Disobbedire civilmente per far valere i diritti di tutti: intervista a Marco Cappato

1 Febbraio 2020
[Alessandra Liscia]

Giovedì 30 gennaio si è svolto il primo appuntamento di Storie in Trasformazione 2020, rassegna di letteratura sociale giunta alla quinta edizione. Il tema che verrà dipanato quest’anno è: “Non temiamo niente” e Marco Cappato ‒ politico, giornalista e attivista, primo ospite della manifestazione culturale ‒ incarna alla perfezione il concetto che si intende analizzare nei vari appuntamenti.

Con il suo ultimo libro “Credere, disobbedire, combattere”, edito da Rizzoli, Marco Cappato racconta tutte le battaglie civili nonviolente che ha portato avanti negli ultimi vent’anni: eutanasia e fine vita, ma anche droghe, diritti LGBTQI, software libero e materiale open source nel campo dell’informatica, genetica, scienza e tutti i diritti umani che vengono ancora negati in Italia, così come nel resto del mondo.

Durante l’incontro, moderato dalla giornalista Anna Piras, caporedattrice e notista parlamentare di Rai Sardegna, Cappato ha parlato di diversi argomenti delicati che spaziano dalla democrazia alla libertà di scelta, dalla dignità di chi soffre e vorrebbe essere libero fino alla fine dei propri giorni sino ai cambiamenti che ognuno di noi può fare per migliorare il mondo.

A soli venti anni si iscrive al Partito radicale; cinque anni dopo, in Belgio, viene arrestato per la prima volta per aver preso parte ad una protesta contro la censura giornalistica; tre anni dopo, nel 1999 viene eletto deputato europeo della Lista Emma Bonino e nel 2004 diviene segretario dell’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica. Su iniziativa di Marco Pannella, nel dicembre 2006 aiuta Piergiorgio Welby ad ottenere l’interruzione assistita delle terapie sotto sedazione. Da Welby in poi assiste e si occupa di tanti casi simili e di tante altre persone, sino a febbraio 2017, quando ha accompagnato Fabiano Antoniani (Dj Fabo) in una clinica in Svizzera per poi autodenunciarsi non appena rientrato in Italia del reato 580 del codice penale, sul suicidio assistito. Sorridente, disponibile e gentile Marco Cappato ha risposto ad alcune domande per il Manifesto Sardo.

La differenza tra diritto, legalità e libertà per Marco Cappato.

La libertà può esserci anche senza le istituzioni, senza che sia il diritto a concederla perché è un concetto ancora più primordiale che riguarda il poter esercitare tutte le nostre facoltà. Quando poi ci relazioniamo con l’altro evocare la libertà non basta più. Per poterla esercitare davvero abbiamo bisogno della conoscenza, abbiamo bisogno anche di essere aiutati, abbiamo bisogno anche degli altri, abbiamo bisogno anche del diritto per evitare che la libertà degli altri diventi un sopruso per noi o che la nostra libertà arrechi dei danni agli altri e quindi lì entra in campo il diritto e la legalità. Il diritto è quello che è scritto nero su bianco. La legalità è un concetto che richiama il suo rispetto in generale. Sono due elementi che si devono nutrire uno dell’altro. Se noi abbiamo il diritto sulla carta, ma poi di fatto l’illegalità è dominante, del diritto non ce ne facciamo nulla. Se però abbiamo rispetto della legalità, relativamente a un diritto osceno, dittatoriale, di prevaricazione o di discriminazione, allora la legalità non è più un valore perché se abbiamo la legalità di leggi discriminatorie, non ci serve a nulla. Ecco perché è importante che queste due cose avvengano assieme. 


La tua vita, o meglio più della metà dei tuoi anni, investiti nella difesa dei diritti di tutti. Perché? Come nasce questo “credo” incondizionato nei diritti e nella libertà?

Intanto è divertente occuparsi degli altri. Poi perché occuparsi degli altri e occuparsi di sé stessi non è così diverso. Penso che quando siamo concentrati solo su noi stessi non è così bello. Non è nemmeno una questione di altruismo, né di eroismo, né di sacrificio. Poter portare avanti la propria libertà in sintonia con quella degli altri aumenta la felicità e la qualità della vita. Non è mai stato per me un sacrificio.

Ma qual è stata una scintilla?

Non saprei. In famiglia erano Radicali, il materiale arrivava a casa e in più ho vissuto delle cose in prima persona. Ma può capitare nei modi più diversi. Secondo me la questione è stare attenti a quello che abbiamo intorno. Poi uno lo può fare per motivi opposti ai miei, può fare politica, volontariato, può fare impresa, però l’importante è l’attenzione verso tutto ciò che ci circonda, che può essere anche l’ecosistema, la qualità della vita, nostra e degli altri.

Cinque arresti, di cui quattro internazionali. Nel 2020, per essere ascoltarti e per provare a far valere i diritti di tutti è ancora necessario farsi arrestare?

No, non sempre. A volte può bastare altro. Esistono situazioni nelle quali la democrazia o la politica è bloccata e quindi c’è bisogno di uno scossone. Greta Thunberg ha cambiato il dibattito sull’ambiente senza farsi arrestare, con un cartello a quindici anni. Ed è stata molto più brava di me. Oppure il gruppo che ha cambiato il dibattito elettorale inventandosi delle sardine ritagliate nel cartone. Quindi non è necessario farsi arrestare, ma è una delle possibilità.

Oggi hai presentato il tuo ultimo libro. Credere in cosa? Disobbedire, perché? Combattere contro chi o cosa?

In realtà ho sfregiato un motto fascista: “credere, obbedire, combattere” che imponeva di credere in quello che ti dicono gli altri (quello che ti diceva il regime); obbedire a quello che ti dicono gli altri e combattere per quello che ti dicono gli altri, magari con le armi o con l’esercito. Disobbedire ribalta il senso di tutti e tre i verbi. Quindi credere un po’ in sé stessi, obbedire al senso del giusto che abbiamo dentro di noi e disobbedire a degli ordini ingiusti e combattere, ossia batterci per ciò di cui siamo convinti. Ma non perché ce lo ordina qualcuno, ma perché magari finisce che viviamo meglio.

Conoscerai sicuramente la figura leggendaria sarda “l’accabadora” che, si narra, aiutasse i malati terminali a non soffrire più per sempre. 
Cosa ne pensi?

È una figura che ci aiuta a capire che non stiamo parlando di temi nuovi in assoluto, ma di temi che riguardano la storia dei nostri genitori, dei nostri nonni, quindi delle civiltà che ci hanno preceduto. Oggi il tema ha un’attualità molto diversa, perché sono molte di più le situazioni, grazie al progresso della medicina, dove si arriva alla condizione di non voler essere più tenuti in vita. Quindi questa figura un po’ mitologica, un po’ storica, una figura che avremo voluto dimenticare, ha acquistato una nuova attualità perché la questione di come si vive alla fine della vita e dell’essere liberi fino alla fine della vita è diventata una grande e contemporanea questione sociale. 


Dichiarato non punibile e successivamente assolto dalla Corte d’Assise di Milano per il reato inerente il suicidio assistito (art. 580 codice penale). Non è la prima volta che aiuti una persona che soffre ad agire liberamente sul proprio “fine vita”. Credi, dopo quattordici anni di concreto attivismo, che prima o poi in Italia venga approvata una legge sul “fine vita”?

Intanto con l’Associazione Luca Coscioni abbiamo già cambiato le regole perché c’è la legge sul testamento biologico. La sentenza della Corte costituzionale è già legge, quindi in alcuni casi circoscritti non può essere punito chi aiuta al suicidio. Non abbiamo ancora ottenuto la legalizzazione dell’eutanasia, ma credo che la otterremo. Il problema è che ci sono persone che non hanno tempo per aspettare due, tre o cinque anni. Per questo è importante che finalmente i partiti si diano una mossa e se ne discuta subito in Parlamento.

L’ultima cosa che hai detto a Fabiano Antoniani, per tutti Dj Fabo.

Mi ha chiesto di uscire perché ha voluto trascorrere gli ultimi istanti con la sua compagna e sua madre. Sono stato contento di questo, l’ho ringraziato e l’ho salutato. Lui è stato grato per quello che ho fatto, ero un amico che lo aveva aiutato, ma Fabiano, la vita che aveva vissuto prima, l’amore che aveva provato sino a quel momento erano quelli per la sua fidanzata, per la sua famiglia e di tutta quella fase della vita dove io non avevo avuto la fortuna di conoscerlo. Quindi l’ho salutato e l’ho ringraziato.

Cosa ti ha lasciato l’esperienza con Fabiano e in generale, tutti i casi simili di cui ti sei occupato?

Ho trovato grande energia, un grande senso dell’umorismo che mi ha lasciato una grande carica e amore per la vita. Le persone che decidono di interrompere la propria vita perché è diventata insopportabile non lo fanno nel disprezzo della stessa, ma proprio per l’amore per la vita che hanno avuto, per cui questo amore proprio loro riescono a trasmetterlo meglio di noi che magari siamo a volte schiacciati dalla routine, dalla noia, dall’abitudine. Questa è una grande lezione di vita per tutti.

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