Speranze e delusioni dei giovani sardi

16 Gennaio 2015
Un-fotogramma-di-Metropolis-1927-di-Fritz-Lang
Amedeo Spagnuolo

“Una confortevole, levigata, ragionevole, democratica non – libertà prevale nella civiltà industriale avanzata, segno del progresso tecnico”. Herbert Marcuse cominciava con questa lapidaria affermazione L’uomo a una dimensione, la sua opera più importante pubblicata nel 1964.In essa giungeva alla conclusione che la società a lui contemporanea aveva dato vita ad un sistema apparentemente democratico, ma che in realtà aveva ridotto l’uomo a vivere appunto nell’unica dimensione della produzione e del consumo. In sostanza egli affermava che le società capitaliste avevano creato un sistema sociale fortemente repressivo nel quale l’unica libertà concessa all’uomo comune era quella di consumare e, al massimo, di scegliere tra la miriade di prodotti forniti dalla società industriale. In un sistema del genere dominato dal capitalismo totalitario, anche forze tradizionalmente anti – sistema come la classe operaia vengono fagocitate e rese “innocue” per cui sembra che non esista più alcuna possibilità di resistere alla repressione del sistema capitalista. Marcuse però afferma che esiste ancora una speranza per cercare di rovesciare il sistema dominante caratterizzato dal consumismo totalitario, essa risiede tra tutte quelle persone che non sono state ancora inglobate dal sistema in quanto non sono né produttori né consumatori, si tratta dei disoccupati, degli emarginati, dei reietti ovvero di tutti coloro che sono sprovvisti totalmente di risorse economiche e quindi proprio per questo non assimilabili dalla voracità mostruosa del capitalismo.

Dopo cinquant’anni, le teorie del filosofo tedesco tornano ad essere attuali in maniera impressionante e dimostrano di esserlo soprattutto se guardiamo ai milioni di giovani disoccupati che ogni giorno affollano le strade del nostro paese nella ricerca disperata di un’occupazione che possa garantirgli uno straccio di futuro. I disoccupati e gli emarginati di cui parlava Marcuse negli anni ’60, oggi sono, circoscrivendo la presente analisi al nostro paese, i giovani disoccupati dell’Italia intera, ma che in Sardegna raggiungono numeri veramente impressionanti se paragonati all’intera popolazione dell’isola. La situazione politica disastrosa e “impantanata” nella quale si trova il nostro paese è da attribuire principalmente a un governo che non esibisce alcuna rottura con i governi che l’hanno preceduto. Esso in ogni sua manifestazione mostra di essere lontano anni luce dalle reali esigenze della popolazione concentrando tutti i suoi sforzi nel tentativo di tessere una ragnatela, che sta diventando di giorno in giorno sempre più inestricabile, con quei poteri forti che hanno determinato l’impoverimento della stragrande maggioranza dei cittadini italiani. Tenuto conto di questa angosciante “stagnazione” politica che è la causa principale del progressivo impoverimento di vasti strati della popolazione italiana, non si può non prestare attenzione all’incitamento rivolto da Marcuse oltre cinquant’anni fa a quella parte “emarginata” della popolazione che può ancora ribellarsi e tentare un cambiamento radicale del sistema economico – sociale nel quale la maggior parte di noi tenta di sopravvivere conducendo una vita di stenti e di frustrazioni. Attualizzando e contestualizzando gli stimoli intellettuali del filosofo tedesco, possiamo, con una certa sicurezza, affermare che l’appello oggi va rivolto alle migliaia di giovani sardi che sono stati deprivati di ciò che da sempre dà all’uomo dignità e stimoli per costruire un valido progetto esistenziale: il lavoro. Purtroppo questo meccanismo non è stato ancora attivato, basti osservare la vita condotta dai giovani nelle piccole, ma oramai anche in quelle più grandi, comunità sarde nelle quali, uno stato ottuso e poco sensibile alle problematiche dei piccoli centri della Sardegna, è arretrato in maniera febbrile chiudendo scuole, uffici pubblici, centri di aggregazione, creando così i presupposti per la desertificazione economica e culturale di gran parte dell’isola. Cosa rimane a un giovane dopo un’azione politica così devastante? L’unico rifugio, l’unico luogo di aggregazione resta il bar nel quale ci si riunisce per scambiare qualche parola, ma anche per cercare di stordirsi per qualche ora in modo da sentire meno il morso dell’angoscia che raramente abbandona questi ragazzi che osservando il loro futuro vedono il nulla.
Dunque, tornando ancora al caro Marcuse, forse l’unica soluzione percorribile, ora che la sinistra in Italia si è, almeno per il momento, dissolta, è proprio quella di convogliare la disperazione dei tanti giovani sardi in un’azione politica che li veda però protagonisti e non strumenti nelle mani del politicante di turno in cerca di facili consensi. Ecco allora che un movimento come “L’Altra Europa con Tsipras” (in Sardegna si sta cercando di far nascere L’Altra Sardegna) che ambisce ad inaugurare un nuovo metodo politico che parta dal “basso”, dovrebbe farsi carico di ciò e cercare di coinvolgere nel proprio progetto politico questo numero impressionante di giovani che probabilmente aspetta solo di individuare un valido e concreto riferimento politico nel quale convergere per tentare di contribuire al cambiamento non solo economico, ma etico e culturale della nostra isola. Insomma la disperazione dei nostri giovani può diventare una risorsa enorme per il cambiamento e una forza politica che si definisce innovativa deve fare di tutto per sostenerla e affiancarla in questa lotta sociale o per dirla meglio con Walter Benjamin: “è solo per merito dei disperati che ci è data una speranza”.

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