Diritto alla salute e pandemia

24 Dicembre 2020

[Massimo Dadea]

Questa vuole essere una riflessione rivolta a quanti – cittadini, pazienti, amministratori comunali e regionali, operatori sanitari, uomini e donne di buona volontà – sono costretti a misurarsi quotidianamente con un diritto costituzionale spesso negato.

Sigmund Freud, già agli albori della psicanalisi, ha affermato che il trauma più profondo può diventare l’opportunità per una ripartenza, per un nuovo inizio. La pandemia può essere l’occasione per far crescere, nella società e nelle istituzioni, una Nuova Consapevolezza su alcune questioni di vitale importanza.

La prima. La pandemia da Covid-19 non è dovuta ad un destino cinico e baro e neanche ad una maledizione divina: è il frutto della stupidità dell’uomo, del suo rapporto malato con la natura e l’ambiente. Sono i nostri comportamenti che rendono possibile l’insorgenza delle pandemie, che creano le condizioni perché virus normalmente silenti, oppure presenti negli animali, diventino trasmissibili all’uomo. Sempre più, nel prossimo futuro le zoonosi saranno una delle fonti più temibili di malattia. La violenza perpetrata nei confronti della natura, gli insulti che quotidianamente vengono inferti all’ambiente sono la causa prima dei nostri mali.

La seconda. Tra tutte le conseguenze terribili che il Covid-19 ha determinato, una almeno ha avuto degli effetti positivi. Il virus è diventato l’angelo sterminatore di tutte quelle cialtronerie che sono state propalate sulla sfiducia nei confronti della scienza, sulla criminalizzazione della competenza e del merito, sulla delegittimazione della medicina e degli operatori sanitari. In questi anni si è assistito ad un vero e proprio elogio della incompetenza. La verità scientifica è stata sottomessa al giudizio degli incompetenti. Questo è avvenuto per i vaccini, per gli eventi climatici, per la politica, per l’economia. La verità scientifica, per troppo tempo, ha smesso di viaggiare sulle spalle robuste della scienza per fluttuare su quelle infide e sdrucciolevoli dei social media. Il ravvedimento a cui stiamo assistendo non dobbiamo darlo però per scontato, per acquisito una volta per tutte. Già hanno ripreso fiato coloro che, quotidianamente, lavorano per intossicare le menti più fragili: i teorici del complotto, i terrapiattisti, i no vax e compagnia cantante.

La terza. La più impegnativa e la più urgente. Il Covid-19 deve diventare l’occasione per far crescere nelle istituzioni e nella società una Nuova Consapevolezza su un diritto costituzionalmente garantito ma troppo spesso negato: il Diritto alla Salute. La pandemia, in appena un anno, ha modificato convinzioni, comportamenti, abitudini, dai più ritenuti immodificabili. Sono pochi coloro che oggi mettono in discussione il ruolo centrale che il Servizio sanitario Pubblico ha assunto nella lotta al virus. Ma non è stato sempre così. Per anni ha imperversato una concezione ragionieristica del Diritto alla salute, finalizzata a tagliare la spesa sanitaria e con essa il personale e le strutture del servizio pubblico.

Una operazione culturale tesa a denigrare la sanità pubblica e ad esaltare quella privata e mercantile. Questo disegno ha avuto effetti disastrosi sulla parte più debole e sofferente della società, a cui è stato negato il diritto alla cura: secondo una indagine del CENSIS, sono ben 11 milioni i cittadini che, nel nostro Paese, rinunciano alle cure mediche perché non possono pagare il ticket o rivolgersi ai privati.

In Sardegna le conseguenze sono state particolarmente gravi, visto il particolare profilo demografico ed epidemiologico dell’isola: un alto tasso di invecchiamento, una elevata prevalenza di patologie croniche e degenerative, un’alta incidenza delle malattie tumorali ed autoimmuni (Diabete, Sclerosi multipla). E’ stato così negato a migliaia di sardi l’accesso gratuito ai servizi sanitari. Tutto questo si è abbattuto su una organizzazione sanitaria viziata da quella che viene definita, con un brutto termine, la distorsione “ospedalocentrica”. Una deformazione che, storicamente, ha destinato la grande parte delle risorse e del personale ai presidi ospedalieri, a tutto discapito dei servizi territoriali di prevenzione. L’assenza di servizi filtro territoriali ha gravato gli ospedali di una routine impropria che ne ha svilito la funzione primaria. Basti pensare che in Sardegna il 70 per cento degli accessi in pronto soccorso è improprio e il tasso di ospedalizzazione è particolarmente elevato a causa dei ricoveri inappropriati.

L’avvento della pandemia ha agito da detonatore facendo esplodere le contraddizioni di una organizzazione sanitaria inadeguata ed impreparata. L’assenza di filtri ha mandato in tilt i Pronto Soccorso e gli ospedali. La prima a saltare è stata la trincea costituita dalla separazione tra ospedali covid e ospedali covid free. L’intera organizzazione ospedaliera è stata invasa dal contagio, ad iniziare dagli ospedali ad alta specializzazione, evidenziando un insufficiente numero di posti letto di terapia intensiva e una drammatica carenza di operatori sanitari (in specie anestesisti e rianimatori). A cascata si sono avute le ripercussioni sui cittadini, sui pazienti: sospesi gli interventi chirurgici in elezione, rinviate le visite specialistiche. Le liste d’attesa, già lunghe di mesi prima della pandemia, si sono allungate sino ad oltre un anno. Si calcola che siano saltate oltre tre milioni di prestazioni. Il rischio è che la sanità bloccata per colpa del virus possa fare più morti della pandemia.

Un dato su tutti: in questi mesi si sono fatte il 30 per cento in meno delle diagnosi oncologiche. Posto che si hanno in Italia mille nuovi casi di cancro al giorno, si capisce bene quante persone circolano senza sapere di essere affette da una patologia tumorale. La verità è che da un lato si è fatto ben poco per prepararsi ad arginare la prevedibile ripresa della pandemia in autunno, dall’altro la risposta al Covid-19 ha finito per penalizzare il bisogno di salute dei cittadini.

Da marzo si è perso tempo prezioso per fronteggiare le conseguenze del virus. Si è preferito rincorrere facili scorciatoie propagandistiche. Prima la ricerca di improbabili “passaporti sanitari”, in assenza della disponibilità dei tamponi. Poi alcune decisioni sciagurate: l’apertura delle sagre e delle discoteche ha facilitato la diffusione del contagio nel cuore della Sardegna. Che dire poi della scelta di impegnarsi nella approvazione di una nuova “riforma della riforma” della sanità, proprio nel mezzo della emergenza covid, al solo fine di aumentare il numero delle ASL e la spartizione delle poltrone. Ora si propaganda la possibilità di una imponente campagna di screening di massa. L’intera popolazione sarda verrebbe sottoposta ad un test rapido antigenico molecolare che rischia di sovrapporsi pericolosamente alla imminente vaccinazione contro il Covid-19.

Si pone ora la necessità di un Nuovo Inizio che nasca dalla convinzione che il nodo irrisolto del Sistema sanitario Sardo è il Territorio, i Servizi Territoriali per la Salute.

In questi anni si è perso tempo e denaro ad inseguire priorità inesistenti. Si sono approvate ben due leggi di riforma, rivelatesi delle mere operazioni di ingegneria organizzativa, tanto inutili quanto costose: prima la ASL unica e poi il ritorno alle otto ASL. La prima (ASL unica), un errore di superbia culturale, la seconda (otto ASL), solo propaganda e poltrone. Tutte e due le leggi di riforma hanno dimenticato la vera priorità: il territorio, i servizi territoriali per la salute. Uno degli insegnamenti che si può trarre dalla lotta alla pandemia di questi mesi è che il Covid-19 si può contrastare efficacemente attraverso una adeguata e ramificata rete di Servizi Territoriali per la Salute e un congruo numero di posti letto di Terapia Intensiva. Quelle realtà, vedi la Germania e la stessa regione Veneto, che hanno privilegiato i servizi di prossimità e le terapie intensive, sono state quelle che meglio hanno contrastato gli effetti della pandemia. La Lombardia che invece ha privilegiato i grandi Hub ospedalieri e la privatizzazione dei servizi, è stata la regione che ha avuto più contagi e più decessi.

Alla luce di tutto questo, la Sardegna ha bisogno di ripensare radicalmente la propria organizzazione sanitaria.

In larga sintesi, si può ragionevolmente pensare ad Un sistema sanitario articolato su due livelli tra loro interdipendenti e funzionalmente integrati.

Un Primo livello: una Rete dei Servizi Territoriali (servizi di prossimità, di vicinanza) le cui maglie sono costituite dall’insieme dei medici e dei pediatri di famiglia, Case della salute, poliambulatori, cure post acuto e sub acuto, cure domiciliari integrate, infermiere di comunità, USCA, RSA. Un filtro e uno scudo per ridurre il peso della cura che oggi grava sui pronto soccorso e sugli ospedali.

Un Secondo livello: un sistema ospedaliero incentrato su alcune alte specializzazioni, e una serie di ospedali a struttura modulare, dotati di un buon numero di posti letto di terapia intensiva che potrebbero essere attivati all’occorrenza, diffusi nel territorio, capaci di adattarsi con tempestività a quelle che, con sempre maggiore frequenza saranno le nuove epidemie.

Per ultimo (least but not last) una efficace e lungimirante politica di reclutamento del personale che assicuri al sistema sanitario un adeguato numero di operatori sanitari (medici, infermieri, psicologi).

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