Tulkarem, tra veleni e sopravvivenza

16 Settembre 2015
Nicole Argenziano
Nicole Argenziana

Pubblichiamo volentieri questa testimonianza di Nicole Argenziana sui problemi causati dall’inquinamento ambientale a TulKarem, una cittadina della West Bank tra Nablus e Jenin e l’israeliana Natanya. Ringraziamo BADIL Resource Centre for Palestinian Residency & Refugee Rights (red)

Incontro i membri della Society of Social Work Committee nel centro di Tulkarem, cittadina della West Bank tra Nablus e Jenin e l’israeliana Natanya. L’associazione si occupa dei problemi causati dall’inquinamento ambientale e si offre di far fare a me, e un giovane gruppo di donne palestinesi, un tour tra i veleni della città. Si perché, a qualche kilometro da Tulkarem sorge un complesso industriale israeliano, la cui condotta ambientale è di dubbia trasparenza. Prima alcune di queste fabbriche si trovavano nella vicina Natanya, ma gli abitanti intentarono anni fa una causa legale contro la Geshuri, la corporation israeliana proprietaria degli stabilimenti, per presunte irregolarità nella tenuta degli impianti. Preoccupati per la salute dei loro figli, gli abitanti di Natanya, riuscirono ad ottenere che la fabbrica fosse spostata. Così a metà degli anni ’80 la Geshuri trasferì i suoi stabilimenti vicino a Tulkarem. Seguendo l’esempio della corporation, molte altre aziende israeliane spostarono i loro stabilimenti nei pressi della città (l’ultimo stabilimento è stato inaugurato nel 2007). Principalmente si tratta di aziende che producono fertilizzanti e pesticidi, sostanze che emettono rifiuti tossici per la salute dell’uomo ed è facile intuire che, se non si dispone di adeguati depuratori di aria e acqua, le tossine possono potenzialmente provocare danni gravissimi all’ambiente e alle persone. Ed è quello che sta succedendo a Tulkarem, ormai da troppi anni, con la garanzia di restare impuniti. Le industrie israeliane ricavano un evidente vantaggio nella collocazione degli stabilimenti al di fuori di Israele. Il complesso si trova in quella che viene definita ‘’seam zone’’ ossia una striscia di terra tra la green line, i confini di Israele del ’67, e il muro di separazione, costruito da Israele nel 2002 nella West Bank. La ‘’seam zone’’ è stata dichiarata dall’esercito zona militare. Per gli imprenditori israeliani questa posizione è una manna dal cielo: da un lato abbattono i costi del lavoro, impiegando palestinesi che percepiscono un salario molto più basso, tuttora regolato dalla legislazione giordana del 1964, rispetto a quello minimo israeliano; dall’altro godono di moltissime esenzione fiscali e legali nei confronti della legislazione di Israele, dato che gli stabilimenti non sono fisicamente nel suo territorio. Per questo stesso motivo possono scegliere di non disporre di depuratori di acqua e aria.
Il disagio che il complesso ha portato a Tulkarem è evidente. Il terreno tra la famosissima Palestine Technical University – Kadoorie e il ‘’muro’’ è completamente morto e presenta delle profonde spaccature, come se fosse prosciugato. L’università è vicinissima al complesso industriale e gli abitanti hanno paura che possa perdere molti dei suoi studenti. Istituita nel 1930 è una delle più antiche università della Palestina. Molti studenti accusano problemi di salute e le finestre rimangono sbarrate per evitare di respirare le tossine portate dal vento. Il vanto della città di Tulkarem è in pericolo, dicono gli abitanti. Se gli studenti si ammalano come biasimarli se non vogliono restare?
Ma non soffrono solo gli studenti dell’università. La Society of Social Work Committee denuncia che molti abitanti di Tulkarem soffrono di infezioni agli occhi e problemi respiratori, tra cui l’asma è il più comune. Questo è dovuto alla continuità temporale con cui la popolazione respira le tossine emanate dalle fabbriche. Il Committee denuncia anche che, data la densità di popolazione di Tulkarem, la città ha la più alta percentuale di persone ammalate di cancro. Uno studio presso l’Università Najah (Nablus) sostiene che il cancro ed altre malattie sono strettamente connesse all’inquinamento chimico nel 77% dei residenti palestinesi della zona. Man mano che ci si avvicina alle fabbriche l’aria si fa più pesante. È satura di monossido di carbonio e altre sostanza altamente tossiche. Nei pressi di un distributore di benzina, che si trova proprio di fronte al muro di separazione, l’aria è irrespirabile. Le fabbriche sono visibilissime e tutte le case nei dintorni sono deserte. Gli abitanti hanno lasciato la zona poiché la vita era impossibile. Ora queste case sono in vendita per qualche spiccio ma nessuno le comprerà finché ci saranno gli stabilimenti. Oltre ad avvelenare l’aria questo complesso industriale avvelena il terreno. I rifiuti tossici prodotti da questi stabilimenti sono altamente inquinanti e vengono scaricati sui territori circostanti senza alcuna restrizione. L’inquinamento ambientale ha danneggiato la produzione agricola. Gli abitanti di Tulkarem denunciano che gli alberi e le verdure coltivate nei campi, negli immediati pressi delle fabbriche, sono morti e nulla cresce. Anche le falde acquifere sotterranee sono con molta probabilità inquinate. Le fabbriche sono la principale causa dell’impoverimento della città e del malessere fisico degli abitanti. Queste aziende agiscono nella più totale impunità e inoltre sono protette dall’esercito che, dall’alto del muro di separazione, è pronto a reprimere qualsiasi forma di dissenso. Ma gli abitanti di Tulkarem non si fanno certo intimidire e continueranno a manifestare e a resistere affinché anche i loro figli, e non solo i bambini di Natanya, abbiano il diritto a crescere in luogo sano.

Foto Nicole Argenziana

2 Commenti a “Tulkarem, tra veleni e sopravvivenza”

  1. Chiara S. scrive:

    Interessante molto!

  2. luigi rossi scrive:

    complimenti all autrice molto bello……..analogie con i veleni sardi….vedi quirra porto torres…..BRAVA

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