Carlo Felice? Per uno storico sardo ha fatto anche cose buone

16 Novembre 2020

[Francesco Casula]

Sulla Nuova Sardegna del 9 novembre scorso, il valente storico cagliaritano Gian Giacomo Ortu polemizza con i promotori del Comitato “Spostiamo la statua di Carlo Felice” con qualche sciocchezza.

Segno che non conosce l’iniziativa né i protagonisti. L’iniziativa sarebbe una “parodia di manifestazione iconoclasta”. In realtà non è né parodia e tanto meno iconoclasta. I protagonisti di tale proposta sarebbero “militanti di area sardista”. Di grazia, tale informazione, da quale archivio storico l’ha tratta? Non interessa probabilmente a nessuno, ma perché l’esimio accademico non ripeta simili sciollorius deve sapere che i promotori del Comitato appartengono a varie aree politico-culturali: liberaldemocratica, sinistra (segnatamente quella radicale) e indipendentista. Manca solo l’area politica di destra e quella neosabauda (magari mascherata di progressismo). E’ quella di Ortu? Ma veniamo al merito dell’articolo. Bontà sua, prof. Ortu scrive che i sovrani sabaudi non sono stati per la verità “mai eccelsi”. Caspita che valutazione! A mio parere invece furono proprio “eccelsi”: ma solo nelle malefatte. Penso a Umberto I, ribattezzato dagli anarchici Re mitraglia. Tale figuro premiò il generale stragista Fiorenzo Bava Beccaris non solo insignendolo della croce dell’Ordine militare dei savoia ma anche nominandolo senatore, in virtù di una portentosa impresa: nel 1898 (8 e 9 maggio), le sue truppe “spararono sulla folla inerme uccidendo circa 80 dimostranti e ferendone più di 400” (Franco della Paruta, Storia dell’Ottocento, Ed. Le Monnier, Firenze, 1992, pagina 461). E fu altresì eccelso, per i disacatos (misfatti) e le titulias (infamie) di cui si macchiò un altro tiranno sabaudo: Sciaboletta, (alias Vittorio Emanuele III): prima e seconda guerra mondiale, fascismo e leggi razziali: basta? Ma veniamo a Carlo Felice: Ortu scrive che non fu il peggiore. Avrebbe fatto anche cose positive: ”a lui si deve la Fondazione della Reale Società: Agraria ed Economica”. Perdinci! Si dimentica però il noto accademico di raccontarci quali magnifiche e progressive sorti di prosperità e sviluppo nell’Isola avrebbe apportato tale “reale Società”! E il Carlo Felice tiranno ottuso, feroce,ultrareazionario e famelico? Nella sua furia staoiatrica e fusionista, lo storico Ortu, è silente su tale tiranno: invece questo è il problema! Hic Rhodus, hic salta! Come tace sui misfatti dei Savoia. Perché? Ma perché hanno fatto l’Italia unita! Di qui gli improperi contro i promotori dello spostamento della statua il cui scopo sarebbe “non di fare i conti con la storia ma di alimentare spiriti e umori scissionisti nei confronti della nostra difettosa ma irrinunciabile Repubblica”! Continui pure Ortu nelle sue contumelie: noi continueremo a batterci perché la statua venga rimossa: per motivi culturali, etici, civili. Le statue si dedicano a sas feminas e a sos omines de gabbale che hanno fatto il bene del proprio popolo, non si dedicano ai propri carnefici. Non si dedicano a uno come Carlo Felice che è stato, fra tutti i dieci re sabaudi, che hanno sgovernato la Sardegna dal 1720 al 1946, il più ottuso, il più reazionario, il più famelico, il più sanguinario. Ottuso, non è solo il giudizio di Raimondo Carta Raspi (Storia della Sardegna): ma anche quello di Pietro Martini (filomonarchico e filosabaudo), che scriverà testualmente: “Era alieno dalle lettere e da ogni attività che gli ingombrasse la mente” (Storia di Sardegna dall’anno 1799 al 1816). Carlo Felice è fra tutti i re sabaudi il più reazionario. Lo scrive il già citato Carta-Raspi: ”Più ottuso e reazionario d’ogni altro principe, oltre che dappocco, gaudente parassita, gretto come la sua amministrazione”. E lo sostiene anche Martini “Non sì tosto il governo passò in mani del duca del Genevese (Leggi Carlo Felice, nda), la reazione levò più che per lo innanzi la testa; co¬sicché i mesi che seguirono furono tempo di diffidenza, di allarme, di terrore pubblico”. Ancora sulla stessa linea il Carta-Raspi :”Nei consigli del principe prevaleva il principio del terrore e dell’arbitrio senza limiti”. Terrore pubblico dunque riuscì a creare Carlo Felice agendo sempre con arbitrio senza limiti: da re come da viceré. Si deve a lui la repressione violenta, con l’assassinio di Francesco Cilocco e Francesco Sanna-Corda o l’impiccagione dei martiri e patrioti di Palabanda. Ma secondo me la cosa peggiore persino della sua ferocia è un’altra: la famelicità. I Savoia, cacciati da Napoleone, come esuli arrivano in Sardegna nel 1799, senza mutande, dicono gli storici. La prima operazione che fanno è di triplicare il donativo, le tasse regie, che passano da 200.000 lire sarde a 600.000 lire sarde: scuoiando ancor più ferocemente i Sardi. In un momento storico in cui, siamo all’inizio dell’800, le annate di siccità, si aggiungono a crisi agrarie e si sommano a malattie di ogni tipo e alle invasioni barbaresche. La popolazione muore letteralmente di fame e di sete e decine di migliaia di bambini muoiono di vaiolo. Carlo Felice si becca 40.000 lire sarde, il fratello, il Duca di Moriana altrettante. Morto giovane, le sue 40.000 lire se le prende Carlo Felice, quando quei soldi sarebbero dovuti ritornare alla tesoreria regia. Bene: per questi suoi comportamenti, per le sue scelte e azioni: insomma per le infamie consumate ai danni dei Sardi, la statua a lui dedicata ed eretta nella Piazza Yenne a Cagliari, deve essere dunque spostata. Da più parti mi è stato obiettato che spostare la statua significherebbe “abolire la storia”. Risponde a questa obiezione, con competenza e saggezza una ricercatrice di storia dell’Università di Cagliari, Valeria Deplano:” Le statue, come i monumenti commemorativi, o la toponomastica, non sono “la storia”, ma uno strumento attraverso cui specifici personaggi o eventi storici, accuratamente selezionati, vengono celebrati; nella maggior parte dei casi – non sempre – sono le istituzioni, in particolare quelle statali, a scegliere chi o che cosa sia degno di essere ricordato e celebrato. Si tratta di un’operazione centrale per la costruzione di una narrativa nazionale funzionale alla visione del potere stesso: il modo con cui si sceglie di ricordare il passato e di celebrarlo infatti influisce sul modo con cui gli individui e le comunità guardano il mondo, sé stessi e gli altri. Questo vale ovunque, e in qualunque epoca”. Occorre dunque distinguere fra la storia e gli spazi che, a futura memoria, i tiranni sabaudi si sono riservati per continuare ad affermare il loro dominio, almeno simbolicamente. Quella statua sta lì a “segnare” e “marchiare” il territorio, a dirti, dall’alto, che lui è il regnante e tu sardo, sei ancora suddito, unu tzeracu. Dunque devi continuare a omaggiarlo, a riconoscerlo come tale. Egli simboleggia ancora il potere, il dominio, come simboleggiano il potere e il dominio le vie dedicate ai Savoia. Ecco perché, insieme alla statua devono essere rimosse anche le Vie. Con buona pace di Ortu.

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