I danni del cambiamento climatico

17 Dicembre 2022

[Mario Fiumene]

Nel 1990, il primo rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC)* concludeva che il cambiamento climatico causato dall’uomo sarebbe stato presto evidente, ma non poteva ancora confermare che fosse già in corso.

Oggi, a distanza di circa 30 anni, le prove che le attività umane hanno modificato il clima sono schiaccianti. Rispetto a quando l’IPCC ha iniziato il suo lavoro, oggi disponiamo di molti più dati e di modelli climatici migliori. Ora comprendiamo meglio come l’atmosfera interagisce con gli oceani, i ghiacci, le nevi, gli ecosistemi e le terre emerse del nostro pianeta. Le simulazioni climatiche al computer sono notevolmente migliorate e oggi forniscono analisi retrospettive e proiezioni future molto più dettagliate. Inoltre, da decenni abbiamo aumentato le emissioni di gas serra, rendendo più evidenti gli effetti del cambiamento climatico. Di conseguenza, l’ultimo rapporto IPCC è in grado di confermare e rafforzare le conclusioni dei rapporti precedenti. Il cambiamento climatico non si riferisce solamente a un riscaldamento globale; stanno avvenendo cambiamenti diffusi nell’atmosfera, nelle terre emerse, negli oceani e nei ghiacci. I livelli di gas serra nell’atmosfera continuano ad aumentare a causa delle nostre emissioni.

Le concentrazioni di anidride carbonica (CO2) sono le più alte degli ultimi 2 milioni di anni. Le concentrazioni di metano (CH4) e protossido di azoto (N2O) sono le più elevate rispetto ad almeno gli ultimi 800.000 anni. Le precipitazioni sulla terraferma sono aumentate a partire dagli anni Cinquanta. Nelle regioni tropicali piove sempre di più durante le stagioni umide e sempre meno durante le stagioni secche. Per alcune specie vegetali dell’emisfero nord, la stagione di crescita si è allungata (fino a 14 giorni in più dagli anni Cinquanta) e, in generale, la superficie terrestre è diventata più verde dall’inizio degli anni Ottanta. La copertura nevosa nell’emisfero nord è diminuita dalla fine degli anni Settanta e alcune aree del mondo con suolo solitamente ghiacciate tutto l’anno (permafrost) si sono riscaldate e scongelate. Assorbendo anidride carbonica dall’atmosfera, l’oceano si sta acidificando. Lo strato superficiale dell’oceano è ora insolitamente acido rispetto agli ultimi 2 milioni di anni.

Naturalmente, non si può sapere con assoluta certezza come cambieranno in futuro le emissioni di gas serra e di inquinanti atmosferici causate dall’uomo. Ma gli scienziati possono esplorare diverse possibilità: per esempio, simulando scenari futuri in cui le emissioni di gas serra verranno fortemente ridotte o, in alternativa, scenari in cui le emissioni di gas serra rimarranno elevate. Possono inoltre esplorare come questi scenari futuri influiranno su aspetti quali l’innalzamento del livello del mare, gli eventi estremi e l’inquinamento atmosferico, e altri ancora.

Molto probabilmente il mondo raggiungerà 1,5°C di riscaldamento nel periodo 2021–2040 (abbiamo già raggiunto 1,1°C nell’ultimo decennio). Ma a meno di riduzioni rapide, massicce e sostenute nel tempo delle emissioni di gas serra, limitare il riscaldamento a 1,5°C o addirittura a 2°C sarà impossibile. Il riscaldamento continuerà ad avvenire con velocità diverse in tutto il mondo, con maggiore intensità sulla terraferma rispetto all’oceano e sarà più intenso nell’Artico. Ogni regione della Terra è unica e risente dei cambiamenti climatici in modo diverso.

Ma maggiore è il riscaldamento, più forti e diffusi sono i cambiamenti climatici in ogni regione. Come conseguenza, è più probabile che eventi meteorologici estremi si verifichino simultaneamente, peggiorando il loro impatto complessivo. Ad esempio, ondate di calore e siccità potrebbero verificarsi contemporaneamente o a breve distanza l’una dall’altra. Nell’Atlante interattivo dell’IPCC è possibile esplorare i diversi cambiamenti climatici attesi per ciascuna regione: https://interactive-atlas.ipcc.ch/

Il clima sarà comunque sempre influenzato dalla variabilità naturale su scale temporali di anni o decenni: esistono fattori naturali che influenzano la temperatura globale su scale temporali relativamente brevi (da anni a decenni). Queste normali variazioni del clima, note come variabilità naturale, continueranno ad agire anche in futuro, così come hanno fatto in passato. L’atmosfera si riscalda in modo relativamente rapido in risposta alle emissioni di gas serra, ma alcuni elementi del sistema climatico reagiscono molto lentamente al riscaldamento del pianeta. Cambiamenti come il riscaldamento degli oceani profondi, la fusione della calotta glaciale della Groenlandia e dell’Antartide e l’innalzamento del livello del mare rispondono lentamente al riscaldamento dell’atmosfera, ma continueranno a verificarsi per secoli, se non per millenni.

Questi cambiamenti sono definiti irreversibili perché continuerebbero a verificarsi anche se i gas serra o le temperature globali venissero ridotti. Prendiamo ad esempio l’innalzamento del livello del mare: anche se stabilizzassimo il riscaldamento globale a 1,5°C, il livello del mare aumenterebbe comunque di 2–3 metri nei prossimi 2.000 anni e di 6–7 metri nei prossimi 10.000 anni. I modelli climatici mostrano che se continuiamo a emettere sempre più anidride carbonica nell’atmosfera, la percentuale di gas serra rimossi dalla vegetazione terrestre e dagli oceani diminuirà.

Cosa significa questo? In sostanza, che la natura ci aiuta di meno quando emettiamo più anidride carbonica rispetto a quando riduciamo le nostre emissioni. L’inquinamento atmosferico provoca ogni anno milioni di morti premature ed è una minaccia per la salute a livello mondiale. Il cambiamento climatico e la qualità dell’aria sono strettamente collegati, perché molte delle attività umane che producono gas serra emettono anche inquinanti atmosferici. Pertanto, se si interviene per ridurre le emissioni di gas serra, spesso si riducono anche le emissioni di altri composti (come gli aerosol) che causano l’inquinamento atmosferico. Quindi, azioni incisive per ridurre i cambiamenti climatici migliorerebbero anche la qualità dell’aria.

Proprio la qualità dell’aria deve essere garantita, ed è per questo che si deve ridurre l’emissione di inquinanti in atmosfera. A tal proposito ecco quanto afferma il Dr. Agostino Di Ciaula, presidente del Comitato scientifico ISDE e internista presso la Medicina Interna universitaria “A.Murri” del Policlinico di Bari «Gli inceneritori (o termovalorizzatori) sono impianti industriali finalizzati alla combustione, quindi generano particolato e inquinanti gassosi. Generano una serie interminabile di inquinanti atmosferici». Non solo malattie respiratorie: i danni dell’inquinamento atmosferico sull’organismo umano possono andare oltre l’organo bersaglio, tradizionalmente individuato nei polmoni. «Evidenze ormai solide dimostrano strette relazioni causali tra esposizioni involontarie a inquinanti atmosferici e patologie estremamente diffuse come le dislipidemie aterogene, la cardiopatia ischemia e le malattie cerebrovascolari». «I rapporti tra inquinamento atmosferico e arteriosclerosi non sono una novità assoluta.

Il primo lavoro che ha messo in relazione le due cose, risale addirittura al 1977. Gli autori di quel lavoro identificavano la relazione anche in maniera abbastanza chiara ma in quel momento non erano in grado di spigare dal punto di vista fisiopatologico la relazione. Abbiamo dovuto aspettare diverso tempo: le spiegazioni stanno arrivando negli ultimi 15 – 20 anni. Adesso è stata confermata questa relazione e abbiamo dei solidi studi sia di tipo epidemiologico sia di tipo sperimentale che hanno chiarito con quali meccanismi tutti gli inquinanti atmosferici ma soprattutto il particolato promuove e aggrava l’arteriosclerosi».

Mario Fiumene è il vice presidente della Sezione ISDE di Oristano

*L’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) è l’organismo delle Nazioni Unite che elabora rapporti scientifici di sintesi sulla nostra attuale conoscenza del cambiamento climatico.

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