La proposta di legge Realacci-Lupi

16 Giugno 2013

Stefano Deliperi

Non c’è da meravigliarsi della disinvoltura con cui si gioca con termini e parole, anche e soprattutto nei testi legislativi, per far apparire bianco ciò che è nero e viceversa.
L’Italia di questi tempi è un emblematico laboratorio in proposito.
Uno degli esempi più evidenti è l’operazione messa in campo dalla trasversalissima alleanza cementata fra Maurizio Lupi, deputato P.d.L. e oggi Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, ed Ermète Realacci, deputato P.D., Presidente dell’VIII Commissione permanente “Ambiente” della Camera dei Deputati e presidente onorario di Legambiente, per giungere a una nuova normativa che – sotto le mentite spoglie della sbandierata salvaguardia del territorio – consenta nel concreto le più nefaste speculazioni immobiliari.
Il metodo seguito non cambia: “l’obiettivo dichiarato” è quello di “limitare il consumo del suolo”, ma in realtà si tratta di “un aumento del consumo del suolo a esclusivo vantaggio dei costruttori”.
Lo dice chiaramente l’art. 2 della proposta di legge: si può consumare il suolo, purché si “paghi un contributo per la tutela del suolo e la rigenerazione urbana”, così per ristrutturare le aree urbane devono esser date ai costruttori altre aree libere e integre. Con tale contributo – cioè il corrispettivo del consumo di altro suolo – si  rende possibile la ristrutturazione urbana: “il contributo di cui al comma 1 si applica in tutto il territorio nazionale con riferimento ad ogni attività di trasformazione urbanistica ed edilizia che determina un nuovo consumo di suolo” (art. 2, comma 2°, della proposta di legge).
E come si determina il “contributo”? Semplice, “è legato alla perdita del valore ecologico ambientale e paesaggistico, che esso determina”. In parole povere, sarà determinato da un accordo fra amministratori comunali e speculatori immobiliari, alla faccia dell’ambiente e dei cittadini.   Oppure “il contributo può essere sostituito, previo accordo con i comuni, da una cessione compensativa di aree a finalità di uso pubblico, per la realizzazione di nuovi sistemi naturali permanenti quali siepi, filari, prati, boschi, aree umide e di opere per la sua fruizione ecologica e ambientale, quali percorsi pedonali e ciclabili” (art. 2, comma 3°, della proposta), senza minimamente specificare se la titolarità delle aree vada ai Comuni o rimanga ai costruttori, né chi paghi le opere da realizzare.

Si prosegue addirittura con la previsione di “uno strumento finanziario da parte della Cassa depositi e prestiti SpA, anche garantito da beni demaniali, che prevede…..condizioni finanziarie e tassi di interesse vantaggiosi per l’investimento dei privati”.  Una vera e propria follìa oltre che un’aberrazione giuridica: la garanzia per le agevolazioni in favore dei costruttori è costituita da “beni demaniali”, cioè i beni del demanio nazionale, della collettività, che per legge sono “inalienabili, inusucapibili ed in espropriabili” (art. 823 cod. civ.).
Per non parlare dei “diritti edificatori generati dalla perequazione urbanistica”, commerciabili senza limiti, neanche temporali (art. 7 della proposta di legge), nonché incrementati da ulteriori “premialità, compensazioni e incentivazioni” (art. 9 della proposta di legge), quando la giurisprudenza ha giustamente detto chiaramente che tali diritti edificatori non esistono (vds. sentenza Cons. Stato, sez. IV, 21 dicembre 2012, n. 6656).
Oppure la previsione di “comparti edificatori” (art. 5 della proposta di legge), costituiti anche solo dai  “proprietari che detengono la maggioranza assoluta dei beni immobili in base al loro valore imponibile ai fini dell’applicazione dell’IMU” per la trasformazione dell’intera area interessata attraverso strumenti attuativi, anche in danno dei proprietari non aderenti, che possono esser sostituiti da “un soggetto imprenditoriale selezionato” dal Comune territorialmente competente.
Questi sono solo alcuni dei punti qualificanti (in negativo) della proposta di legge presentata dall’on. Realacci e da numerosi altri deputati del P.D. che riprende, senza nemmeno molta fantasia, la proposta di legge “Principi in materia di governo del territorio” presentata dall’on. Lupi nel 2005 e stoppata da una durissima opposizione da parte di urbanisti, associazioni ecologiste e culturali.
Ancora ritornano.     Ancora una volta dobbiamo fermarli.
Il disegno di legge del Governo Monti per la tutela del paesaggio agricolo era un buon punto di partenza, dimenticato anche dal proponente allora Ministro dell’agricoltura Mario Catania, oggi deputato sottoscrittore della proposta Realacci, al pari di tal Ilaria Carla Anna Borletti Dell’Acqua coniugata Buitoni, più comunemente Ilaria Borletti Buitoni, già presidente del F.A.I. e Sottosegretaria ai beni e attività culturali.
Sotto il profilo della strategia parlamentare, potrà avere scarsa efficacia anche il buon testo proposto dal MoVimento 5 Stelle, visto che il testo base sarà quello Realacci e più.
C’è bisogno di tattiche parlamentari dilatorie, di una durissima opposizione diffusa da parte di associazioni, comitati, personalità e di contro-proposte nette e chiare.
Ottima quella predisposta da Vezio De Lucia, Paolo Berdini, Luca De Lucia, Antonio di Gennaro, Edoardo Salzano, Giancarlo Storto, da sottoscrivere e sostenere.
Sembrerebbe da inserire unicamente un ulteriore comma, il 5°, all’articolo 2 (territorio urbanizzato): “Non è consentito alcun intervento di trasformazione del territorio, a qualsiasi titolo, qualora il Comune sia sprovvisto di strumento di pianificazione urbanistico-territoriale di carattere generale”.
Sono, infatti, ancora numerosi i Comuni dove vige il Far West urbanistico in assenza di piani regolatori generali o piani urbanistici.
Coraggio, la guerra per la tutela del Bel Paese sarà durissima.
qui la proposta di legge P.D. on.li Realacci e più “Norme per il contenimento dell’uso di suolo e la rigenerazione urbana”, depositata il 15 marzo 2013
qui la proposta di legge MoVimento 5 Stelle on.li De Rosa e più “Norme per il blocco del consumo del suolo e la tutela del paesaggio”, depositata il 27 maggio 2013
proposta di legge De Lucia, Berdini, di Gennaro, Salzano, Storto per la salvaguardia del territorio non urbanizzato.
Relazione.
Ricerche convergenti evidenziano come ogni anno, in Italia, si urbanizzano 35.000 ettari di suolo agricolo e forestale, una superficie pari a 4 volte quella di una città come Napoli (MIRAF, 2012). I tre quarti della crescita urbana interessano le pianure fertili del paese: si tratta di aree strategiche per la sicurezza alimentare della nazione (il tasso di auto approvvigionamento alimentare dell’Italia è attualmente, secondo i dati forniti dal MIRAF, intorno all’80-85%), a più elevata capacità produttiva, sovente caratterizzate da aspetti rilevanti di rischio idraulico e di fragilità ambientale. Un aspetto preoccupante del fenomeno, quando analizzato alla scala geografica nazionale, è che se da un lato la crescita urbana tende a concentrarsi, in termini di valori assoluti, nelle regioni a più elevato tasso di urbanizzazione (Lombardia, Emilia Romagna, Campania, dove si è prossimi o si è superato il valore del 10% della superficie territoriale), i tassi più alti di crescita urbana si riscontrano invece in regioni “insospettabili”, nelle quali il territorio e il paesaggio rurale si presentano più integri, come per esempio la Basilicata e il Molise (ISTAT, 2012), dove appaiono particolarmente attive le dinamiche di dispersione insediativa.
Il ritmo vertiginoso della nuova edificazione in territorio agricolo e nello spazio aperto è stato determinato in particolare da due fattori: da una parte, l’abbandono di un patrimonio sempre più vasto di immobili (privati e pubblici) dismessi, sottoutilizzati, variamente degradati; dall’altra, la realizzazione di nuovi insediamenti a bassa e bassissima densità. Basta citare alcuni dati relativi al comune di Roma, dove ammonta a circa 15 mila ettari, un quarto della città costruita, la stima della superficie urbanizzata da rigenerare (G. Caudo, 2013), e dove sono state realizzate nuove espansioni con densità insediative irrisorie (13 abitanti ad ettaro, W. Tocci, 2008), da borgo rurale e non da città europea.
La presente proposta intende contrastare questa drammatica situazione attraverso rigorose norme statali, immediatamente efficaci, che consentano di bloccare il consumo del suolo, avviando contemporaneamente un’azione a vasta scala di recupero e rigenerazione del patrimonio immobiliare abbandonato e di miglior uso delle aree edificate a bassa densità. È appena il caso di chiarire che la strategia proposta non va confusa con il cosiddetto sviluppo zero. Siamo pienamente consapevoli che i bisogni da soddisfare in Italia sono ancora enormi, anche se diversi da luogo a luogo, e sarebbe insensato pensare di limitarli: le disponibilità di spazio all’interno del territorio urbanizzato consentono di far fronte tranquillamente a ogni necessità.
Le norme che proponiamo non attengono alla materia “governo del territorio” di cui all’art. 117, comma 3, della Costituzione, disposizione che affida la potestà legislativa alle regioni, riservando allo Stato la sola determinazione dei principi fondamentali: un percorso inadatto a raggiungere risultati soddisfacenti in tempi ragionevoli. Altrettanto incerti sarebbero stati i risultati facendo riferimento, per salvaguardare il territorio non urbanizzato, a una apposita categoria da aggiungere a quelle ex lege Galasso, il che avrebbe comportato l’assoggettamento ai tempi e alle determinazioni della pianificazione paesaggistica, che lo Stato e quasi tutte le Regioni hanno di fatto accantonato.
È apparso invece opportuno e convincente indicare – all’art. 1 della proposta – che la salvaguardia del territorio non urbanizzato, in considerazione della sua valenza ambientale e della sua diretta connessione con la qualità di vita dei singoli e delle collettività, costituisce parte integrante della tutela dell’ambiente e del paesaggio. In quanto tale, la relativa disciplina rientra nella competenza legislativa esclusiva dello Stato, ai sensi dell’art. 117, comma 2, lett. s) della Costituzione. Questo cambio di prospettiva, che si traduce in una significativa compressione delle competenze legislative delle regioni, è giustificato dal valore collettivo che tali porzioni di territorio hanno assunto non solo per i singoli e le collettività di oggi ma, in una logica di solidarietà intergenerazionale, anche per quelli di domani.
L’art. 2 fornisce – al comma 1 – un’essenziale definizione del territorio urbanizzato formato da centri storici ed espansioni recenti. Mentre – al comma 2 – il territorio non urbanizzato è articolato in tre segmenti: aree naturali, aree agricole, aree incolte. Il comma 3 rappresenta il nucleo centrale della proposta consentendo interventi di nuova edificazione esclusivamente nell’ambito delle aree urbanizzate. L’eccezionalità di eventuali deroghe – al comma 4 – è resa evidente dall’aver subordinato il loro assentimento ad appositi provvedimenti, caso per caso, dei consigli regionali.
L’art. 3 – al comma 1 – fissa in 120 giorni il termine entro il quale i comuni provvedono con deliberazione consiliare a perimetrare il territorio urbanizzato e stabilisce – al comma 2 – termini e procedure per l’esercizio dei poteri sostitutivi regionali in caso di inadempimento.
Infine, l’art. 4 abroga l’infelice norma del 2007 che aveva consentito di utilizzare gli oneri di urbanizzazione della legge Bucalossi anche per la spesa corrente, norma che ha operato come un formidabile impulso all’indiscriminata incentivazione dell’attività edilizia.
Articolato
Art. 1 (Tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali)
1. La salvaguardia del territorio non urbanizzato è parte della tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali, ai sensi dell’art. 117, comma 2, lett. s) della Costituzione.
Art. 2 (Territorio urbanizzato)
1. Il territorio urbanizzato di ciascun comune è costituito da:
– centri storici, comprendenti anche l’edilizia circostante realizzata fino alla caduta del fascismo;
– espansioni recenti edificate con continuità a fini residenziali, produttivi, commerciali, direzionali, infrastrutturali, di servizio, ivi compresi i lotti interclusi dotati di urbanizzazione primaria.
2. Non rientrano nel territorio urbanizzato:
– le aree naturali o in condizioni di prevalente naturalità;
– le aree ad uso agricolo, forestale, pascolativo;
– le aree incolte o in abbandono.
Dette tipologie di aree non rientrano nel territorio urbanizzato ancorché site all’interno di esso, o quando includenti edificato sparso o discontinuo, o borghi e piccoli insediamenti presenti nel territorio rurale.
3. A seguito della perimetrazione di cui all’art. 3, le trasformazioni insediative o infrastrutturali che comportano impegno di suolo non edificato sono consentite esclusivamente nell’ambito delle espansioni recenti come definite al comma 1.
4. Eventuali deroghe sono singolarmente autorizzate con provvedimento del consiglio regionale.
Art. 3 (Perimetrazione)
1. Entro 120 giorni dalla pubblicazione della presente legge, i comuni provvedono con deliberazione del consiglio a perimetrare il territorio urbanizzato.
2. In caso di mancato adempimento, le regioni interessate provvedono, previa diffida, nel termine dei successivi 120 giorni.
Art. 4 (Abrogazione di norme)
1. Il comma 8 dell’articolo 2 della legge 24 dicembre 2007, n. 244 è abrogato.

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