Eliminare il dissenso per la ricchezza di pochi e l’impoverimento dei più

1 Marzo 2016
berta
Elvira Corona

E’ lunga la lista degli  attivisti uccisi ogni anno nel mondo perché denunciano e si oppongono alle ingiustizie a danno di intere comunità, portate avanti in nome del lucro, del “sistema”, del “progresso”, della “crescita”, della ricchezza per pochi in cambio della miseria dei più. Ingiustizie che comprendono usurpazione di terra, utilizzo privato di risorse naturali come fiumi, laghi, con costruzione di megaprogetti che comportano cambiamenti radicali nella vita quotidiana di comunità intere che non ne avranno nessun beneficio. Molti di loro sono latinoamericani. Perché in America Latina si va a prendere quello che serve per mandare aventi il “sistema”,  arricchirsi in pochi impoverendo tutti.

Berta Cáceres purtroppo da ieri fa parte di questa lista. È stata assassinata mentre dormiva nella sua casa di Esperanza nel dipartimento di Intibucá, nell’Honduras occidentale. La polizia in un primo momento ha parlato di un atto di delinquenza comune, un tentativo di rapina finito male, ma la tesi semplicistica fornita dalle autorità non regge, e non convince nè i familiari di Berta nè i suoi compagni di lotta. Non convince perché sia lei che altri attivisti già avevano denunciato minacce e intimidazioni direttamente collegate all’attività in difesa della comunità indigena Lenca. L’instancabile attivista era una delle fondatrici del Consiglio dei Popoli Indigeni dell’Honduras (COPINH), madre di 4 figli e a sua volta figlia di una donna che le ha insegnato a riconoscere le ingiustizie  fin da bambina, e ad opporsi ogni volta che le avesse riconosciute.

Per questo Bertha Cáceres era una delle più conosciute referenti latinoamericane nella lotta per la difesa del territorio, della sovranità alimentare, e dell’acqua che scorre nei fiumi, considerati sacri dai Lenca.  In un paese come l’Honduras, dove dopo il colpo di stato del 2009, che ha deposto il presidente Manuel Zelaya con la collaborazione dell’ambasciata degli Stati Uniti (si vedano i cabli wikileaks che la documentano), la persecuzione ideologica, la violenza nei confronti dei leader indigeni e più in generale verso i movimenti popolari, sono diventati all’ordine del giorno, tra l’indifferenza dei mezzi di comunicazione mainstream.

Fina da giovanissima si era esposta in prima persona contro i devastanti progetti di sfruttamento minerario voluti da varie multinazionali che non rispondono al governo di nessun paese, ma pretendono dai governi di paesi impoveriti, autorizzazioni e concessioni allo sfruttamento che non lasciano scampo ai contadini, agli indigeni a chi vive di economie reali, non di finanza. Contadini che  rispettano e cuidano (curano) – come dicono da qulle parti – la terra e le risorse naturali. Ma Berta Cáceres è conosciuta a livello internazionale soprattutto per aver impedito la costruzione di Agua Zarca,  una diga nel fiume  Gualcarque, megaprogetto dell’ International Finance Corporation della Banca Mondiale e l’impresa statale cinese Sinohydro. Dopo anni di inutili tentativi, hanno ufficialmente dichiarato di ritirare il progetto per la forte opposizione popolare. Questo ha comportato perdite economiche enormi agli investitori, per questo chi si oppone a questi progetti diventa un nemico pericoloso, tanto più se riceve la solidarietà e visibilità internazionale.

Berta e la rete di organizzazioni che si opponevano al Agua Zarca rivendicavano il diritto sancito dalla Convenzione 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, cioè che le comunità devono dare il consenso libero, previo ed informato sulle sorti dei territori in cui vivono. Consenso che ai Lenca non è mai stato chiesto. Da un giorno all’altro cominciarono a notare strani movimenti e grossi camion trafficare nelle loro terre, senza che nessuno li avesse mai avvisati.

Nel 2013 fu arrestata dopo un controllo stradale, e durante la detenzione si dichiarò perseguitata politica e prigioniera di coscienza. Fu liberata  grazie alle forti pressioni sociali e alle mobilitazioni delle organizzazioni che manifestarono subito la loro solidarietà. È dell’anno scorso il prestigioso riconoscimento con la consegna del premio Goldman, il cosiddetto nobel per l’ambiente.

È di pochi giorni fa invece la sua ultima denuncia per gli omicidi di alcuni suoi compagni del COPINH, così come la critica verso le politiche del governo hondureño completamente asservito alle logiche e alle volontà di società d’affari da sempre interessate alle fonti idriche del paese. Berta sapeva di essere una voce scomoda e per questo in pericolo, ma non ha mai rinunciato alla ricerca di giustizia. Nell’ottobre 2014 partecipò all’Incontro Mondiale dei Movimenti Popolari voluto da Papa Francesco a Roma, e anche in quell’occasione presentò direttamente a Francesco la difficile situazione dei contadini e degli indigeni, che tutti i giorni si battono per il diritto alla terra, alla casa e al lavoro, e coraggiosamente denunciò anche la Chiesa hondureña, molto vicina ai governi filostatunitensi e sempre più lontana dal popolo.

Un paese lontano l’Honduras per noi europei, ma molto vicino, se si pensa che tra queste società non mancano anche quelle italiane. La stessa Rai si rese complice dello “spostamento” di un’intera comunità, quella dei Garifuna, legittimi abitanti dalle isole a largo della costa hondureña, per fare spazio alle telecamere dell’Isola dei famosi, per fare solo un esempio.

Oggi tutti i movimenti sociali e popolari ricordano Berta per le sue lotte e il suo coraggio e chiedono giustizia per la sua morte, ma allo stesso tempo denunciano i pericoli che tutti gli attivisti corrono ogni giorno in tutta l’America Latina. Persone che lavorano senza protezione e senza i riflettori dei media puntati. Media molto spesso legati a editori e finanziatori delle stesse società d’affari che mandano avanti progetti a cui gli attivisti si oppongono. Media che offrono un informazione che orienta l’opinione pubblica, distorce la realtà o semplicemente la cancella.

Berta era conosciuta, stimata e premiata, si pensava che i riconoscimenti internazionali e le reti di solidarietà presenti in tutto il mondo potessero metterla al riparo dalle violenze, ma non è bastato. Fino a quando le risorse naturali e i mezzi di informazione continueranno ad essere nelle mani di chi è interessato solo al lucro, i più continueranno a impoverirsi e a morire.

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