Il metano non vale un tubo

1 Febbraio 2020
[Antonio Muscas]

Alcune osservazioni sull’incontro tenutosi al Mise sulla decarbonizzazione della Sardegna. Non ho mai sentito tanta attenzione per il popolo sardo e le sue esigenze quanto quella espressa da parte dei fautori del tubo del gas.

In tanti, venerdì 31 gennaio al tavolo tecnico convocato dal Mise, si sono fatti portavoce dei sardi e della Sardegna: “tutti i sardi vogliono”, “il popolo sardo chiede”, “la Sardegna ha bisogno di”… I più accalorati erano rigorosamente non sardi e probabilmente l’unica Sardegna da loro conosciuta è rappresentata dalle sue spiagge e dai villaggi turistici.

Ma si sentivano così vicini a noi da volere la dorsale del gas esclusivamente e appassionatamente per il nostro bene, non quindi per il proprio interesse. Per rilanciare la nostra industria e non le loro imprese, rivitalizzare la nostra economia e non il loro portafogli; per frenare l’emorragia di giovani e addirittura richiamarli in terra natia.

C’è stato chi addirittura si è spinto ad puntualizzare che “pure in Sardegna fa freddo”, e perciò, per scaldare le case dei sardi, quale miglior soluzione del metano? E noi che ignari siamo invece rimasti a congelarci dentro i nuraghi per millenni!

In qualità di delegato dell’USB ho partecipato all’incontro del Mise, il tavolo tecnico convocato dal ministero per presentare proposte e pareri sul cosiddetto phase out del carbone, ovvero sulla chiusura delle centrali a carbone in Italia. Nell’incontro del 31, il tavolo era dedicato specificamente alla Sardegna. E, per la prima volta da tempo immemore, la platea è stata estesa ad una più larga fascia di portatori di interessi a cui è stata data la possibilità di esprimersi alla pari di confindustria e sindacati confederali.

Una cosa certamente indigesta per chi finora era abituato ad avere lo spazio tutto per sé, e ancora più indigesta in un momento in cui confindustria e sindacati confederali, superati gli ostacoli dei decenni scorsi, senza imbarazzo alcuno, da controparti sono diventati un’unica parte. Quella di Confindustria, naturalmente. L’incontro era dedicato alla dismissione delle due centrali a carbone sarde di Fiumesanto e Portovesme.

I lavori si sono aperti con le relazioni del ministero in cui, assieme ai dati di fabbisogno energetico, sono state esposte le possibili soluzioni alternative di approvvigionamento elettrico. Si sono quindi espresse Terna, società di gestione della rete elettrica, Enel, proprietaria della centrale Sulcis, ed Ep, proprietaria della centrale Fiumesanto.

Il ministero, avendo approfondito alcuni aspetti ancora non chiari nell’incontro del luglio 2019, e sposando praticamente la linea tracciata da Terna, ha confermato la possibilità di rispettare la scadenza del 2025 attraverso alcuni interventi sulla rete e la messa a disposizione di 400 MW elettrici con l’ausilio di accumuli o con un gruppo di generazione a turbogas. Insomma, non c’è nessuna dorsale nel piano del governo e di Terna, anche se si apre a depositi costieri e rigassificatori.

Enel e Ep dal canto loro si sono dette disponibili a transitare dal carbone al metano se dovessero ricevere indicazioni in tal senso, e la Ep ha anche espresso la possibilità di convertire in biomassa parte dell’impianto, pur senza spiegare da dove arriverebbe così tanta biomassa ma avendo cura di specificare bene la necessità di ricevere sostanziosi incentivi in quanto la biomassa non risulta avere costi vantaggiosi. Cosa non si fa per il bene dell’ambiente!

La parola è poi passata alla Regione Sardegna, nella persona dell’assessora Pili e successivamente del consulente incaricato di illustrare tecnicamente la posizione del governo sardo. Con un giro alquanto tortuoso e oltremodo complesso, prima la Pili e poi il suo consulente, hanno sostenuto l’impossibilità di avere il metano in Sardegna senza dorsale. Perciò, per ragioni restate ignote, i serbatoi e i rigassificatori senza tubo non avrebbero senso.

Gli amministratori di Portoscuso, Sassari e Porto Torres, comprensibilmente, hanno espresso forti preoccupazioni per il futuro dei loro territori e dei lavoratori. A loro ovviamente servono risposte e prospettive certe, e la rappresentante del comune di Sassari non ha nascosto le perplessità sul metano: “è anch’esso un fossile, e perciò il suo utilizzo deve essere limitato; fino a quando lo dobbiamo utilizzare?”. Ma solo con l’intervento di Confindustria Sardegna si è dato il via alla migliore retorica pro tubo. Tubo utile all’industria sarda, chiaramente, ma soprattutto ai cittadini sardi, svantaggiati rispetto all’Italia, e addirittura all’Europa, da un costo dell’energia più elevato.

Anche Invitalia ha detto la sua, quale socia di Sider Alloys, l’ex Alcoa chiusa da quasi 6 anni, e per la quale qualche settimana fa sarebbe stato raggiunto un accordo col governo per usufruire di una tariffa agevolata per l’energia, con o senza metano, pari a circa 25€ a MWh contro i circa 50€ del valore di mercato. E quando sono cominciati gli interventi delle organizzazioni sindacali confederali, gli elogi del tubo si sono addirittura sprecati.

Il rappresentante della Filctem CGIL nella sua lunga, e sfiancante, relazione è arrivato addirittura a sollecitare il governo per accelerare il rilascio delle necessarie autorizzazioni. Come se le autorizzazioni fossero una banale procedura burocratica e non invece un iter di verifica del rispetto di tutte le norme, i vincoli e i regolamenti previsti per un progetto di tale portata, il quale, a dispetto di chi dice trattarsi della posa di un semplice tubo, ha invece ed evidentemente implicazioni notevoli.

Ovviamente la sollecitazione avveniva nell’interesse dei sardi. Ma sentire il sindacalista rivolgersi ai rappresentanti ministeriali con un: “e datecela ‘sta benedetta autorizzazione!”, dava più l’impressione di essere al mercato della frutta che ad un incontro di alto livello.

Un po’ più sotto tono sono stati gli interventi degli altri rappresentanti sindacali – difficile infatti raggiungere tale livello e, soprattutto, parlare per così tanto tempo – anche se a eguagliarlo e addirittura superarlo ci ha pensato il segretario della CGIL sarda.

Ma tutti, senza risparmio, si sono dati da fare per sostenere le ragioni del tubo: dalle piccole imprese destinate altrimenti a morire, passando per i caseifici e il prezzo del formaggio, fino all’insensatezza di far viaggiare, in assenza di tubo, i camioncini del gas su e giù per l’isola. Poco importa se non ci sono numeri a sostenere i vantaggi del tubo, se non ci sono evidenze a favore del metano in Sardegna. Poco importa, soprattutto, se a progetto, il tubo non è previsto arrivare a casa di tutti i sardi, o meglio, lascerà più di 300 comuni scollegati e appena una settantina sarebbero quelli eventualmente raggiunti dalla rete.

Nessuno tra ministero, governo sardo e sindacati ha poi sollevato obiezioni sul frazionamento del progetto in due tronconi e la distinzione tra dorsale e depositi costieri. Non fanno parte forse di un unico progetto? E perché allora separarlo in parti? Per superare gli ostacoli di valutazione ambientale? Non è questa una pratica vietata dalla legge? Nessuno tra ministero, governo sardo e sindacati ha posto domande sulle dimensioni dei serbatoi e della capacità di movimentazione, enormemente superiore alle presunte esigenze dell’isola.

E che dire inoltre degli investimenti per questa infrastruttura? Come si fa a investire nel metano oltre 2 miliardi di euro, e nel contempo investire in rinnovabili e risparmio energetico? Non è forse vero che se si porta il metano in Sardegna si deve poi promuoverne il consumo per recuperare le spese sostenute? Come si può pensare allora di mettere in competizione metano e rinnovabili? E se tutta l’infrastrutturazione verrebbe terminata all’incirca verso il 2030, sarebbe ragionevole immaginarne la dismissione e lo smantellamento entro il 2050?

Sono queste domande accuratamente evitate da parte di chi dovrebbe vigilare; e sono invece questioni presentate durante il mio intervento, il cui esito è stato la reazione contrariata di diversi tra i presenti, compresa l’assessora Pili, più volte intervenuta con i suoi “non e vero!”, quando ho affermato dei pochi comuni interessati dalla metanizzazione, e con “stiamo parlando di phase out, non di metano!”, nel tentativo evidente di farmi stare zitto, quando illustravo quanti danni produce il metano in risposta ai loro elogi sui presunti benefici di questo nobile gas fossile.

Sono stati diversi gli interventi a favore di una transizione senza metano e/o senza tubo, da parte di WWF, Italia Nostra, Cobas e persino Legambiente. Tutti interventi argomentati, con tanto di numeri e dati alla mano, a differenza dei sostenitori del tubo, alla cui retorica non ha fatto seguito uno straccio di dato.

I pro-tubo hanno lamentato l’assenza di una proposta concreta da parte del ministero. Dimenticando evidentemente le ragioni del tavolo tecnico, ovvero l’opportunità data ai presenti di dire la loro e presentare proposte da sottoporre alla valutazione del ministero prima di ogni decisione. Italia Nostra, Wwf, Cobas e Usb una loro proposta l’hanno già presentata, e il 31 l’hanno sostenuta con ulteriori argomentazioni a supporto.

E in contrapposizione ai presunti posti di lavoro di un’immaginaria industria energivora, le cui uniche certezze si fonderebbero nell’ulteriore devastazione di un territorio già martoriato dalla loro presenza nei decenni passati, alla loro politica di sviluppo ed occupazionale, contrapponiamo un altro modello diverso dalle industrie energivore, ma che tenga conto delle aspirazioni di tutta l’isola e garantisca benefici ambientali e la creazione di migliaia di posti di lavoro duraturi e socialmente utili. Solo per citarne alcuni:

– le bonifiche ambientali di vaste zone inquinate proprio dall’industria cosiddetta energivora;

– gli interventi di riqualificazione e risparmio energetico;

– la ristrutturazione e la messa in sicurezza della quasi totalità delle scuole della Sardegna;

– il potenziamento dell’agricoltura, dell’allevamento e la creazione di impianti di trasformazione e produzione dei prodotti ad essi collegati.

Si pensi inoltre alle migliaia di posti di lavoro generabili con le imprese impegnate nei nuovi settori del rinnovabile e dell’economia circolare. Argomenti mai neanche sfiorati dalla banda del tubo, più attenta alle ruspe e alla grande e indispensabile industria fantasma sarda. Sono tanti i miliardi che l’UE metterà a disposizione per la transizione rinnovabile, ma saranno disponibili una sola volta, e chiaramente in alternativa al fossile, non certo in parallelo. Altro che imperdibile opportunità rappresentata dal tubo: perdere questa occasione preferendo il metano, significherebbe legarsi un ulteriore cappio al collo!

Leggo sui giornali solo della frustrazione di PD e governo regionale, della rabbia e delle esternazioni dei vari esponenti politici e sindacali: di Solinas che ancora la mena con la ridicola barzelletta delle bombole in Sardegna a prezzo doppio rispetto al Continente, delle considerazioni del segretario regionale PD sulle associazioni ambientaliste, le cui posizioni, a suo dire, non sarebbero maggioritarie e perciò da non considerare, mentre Tunis, di Sardegna20Venti, organo politico di appartenenza dell’assessora Pili, addirittura accusa di inattendibilità la sottosegretaria Todde.

Tutti furbescamente, tentano disperatamente di associare il tubo all’arrivo del metano e, invece di promuovere un confronto democratico e sentire le ragioni degli altri, cercano di sminuire chi dissente e prevalere dall’alto delle loro posizioni. A nessuno di costoro viene in mente di spiegarci la relazione tra tubo e lavoro certo e dignitoso, trasporti, servizi, infrastrutture, scuole e ospedali, e perché non passa giorno senza sentirli parlare del tubo, mentre del resto non parlano e non si occupano mai.

I voli Alitalia da e per la Sardegna sono garantiti solo fino ad aprile, i trasporti via mare sono diventati quasi un lontano ricordo, soprattutto da Cagliari, per non parlare della rete viaria e ferroviaria; e la nostra sanità è al collasso. Gli indispensabili interventi in questi ed altri vitali settori avrebbero anche positive ricadute occupazionali, ma il nostro Solinas è impegnato a promuovere i nuraghi in plastica in giro per il mondo e nelle campagne elettorali di Salvini in giro per la penisola, oltre naturalmente a confortarci lo spirito con gli annunci a cadenza quasi settimanale del prossimo avvio dei lavori di realizzazione della dorsale. Chiaramente a Solinas e compagni del tubo irrita parecchio la comparsa sulla scena di fastidiosi comitati, organizzazioni e associazioni in opposizione alla loro linea, presentata fin’ora come sola e unica legittimata a rappresentare le istanze dei sardi.

Se ne facciano una ragione perché di cose da dire ne abbiamo anche noi e non abbiamo nessuna intenzione di stare in silenzio.

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