapa dae su lidone). La sua critica all’Editto gli varrà la condanna all’esilio, comminatagli dalle autorità politiche e religiose.

   La tradizione popolare ci consegna poi la bella quartina (Tancas serradas a muru/fattas a s’afferra afferra/si su chelu fit in terra/l’aiant serradu puru): in quattro brevissimi versi abbiamo la sintesi perfetta di quell’evento. Attribuita a Melchiorre Murenu, in realtà l’Autore è stato un frate cappuccino, Gavino Achena di Ozieri.

   Nella seconda metà dell’Ottocento a Nuoro si afferma un cenacolo di poeti (Salvatore Rubeddu, Giovanni Antonio Murru, Pasquale Dessanai ecc) che si scagliarono, con la loro poesia popolare e in lingua sarda, contro le leggi ingiuste che avevano permesso a pochi privilegiati di impossessarsi di vaste tanche. E mi piace ricordare che fu nel clima di questo rinascimento locale che si affermarono personaggi come Grazia Deledda, Sebastiano Satta e Francesco Ciusa, il maggior scultore sardo, e con loro Antonio Ballero e Giacinto Satta, pittori e romanzieri nello stesso tempo.

E proprio in quel momento storico, esattamente il 26 aprile del 1868, una domenica, a Nuoro Paskedda Zau, diede vita a una ribellione, passata alla storia come rivolta di “Su Connotu”, Brevemente: Paskedda Zau, vedova, con 10 figli a carico, in strada, all’uscita della messa, si rivolse alle donne che con lei avevano assistito alla celebrazione.

Raggiunta la piazza antistante la chiesa, cominciò a chiamare anche gli altri nuoresi invitandoli alla ribellione. Che si trasforma in vera e propria rivolta con più di 300 persone – soprattutto donne – che assaltano il Municipio, scardinano le porte, asportano i fucili della Guardia nazionale, scaraventano in piazza i mobili e i documenti dello stato civile ma soprattutto i documenti catastali (su papiru bullau) sulle lottizzazioni dei terreni demaniali (dell’Ortobene e di Sa Serra, circa 8 mila ettari), che l’Amministrazione comunale – espressione degli interessi dei printzipales e della borghesia intellettuale e professionale, per lo più massonica – aveva deciso di vendere a famelici possidentes. Sottraendoli all’uso comunitario di pastori e contadini (che consentiva legnatico ghiandatico e pascolo per le pecore), viepiù ridotti alla miseria: uso che costituiva, per le comunità, un sollievo alla povertà, aggravatasi in seguito alla  violenta carestia, che, nel 1866,  li aveva colpiti duramente, mettendoli in ginocchio e portandoli sull’orlo della catastrofe.

   In tempi a noi più vicini, uno scrittore del calibro di Giuseppe Dessì, nel suo capolavoro “Paese d’ombre”, parlando dell’Editto delle Chiudende, lo definisce “Una legge famigerata… che sovvertiva un ordine durato nell’Isola da secoli”

   Ed oggi irrompe in uno straordinario romanzo in lingua sarda “Sas primas abbas”*, di Giuanne Fiore di Ittiri, valente poeta e ora anche prosatore de giudu.

   Ecco che cosa scrive:”A mastru Pitzente li faghiat piaghere a iscultare sos piseddos chistionende in Carrela ‘e Sas mendulas. E b’hait bortas ch’issu puru intraiat in s’arrejonamentu, tzitende s’istoria. Lis ammentaiat s’impreu cumonale chi in s’antighidade si faghiat de sass terras pro su recattu a su bestiamene e pro sa linna, a domos e a cuiles. Usos seculares, arraighinados in sa zente e passados da-i babbu in fizu. Li naraian “Su connottu”. Gai pro tempus longu. Fintzas a cando, inter sa fine  de su 1700 e-i sa prima mesania de su 1800, cun disamistades sambenosas in tottu sos biddattones, su podere uffitziale de domo e de foras hat dadu manu franca a sos printzipales. E los han tancados a muru, cussos terrinos, battende a giompimentu l’evento del passaggio dalla utilizzazione collettiva delle terre alla formazione della proprietà privata.

Gasichì in su mese de santuaine de su 1820 beniat imbandizadu su“Regio Editto sopra le Chiudende e sopra i terreni comuni…nel Regno di Sardegna”. (Traduzione in italiano: Al maestro Vincenzo faceva piacere ascoltare i giovani della Via delle mandorle che discutevano. E a volte anche lui partecipava alle discussioni, citando la storia. Ricordava loro l’utilizzo comunitario che si faceva delle terre per nutrire il bestiame e per raccogliere la legna, per le case e gli ovili. Usi secolari, ben radicati nella gente e tramandati da padre a figlio. Li chiamavano “Il conosciuto”.

Così per un lungo tempo. Fino a quando fra la fine del ‘700 e il primo ‘800, con sanguinose inimicizie in tutti i terreni, il potere ufficiale, di casa e straniero, ha permesso ai principali il possesso. E li hanno recintati con muri, quei terreni, portando a compimento l’evento del passaggio dalla utilizzazione collettiva delle terre alla formazione della proprietà privata. Cosicché nel mese di settembre del 1720 avveniva il bando sul “Regio Editto sopra le Chiudende e sopra i terreni comuni nel Regno di Sardegna”.  

*Giuanne Fiore, Sas primas abbas, Soter editrice, Villanova Monteleone, 2017

1 Commento a “L’Editto delle Chiudende irrompe nel romanzo sardo”

  1. Salvatore Pinna scrive:

    In realtà i terreni demaniali oggetto della rivolta furono solo quelli di Sa Serra: l’Ortobene non è mai stato demaniale ma dei privati. Solo da qualche anno l’amministrazione comunale sta portando avanti l’acquisizione della montagna.
    Sa Serra di allora, inoltre, come si evince dalle carte catastali del De Candia, era un’area più piccola di oggi, la cui estensione era circa 4350 ha.
    Come ho mostrato nel mio libro “Da Nùgor a Nùoro. Studi stporici su un villaggio medievale sardo”, l’uso a saltus di Sa Serra risale al 1496, quando la zona era chiamata Olbenita e fu ceduta dal feudatario, don Pero Maça de Liçana, alla comunità nuorese, in cambio di un pagamento annuale di 1455 lire sarde da pagare in due rate.

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