Il marchio

1 Aprile 2009

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Natalino Piras

Dal libro delle sepolte. Più che mai adesso bisogna stare attenti. Già, ma come? Sembra che non ci sia una diritta via tra tolleranza e no.  Questi rumeni! questi rom, questi stranieri per cui sempre la lingua batte ingenerosa e svelta. Eppure bisogna stare attenti a nonfarsi prendere dalla tentazione del marchio. Ho inventato qualche anno fa un personaggio, Diego Rubens, prete non sempre ossequiente alla gerarchia, cresciuto sostenendo che gli ultimi siano  capaci di dare forza e carisma. Ma nessuna forza e carisma vengono a Diego Rubens dallo stare con i dannati della terra e gli straccioni nel mondo. Tutt’altro ottiene: disprezzo, isolamento, silenzio, quel terribile silenzio  della gente che ti avvolge come una cortina di ferro. Davanti alle cronache e alla loro terribilità, al fatto che è impossibile sostenere l’ostinazione alla tolleranza dentro una sua continua negazione, viene voglia di abbandonare a se stesso il personaggio di finzione. La sua testimonianza non rende. Eppure è lo stesso Diego Rubens a ripresentarsi e a chiedere di stare attenti. Appare come una specie di fantasma e per certa postura somiglia a  Renzo Tramaglino inseguito dall’ingiustizia, quando richiama gli antichi spirti e comanda loro di reggere. Lo vuole la contingenza, il fascismo che torna, alimentato dall’idea di marchiare. Fascismo? Marchiare? Sostiene Diego Rubens, riferendosi a cose che non è passato manco un mese e che pure sembrano già dimenticate,  che il fatto che un ministro decida di schedare, come segno, come marchio, i bambini rom,  è fascismo.  Qualcuno, tra i fautori del marchio, magari qualche padano, dice che non è così? E allora vada a risentire quello che pensava ed esternava il padano Giorgio Perlasca, salvatore di ebrei e giusto delle nazioni, a proposito delle leggi razziali del 1938: “Non potevo sopportare la vista di persone marchiate come degli animali. Non potevo sopportare di veder uccidere dei bambini. Non condividevo le leggi razziali. Le vedevo inique. Per me, cattolico, gli ebrei erano semplicemente delle persone che professavano un’altra religione.  Erano uomini, non bestie”. A 70 anni di distanza si  provi a sostituire “ebrei” con “rom” e si otterrà il risultato. Non che non sia arduo accettare l’altro e salvarlo dalla marchiatura. Sostiene Diego Rubens che ciascuno di noi, cittadino e paesano, coltiva stratificate distanze e diffidenze nei confronti degli “zingari”, degli extracomunitari, dei vagabondi, con parole più forti: magnaccia, spacciatori di droga, stupratori.  Danno fastidio i questuanti di  professione ché anche le società più povere hanno tramandato il proverbio che al mendicante incallito si nega l’elemosina. Ma il fascismo è fascismo. Le schedature  portano ai tribunali speciali, al rafforzamento dell’idea di ghetto, ad Auschwitz. La persona o la cosa  marchiate pretendono sempre una divisione netta e forte tra chi ha il potere di usare il marchio e chi questo subisce. Dice un passaggio dall’Apocalisse (13, 17): “E che nessuno possa comprare o vendere se non chi ha il marchio, il nome della bestia o il numero del suo nome”. Comprare e vendere sono oggi i  valori, il target che ha sostituito l’utopia di una società se non giusta perlomeno il meno ingiusta possibile.  Conti se compri e vendi, se sai vendere e comprare. Non importa se la merce sia oro o sterco. Anche in questo, nell’esasperazione della vendita e del marchio, alligna il fascismo. Non sembri la cerca di battute ad effetto. È che, dice Rubens, insieme all’idea di marchiare la gente come bestiame,  bisogna cercare di contrastare acquiescenza e indifferenza, squadrismo mentale e paura, tutte farine che innescarono osanna al duce quando portò l’Italia alla guerra e alla distruzione. Tu pensa: le cosiddette conquiste coloniali in Africa e la volontà pur ridicola di spezzare le reni alla Grecia sono state nel segno del marchiare, del muovere guerra a gente ritenuta più povera di noi italiani, presunta brava gente. La stessa guerra contro i dannati della terra unisce nella ferinità il maresciallo Graziani, quello dei gas e dei massacri, e il povero picaro, meridionale,  che tornando a casa dopo avere chi sa come salvato la pelle  dice che lui “i bambinetti negri” li usava per accendere il fuoco. Bisogna stare attenti ai ritorni di fiamma. Possono diventare incontrollabili Il fascismo  è un prodotto di cause e concause della storia ma è pure una voce di dentro, un marchio da cui non sempre ci si libera. Così almeno sostiene Diego Rubens.

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