Unioni Civili, uteri e bambini. La macchina dell’odio non si ferma mai

3 Marzo 2016
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Massimo Mele

La scorsa settimana il Senato ha approvato la legge sulle Unioni Civili. “Ha vinto l’amore” ha dichiarato Renzi. “Vergogna, avete sancito la nostra cittadinanza di serie B per legge” hanno risposto le associazioni LGBTI in coro, tanto che il primo hashtag usato dal coordinamento sardo fu #meglioniente. Ma come è possibile che una legge che finalmente riconosce l’esistenza delle coppie gay e lesbiche abbia provocato tanto scontento proprio fra chi dovrebbe invece festeggiarla?

Per spiegare il perchè di tanta amarezza e rabbia davanti a quella che dieci anni fa avremmo festeggiato come una enorme conquista, nei giorni successivi all’approvazione scrissi: “è come se per sfamarti anzichè metterti il cibo su un piatto in tavola ti buttassero tutto per terra e tu dovessi mangiare leccando il pavimento. Alla fine saresti sazio comunque ma a che prezzo?”. Non solo quindi lo snaturamento della legge con la cancellazione di tutti i rimandi al matrimonio e lo stralcio della stepchild adoption ma il modo stesso in cui si è arrivati alla votazione insieme a forze politiche, come NCD e i cattodem, che alcune settimane prima erano in piazza a protestare contro di noi, le nostre famiglie, i nostri bambini e la nostra stessa esistenza.

Ma procediamo con ordine. Cosa è successo in Parlamento e nel resto d’Italia per arrivare ad un risultato del genere? Come abbiamo detto, la scorsa settimana, dopo trent’anni dalla presentazione della prima proposta e a due anni dall’inizio della discussione sul DDL Cirinnà, il Senato italiano ha approvato una legge sulle Unioni Civili. Per approvarla ha usato lo strumento della fiducia sul maxiemendamento presentato dal Governo che prevede lo stralcio delle adozioni e la cancellazione di qualsiasi riferimento al matrimonio civile. Diritti si ma nessuna uguaglianza: le nostre sono “formazioni sociali specifiche” e non famiglie e i nostri bambini sono figli di nessuno e privati dei loro diritti fondamentali.

Il voto è arrivato dopo settimane di dibattito incandescente e dopo mesi di continui attacchi omofobici e sessisti rivolti alle famiglie gay e lesbiche e alla stessa firmataria della legge, Monica Cirinnà, a cui Radio Maria ha persino augurato la morte. Una campagna senza esclusione di colpi che ha avuto il suo apice nel Family day di Roma, manifestazione incentrata sul no al riconoscimento delle coppie gay e lesbiche e tanto meno alla possibilità di adozione. Ma anche contro l’approvazione di una legge contro l’omofobia, contro cui si sviluppò il movimento delle Sentinelle in piedi prima e quello, ben più pericoloso, dei No Gender poi.

Nel clima rovente della contrapposizione di piazza, hanno sicuramente avuto un ruolo i giochetti di palazzo e le tattiche di partito in vista delle prossime elezioni amministrative. E così il M5S che nei mesi precedenti aveva assicurato il proprio voto “ma solo a patto che la legge non venga modificata”, come il testo è arrivato nell’aula del Senato ha lasciato libertà di coscienza ai suoi sul punto più contestato la stepchild adoption o, in italiano, l’adozione del figliastro. Posizione assunta anche dal PD ma diverso tempo prima, per ovviare alla forte contrarietà sul punto dei cattolici presenti tra le sue fila.

Ma perchè uno scontro così pesante su una legge che un po’ tutti, a destra e sinistra, dicevano di volere? Il testo approvato dal Senato, per quanto sia la prima volta che l’Italia vota una legge sui diritti di gay e lesbiche, ha lasciato tutti scontenti. Primo fra tutti il movimento LGBT che su quella legge, considerato il minimo sindacale, ci aveva creduto. Perchè anche se lontana dall’equiparazione delle famiglie omosessuali a quelle riconosciute dal matrimonio, avrebbe perlomeno regolamentato tutte le situazioni già esistenti, soprattutto per quanto riguarda i diritti dei bambini già presenti nelle famiglie arcobaleno.

Ma anche perchè, per quanto un istituto altro dal matrimonio, prevedeva comunque tutti i diritti e doveri che lo Stato riconosce oggi alle coppie sposate e il raggiungimento del matrimonio egualitario, anche per via giudiziaria, sembrava molto probabile. L’accordo di Governo ha invece umiliato tali aspettative e stabilito, per legge, una differenza in negativo delle famiglie gay e lesbiche, anche attraverso l’introduzione di conquiste di civiltà come il divorzio diretto o la cancellazione della fedeltà coniugale. Introdotte con l’intento di descrivere una relazione meno duratura e responsabile di quella eterosessuale e quindi più problematica rispetto al lavoro che la stessa legge demanda ai giudici: il riconoscimento delle adozioni gay e lesbiche. Comprensibile quindi la rabbia delle e degli attivisti gay. Come ha riassunto egregiamente Claudio Rossi Marcelli “prima non esistevamo, adesso esistiamo e valiamo meno degli altri”.

Eppure la maggioranza in Parlamento, e nel Paese, era ormai pronta e favorevole al riconoscimento giuridico delle famiglie omosessuali, forse anche all’estensione del matrimonio civile. Ma in pochi mesi una feroce campagna di delegittimazione, incentrata prima sulla difesa della famiglia naturale e, poi, sul ben più pregnante no all’”utero in affitto”, ha cambiato le carte in tavola tanto da trovare sostenitori persino tra alcune donne e attivisti gay e lesbiche. Una campagna che, dietro l’apparente difesa del corpo della donna da ipotetici sfruttamenti e facendo strumentalmente leva sui diritti dei bambini, mirava a colpire la genitorialità gay e lesbica. Ma che, in realtà, con la proposta della surrogazione come reato universale, mette in discussione lo stesso principio di autodeterminazione della donna conquistato in tanti anni di lotte dal movimento femminista.

Senza alcun senso del ridicolo, anche esponenti del Governo, come il ministro della Sanità Lorenzin (e il maschile è d’obbligo!), hanno voluto dire la loro proponendo non solo il carcere per i genitori ma anche soluzioni punitive per quegli stessi bambini che teoricamente si voleva difendere (inadottabilità del bambino). Una campagna assidua e martellante, crudele e disumanizzante, tanto da aver provocato un vero e proprio linciaggio pubblico di Nichi vendola alla notizia della nascita del figlio del compagno, Ed Testa, tramite GPA. Attacchi deliranti su un presunto egoismo, su un inesistente sfruttamento e persino su un fantomatico reato mai avvenuto essendo il padre biologico un cittadino canadese, Paese che ha da tempo regolamentato tale pratica.

Ma la macchina del fango è partita e si è estesa a macchia d’olio tanto che nemmeno star del cinema, come Nicole Kidman, o dello sport, come Cristiano Ronaldo, vengono risparmiati. E se in principio era il gender, il mostro che attentava alla sessualità e al genere dei “nostri pargoli” ora è la surrogazione che sfrutta le donne e “rende orfani” i bambini. In un evidente cortocircuito mentale, dove non si capisce più chi è il boia e chi è il carnefice, se mai vi possano essere tali figure in argomenti delicati e sensibili come la genitorialità, la relazione familiare e le scelte di vita, l’Italia ha trovato il nuovo capro espiatorio di tutti i mali del mondo.

Pazienza se i migranti, e i loro bambini, continuano a morire a migliaia nel vano tentativo di raggiungere un’Europa sempre più chiusa, pazienza se migliaia, o milioni, di donne e bambini lavorano, sottopagati, 10/12 ore al giorno in fabbriche che sfornano indumenti che il popolo del family Day non si vergogna a comprare, pazienza se a causa di queste campagne di odio tanti adolescenti gay e lesbiche subiranno discriminazioni e violenze o arriveranno a togliersi la vita: nell’italietta bigotta e reazionaria c’è sempre un untore, un diverso o un colpevole da condannare per espiare le proprie colpe e pulirsi la coscienza.

Non importa il numero delle vittime o le conseguenze sul piano sociale e culturale, non importa se comporterà una riduzione dei nostri diritti individuali e collettivi, l’odio catartico della condanna sociale non conosce pause e non conosce limiti: chi sarà la prossima vittima?

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