Comunicazioni eticamente sostenibili

1 Maggio 2008

Mezzi di comunicazione
Francesco Birocchi

Nel suo studio sul tipo ideale di sfera pubblica borghese Jurgen Habermas sosteneva che “la storia dei grandi quotidiani dimostra che la stampa, a mano a mano che si commercializza, diventa manipolabile. Dal momento che lo smercio della parte redazionale e quello della parte dedicata agli annunci pubblicitari sono reciprocamente legati” Insomma la stampa, istituzione dei privati in quanto pubblico, diventa ”la istituzione di determinati membri del pubblico in quanto privati e spalanca così le porte all’irruzione nella sfera pubblica di interessi privati privilegiati”. L’attualità di questa riflessione è dimostrata dallo stato attuale dell’informazione nel mondo occidentale e nel nostro Paese in particolare. Le concentrazioni editoriali, gli intrecci tra politica-imprenditoria e informazione, gli interessi extraeditoriali degli editori pongono una pesante ipoteca sulla credibilità complessiva dei media e sulla loro influenza sulla vita pubblica, a partire dalle scelte elettorali.
Il rapporto tra interessi privati e opinione pubblica costituisce il filo conduttore di un’analisi che non riesce però a sciogliere il nodo che lega la legittima aspirazione all’indipendenza rivendicata dai giornalisti (i quali vorrebbero identificasi come gli unici legittimi detentori del quarto potere) alla natura commerciale dei media. In realtà sul controllo dei mass-media, e sul flusso delle informazioni da essi veicolate, si determina una competizione con almeno tre concorrenti: i giornalisti, gli imprenditori (siano essi editori puri o impuri), la politica. Essi agiscono in forme differenti e fanno leva su prerogative specifiche: la raccolta delle notizie (i giornalisti), il costo economico dei mezzi (gli editori), la regolamentazione di tipo economico e legale (la politica). Ma il peso dei competitori non si equivale e, in questa fase storica, la bilancia pende decisamente dalla parte degli editori.
Negli studi sulla massmediologia sta emergendo una coscienza nuova nella direzione di quella che viene definita la libertà di informarsi. Il “diritto a essere informati” è una costruzione recente spinta dallo sviluppo di Internet. Nella grande rete il problema della unidirezionalità della comunicazione tende a risolversi per lasciare il posto ad una circolarità delle notizie. Tuttavia la mancanza di certificazione professionale per i fornitori delle notizie (a parte quelle che compaiono nei siti riconosciuti e quindi responsabili di ciò che propongono) ripropone il pericolo di manipolazione che è, in astratto, ancora maggiore rispetto ai media tradizionali. L’idea della intrinseca libertà della Rete Internet, anzi della sua sostanziale anarchia, costituisce spesso l’assioma di una quasi automatica equivalenza tra Internet e libertà. L’individualizzazione dei punti di vista, conseguente al fatto che chiunque può versare in Rete qualunque cosa e ciascuno può esprimersi liberamente ed essere preso sul serio, sembra destrutturare ogni piattaforma regolativa della società. Paradigma contraddetto però dal massiccio ingresso in rete, anche in Italia, delle compagnie editoriali tradizionali (Corriere della sera, Repubblica, La Stampa) le quali hanno già ingaggiato una dura competizione sul campo della raccolta pubblicitaria (che lo scorso anno ha segnato incrementi del 40%) e trasferiscono dunque in rete il peso delle problematiche già rilevate nell’attività cartacea. Se all’interno di Internet ciascuno può inventarsi una propria regola può anche imporla.
Con una differenza: nell’edicola elettronica i siti informativi godono, per il momento, di una parità di esposizione e una gratuità che consente una scelta certamente più autonoma.
L’esperienza del Manifesto sardo, diffuso on line da soggetti professionalmente certificati e del tutto liberati da vincoli commerciali e da interessi extraeditoriali va nella direzione giusta. E’ un progetto, insomma, che chiama a riflettere sulle grandi regole di un’informazione e di una comunicazione eticamente sostenibile, intorno alle quali organizzare il consenso sociale. Un bel passo in avanti.

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