Pandemia e disuguaglianze

16 Giugno 2021

[Roberto Mirasola]

La pandemia nel 2020 ha colpito la nostra Economia quando ancora non ci eravamo ripresi dagli effetti della crisi finanziaria globale e dalla crisi dei debiti sovrani nell’area euro, ciò ha causato la recessione più grave dal dopoguerra.

Naturalmente erano e sono presenti mali strutturali ben conosciuti: scarsità degli investimenti, scarsa attività di ricerca e sviluppo, alto debito pubblico, alta pressione fiscale. Problemi ai quali bisogna dare una soluzione se vogliamo definitivamente cambiare pagina.

I danni maggiori li hanno subiti le imprese operanti nel settore dei servizi con chiusure che hanno colpito in particolar modo le microimprese. Il numero di persone rimaste senza lavoro è considerevole, anche a seguito delle cessazioni dei contratti a termine non rinnovati e del venir meno di nuove assunzioni in un generalizzato clima di “sospensione” delle attività, inclusa quella della ricerca di lavoro. Nonostante il leggero incremento dell’occupazione nel terzo trimestre 2020 Banca d’Italia parla di 500.000 posti di lavoro dipendente perduti a causa della pandemia, e il sole 24ore conta ben 800.000 occupati in meno. Nel 2020 aumenta il tasso di povertà, risultano essere oltre 2 milioni le famiglie in povertà assoluta, il 7,7% del totale, con un marcato aumento rispetto al 2019, oltre un milione di persone in più con il conseguente annullamento dei miglioramenti registrati fra il 2018 e il 2019. Nell’anno della pandemia, pertanto, la povertà assoluta ha raggiunto, in Italia, i valori più elevati. In questo scenario bisogna dare atto al governo Conte di aver introdotto 100 miliardi di euro pari al 6,1% del PIL per cercare di gestire la crisi sanitaria.

L’incremento della campagna vaccinale e i dati pubblicati dall’Istat oggi fanno ben sperare per il futuro. A maggio 2021 danno segnali positivi sia l’indice di fiducia delle imprese che quello dei consumatori. Banca d’Italia parla di espansione del PIL pari al 4%. Va detto che si tratta di segnali incoraggianti ma ancora non possiamo parlare di ripresa. Ci si chiede dunque se è opportuno in questo momento seguire le sirene di Confindustria facendo venir meno il blocco dei licenziamenti. Magari sarebbe necessario un allentamento graduale, aspettando che il miglioramento in atto sia consolidato. Questa decisione invece pone diversi interrogativi ai quali nessuno sa rispondere. Quanti saranno i posti di lavoro che si perderanno? E quali conseguenze si avranno sul piano sociale? Il precedente governo Conte era riuscito a diminuire il numero delle vertenze aperte, da 140 a 99, questo rischia di fare aumentare le vertenze sul lavoro visto che sono diverse le aziende pronte a licenziare: la vicentina Forall confezioni, proprietaria dello storico marchio Pal Zileri, per non parlare della Whirpool a Napoli. Insomma, nessuno sa cosa succederà in Italia dall’1 luglio. Il pericolo che si ritorni a un clima d’incertezza è concreto.

Se è vero, dunque, che i dati economici sono incoraggianti, bisogna anche chiedersi come intende procedere l’esecutivo per quanto riguarda la redistribuzione della ricchezza prodotta. Un recente studio pubblicato dalla Lavoce.info ha evidenziato come in Italia lo 0,1% più ricco ha visto raddoppiare la sua ricchezza netta da metà degli anni 90 sino al 2016. Più precisamente da 7,6 milioni di euro metà anni 90 a 15,8 milioni di euro nel 2016 facendo raddoppiare la sua quota dal 5,5% al 9,3%. Al contrario il 50% più povero è passato dall’ 11,7% della ricchezza nel 1995 al 3,5% nel 2016. Tale studio si è basato sui registri delle imposte di successione presentate all’Agenzia delle Entrate dal 1995 al 2016.

Si evince che l’accumulazione della ricchezza avviene per il tramite di donazioni e eredità ricevuti nel corso della vita con la precisazione che i grandi lasciti ereditari sono stati soggetti a un carico fiscale complessivo in diminuzione. Tutto questo favorito da una trasformazione del regime di tassazione delle successioni che è passato da un sistema progressivo a un sistema proporzionale e addirittura si arriva nel 2001 ad una soglia di esenzione molto più elevata favorendo, di fatto, i grandi patrimoni. E’ dunque scandalosa la proposta  avanzata da Letta di istituire una dote di 10.000 euro per i diciottenni finanziata attraverso una tassa sulle eredità superiori ai 5 milioni di euro?

Proposta che ha un’idea originaria nell’economista francese Thomas Piketty, non certo un rivoluzionario, e ripresa in seguito da Fabrizio Barca. Non si tratta di “prendere i soldi dalle tasche dei cittadini” come ha risposto il presidente Draghi ma di iniziare a porsi il problema di una più equa ripartizione della ricchezza per limitare le notevoli diseguaglianze che ormai si stanno facendo sempre più insostenibili.

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