Nuova procedura di infrazione sulla proroga illegittima delle concessioni demaniali marittime

24 Dicembre 2020
Teulada, Tuerredda, chiosco e stabilimento balneare

[Stefano Deliperi]

Pagano quattro soldi per lucrare centinaia di migliaia, quando non milioni di euro, su beni demaniali come le spiagge.

L’Hotel Cala di Volpe versa quale canone demaniale 520 euro all’anno, per tutte le 19 concessioni demaniali marittime in Costa Smeralda (Arzachena) lo Stato incassa la folle cifra di 19 mila euro di canoni annuali

Ovvio che chi ne beneficia ne voglia approfittare fino alla fine dei secoli.

Le concessioni demaniali – in particolare quelle sulle spiagge – non possono essere eterne, lo affermano direttive comunitarie, giurisprudenza, buon senso.

Nemmeno possono essere prorogate automaticamente, eppure così ha deciso il Governo Conte giallo-verde-rosso che ha disposto la proroga automatica al 2033.

Una nuova pronuncia della Suprema Corte (Cass. Sez. III n. 29105 del 21 ottobre 2020) è intervenuta recentemente per ribadire che la proroga automatica delle concessioni demaniali (in particolare di quelle marittime) è radicalmente illegittima in quanto in contrasto con il quadro normativo comunitario in vigore e i relativi atti amministrativi vanno disapplicati, con tutte le conseguenze, anche in ambito penale.

Villasimius, Cala Giunco, spiaggia, concessione demaniale

La giurisprudenza è costante nel ritenere ormai illegittima ogni ipotesi di proroga automatica in materia, in quanto palesemente in contrasto con la direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (c.d. direttiva Bolkestein).

Eppure, indefessamente, il Legislatore nazionale e regionale prosegue con la politica di proroga della durata delle concessioni demaniali marittime a fini ricreativi (c.d. concessioni balneari) fino al 2033, prevista dalla legge n. 145/2018, pur oggetto di contestazioni e disapplicazioni da parte di numerosi Enti locali, delegati in materia (art. 105, comma 1°, lettera l, del decreto legislativo n. 112/1998, legge n. 88/2001, art. 4 della legge n. 59/1997), dopo la riforma costituzionale del Titolo V (legge cost. n. 3/2001) che attribuisce ai Comuni (art. 118 cost.) le funzioni amministrative relative a “gestione dei beni del demanio marittimo e delle zone del mare territoriale”, con esclusione delle competenze in materia energetica e della difesa.

Anche l’art. 182, comma 2°, del decreto-legge n. 34/2020 (c.d. decreto Rilancio), come convertito nella legge n. 77/2020 asseconda la proroga automatica di cui alla legge n. 145/2018 e viene prontamente fatto proprio anche dalle Regioni (es. in Sardegna vi hanno dato esecuzione la deliberazione Giunta regionale n. 47/34 del 24 settembre 2020 e la determinazione D.G. Enti locali e Finanze Regione autonoma Sardegna n. 3114/34254 del 29 ottobre 2020 + Allegato 1A,  Allegato 1BAllegato 1C).

Ovviamente c’è tutto l’interesse dei concessionari nel veder prorogati i titoli concessori: si tratta di alti ricavi verso canoni miserrimi, per esempio per tutte le 19 concessioni demaniali marittime in Costa Smeralda (Arzachena) lo Stato incassa la folle cifra di 19 mila euro di canoni annuali.

Però non sono secondari i riflessi penali della materia.

La sentenza Corte cass., Sez. III, 21 ottobre 2020, n. 29105 afferma e conferma la necessità della disapplicazione della normativa nazionale e regionale che preveda la proroga tacita delle concessioni demaniali, con particolare riferimento a quelle marittime, perché in insanabile contrasto con la direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (c.d. direttiva Bolkestein)..

Trinità d’Agultu, spiaggia di Li Feruli, chiosco in corso di realizzazione

Si tratta di un principio inequivocabile.

Già la recente sentenza Corte cass., Sez. III, 12 luglio 2019, n. 25993 aveva sancito che la proroga legale prevista dall’art. 1, comma 18°, del decreto-legge n. 194/2009, convertito nella legge n. 25/2010 per le concessioni demaniali marittime “presuppone la titolarità di una concessione demaniale valida ed efficace (Sez. 3, n. 32966 del 02/05/2013, Vita, Rv. 256411; Sez. 3, n. 33170 del 09/04/2013, Giudice, Rv. 257261)”, inoltre, “ai fini della integrazione della fattispecie di occupazione del demanio marittimo, sono soggette a disapplicazione le disposizioni normative che prevedono proroghe automatiche di concessioni demaniali marittime, in quanto violano l’art. 117, primo comma, Cost., per contrasto con i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario in tema di diritto di stabilimento e di tutela della concorrenza (Sez.3,n.7267 del 09/01/2014,dep.14/02/2014, Rv.259294; Sez.3, n.21281 del 16/03/2018, Rv.273222)”.

Qualora non ricorrano le suddette condizioni, si ricade nell’ipotesi di reato di cui all’art. 1161 cod. nav. (occupazione abusiva del demanio marittimo).

La legge n. 217/2011 (art. 11, comma 1°) aveva provveduto all’abrogazione del meccanismo di proroga tacita delle concessioni demaniali marittime (art. 1, comma 32°, del decreto-legge n. 400/1993, convertito nella legge 494/1993 e modificato dall’art. 10 della legge n. 88/2001) proprio per chiudere la procedura di infrazione n. 2008/4908 avviata ai sensi dell’art. 258 del TFUE per violazione della c.d. direttiva Bolkestein.

In buona sostanza, le proroghe stabilite per legge non si applicano alle concessioni precedenti alla legge 88 del 2001 che ha abolito il meccanismo del rinnovo automatico.

In particolare, ha ricordato la Suprema Corte, “la Corte di Giustizia (CGUE, sentenza 14 luglio 2016, pronunciata nelle cause riunite C-458/14 e C-67/15), ha definito la questione esprimendo inequivocabilmente il principio secondo il quale le concessioni demaniali marittime non possono essere automaticamente rinnovate; una siffatta procedura contrasterebbe con il principio della libertà di stabilimento, di non discriminazione e di tutela della concorrenza, di cui agli articoli 49, 56 e 106 del TFUE. Inoltre, a parere della Corte, l’art. 12 della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (c.d. direttiva Bolkestein) stabilisce che il rilascio delle concessioni demaniali marittime e lacuali deve necessariamente avvenire attraverso una gara pubblica che consenta a tutti gli operatori economici di inserirsi nel mercato. Da quanto precede risulta che l’articolo 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123 deve essere interpretato nel senso che osta a una misura nazionale, come quella di cui ai procedimenti principali, che prevede la proroga automatica delle autorizzazioni demaniali marittime e lacuali in essere per attività turistico ricreative, in assenza di qualsiasi procedura di selezione tra i potenziali candidati”.

Nella fattispecie concreta lo stabilimento balneare (lo storico Bagni Liggia, sul litorale di Sturla) è stato posto sotto sequestro preventivo per violazione dell’art. 1161 cod. nav.

Stintino, l’Approdo, chiosco sul Ginepro

Anche la recente sentenza Cons. Stato, Sez. V, 15 marzo 2019, n. 1707 ha consolidato l’orientamento, ormai costante e concorde con la giurisprudenza europea: “secondo la giurisprudenza comunitaria, (sentenza CGUE 14 luglio 2016, C-458/14 e C-67/15), le attività imprenditoriali private svolte sui beni demaniali/patrimoniali indisponibili non possono mai essere considerate concessioni di servizi, poiché la concessione di servizi è caratterizzata, in particolare, ‘da una situazione in cui un diritto di gestire un servizio determinato viene trasferito da un’autorità aggiudicatrice ad un concessionario’ (punto 46); al contrario le attività imprenditoriali private svolte sui beni pubblici ‘vertono non su una prestazione di servizi determinata dell’ente aggiudicatore, bensì sull’autorizzazione a esercitare un’attività economica in un’area demaniale. Ne risulta che le concessioni … non rientrano nella categoria delle concessioni di servizi’ (punto 47)”.

Il principio posto dalla giurisprudenza europea e nazionale (penale ed amministrativa) è chiaro: le concessioni demaniali marittime non possono essere oggetto di automatico rinnovo, in palese contrasto con il principio comunitario della libertà di stabilimento, di non discriminazione e di tutela della concorrenza (artt. 49, 56 e 106 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea – TFUE), mentre il rilascio delle concessioni demaniali marittime e lacuali a fini ricreativi (c.d. concessioni balneari) deve necessariamente avvenire mediante gara pubblica (art. 12 della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, c.d. direttiva Bolkestein).

Ora è intervenuta la Commissione europea, con il recente (3 dicembre 2020) avvio di una nuova procedura di infrazione.

Le concessioni balneari tendenzialmente eterne non possono esistere, prima lo si comprende e meglio è per tutti, anche per gli imprenditori del settore.

Gruppo d’Intervento Giuridico odv

Cagliari, Poetto, lavori ampliamento chiosco (2007)

Commissione europea, Pacchetto infrazioni di dicembre: decisioni principali, 3 dicembre 2020

Servizi: la Commissione chiede all’ITALIA di garantire trasparenza e parità di trattamento per quanto riguarda le concessioni balneari  

La Commissione ha deciso in data odierna di inviare una lettera di costituzione in mora all’Italia in merito al rilascio di autorizzazioni relative all’uso del demanio marittimo per il turismo balneare e i servizi ricreativi (concessioni balneari). Gli Stati membri sono tenuti a garantire che le autorizzazioni, il cui numero è limitato per via della scarsità delle risorse naturali (ad esempio le spiagge), siano rilasciate per un periodo limitato e mediante una procedura di selezione aperta, pubblica e basata su criteri non discriminatori, trasparenti e oggettivi. L’obiettivo è fornire a tutti i prestatori di servizi interessati – attuali e futuri – la possibilità di competere per l’accesso a tali risorse limitate, di promuovere l’innovazione e la concorrenza leale e offrire vantaggi ai consumatori e alle imprese, proteggendo nel contempo i cittadini dal rischio di monopolizzazione di tali risorse. In una sentenza del 14 luglio 2016 emessa a seguito di un rinvio pregiudiziale del Tribunale amministrativo regionale della Lombardia (cause riunite C-458/14 e C-67/15), la Corte di giustizia dell’Unione europea ha stabilito che la normativa pertinente e la pratica esistente a quel tempo in Italia di prorogare automaticamente le autorizzazioni vigenti delle concessioni balneari erano incompatibili con il diritto dell’Unione. L’Italia non ha attuato la sentenza della Corte. Inoltre l’Italia da allora ha prorogato ulteriormente le autorizzazioni vigenti fino alla fine del 2033 e ha vietato alle autorità locali di avviare o proseguire procedimenti pubblici di selezione per l’assegnazione di concessioni, che altrimenti sarebbero scadute, violando il diritto dell’Unione. La Commissione ritiene che la normativa italiana, oltre a essere incompatibile con il diritto dell’UE, sia in contrasto con la sostanza della sentenza della CGUE sopra menzionata e crei incertezza giuridica per i servizi turistici balneari, scoraggi gli investimenti in un settore fondamentale per l’economia italiana e già duramente colpito dalla pandemia di coronavirus, causando nel contempo una perdita di reddito potenzialmente significativa per le autorità locali italiane. L’Italia dispone ora di 2 mesi per rispondere alle argomentazioni sollevate dalla Commissione, trascorsi i quali la Commissione potrà decidere di inviare un parere motivato.

Villasimius, Punta Molentis, recinzione nel mare (7 luglio 2019)

(foto per conto GrIG, J.I., S.D., archivio GrIG)

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