Il velo della colpa

16 Febbraio 2013
Silvana Bartoli
La notte del 31 maggio 1565 Barbara, sposa quindicenne, morì nel suo letto per un colpo d’archibugio sparato a bruciapelo. Chi l’aveva uccisa? Il marito, che l’aveva chiesta in moglie venti giorni prima convinto di una dote molto consistente, o i fratelli che rifiutavano di versarla?
Il processo non riuscì a chiarire chi fosse l’assassino: il marito assolto per insufficienza di prove, i fratelli neanche indagati perché “quando una persona viene uccisa nel suo letto, si sospetta sempre chi le dorme accanto”.
Sono partita dal più antico femminicidio … ma sarebbe meglio usare il termine muliericidio: se va bene il latino uxor per indicare l’uccisione della moglie, si può usare il latino anche per l’uccisione di una donna, mulier appunto; sono partita -dicevo- dal più antico muliericidio di cui ho diretta conoscenza documentaria perché la mattanza quotidiana cui assistiamo ha una tradizione antica.
La differenza è che oggi fanno notizia tutte le donne uccise, non solo quelle di alto lignaggio.
Un’altra differenza è che oggi si parla di delitti, mentre il silenzio del passato tutelava i diritti: dei padri, fratelli, mariti, proprietari per natura e per legge delle donne di famiglia; questo infatti è il fondamento del patriarcato, un sistema a dominio maschile e sudditanza femminile, sostenuto e benedetto dalla chiesa cattolica secondo la quale le donne sono le prime responsabili delle violenze: sono loro che inducono i maschietti in tentazione.
Forte di tale “verità”, la tradizione antica imponeva alle donne di velarsi per marcare una differenza tra i due sessi basata su una necessaria sottomissione la cui origine si fa risalire a Eva ma, mentre nella tradizione musulmana è la coppia all’origine della vergogna della nudità, nella tradizione giudaico cristiana è soltanto Eva che rende vergognosa la nudità, è la sua colpa che richiama la punizione divina, dunque è la donna che deve espiare sottomettendosi all’uomo e coprendosi col velo.
Il corpo femminile ha un potere tentatore: come chi ha commesso un errore deve aver vergogna a mostrarsi agli altri, le donne devono coprire il capo perché portatrici di peccato.
Se questo messaggio è presente anche nella tradizione giudaica, sono gli scritti cristiani che detengono il record dei commenti sul legame tra la colpa di Eva e la natura malvagia di tutte le donne. Paolo di Tarso darà il tono già dal I secolo, nella sua scia molti altri interpreteranno il testo di Genesi 3, 1-7, insistendo sulla necessaria subordinazione delle donne.
Figlie di Eva, dunque eredi della sua colpa, le donne devono essere umili, obbedire ciecamente ai comandamenti della Chiesa, ovvero piegarsi all’obbligo di un abito che evochi lo stato di eterne peccatrici, riscattabili solo se sottomettesse all’uomo il quale, creato per primo a immagine di Dio, è stato indebolito dalla caduta della “creatura secondaria” la quale, precisa Tertulliano, è janua diaboli: la porta che consente al demonio di entrare nel mondo.
Per quel peccato il figlio di Dio ha dovuto morire: il crocifisso esposto nudo nelle chiese è un corpo maschile che ha dovuto sacrificarsi per riscattare una colpa femminile. E i padri della Chiesa hanno costruito secolo dopo secolo l’immagine che le donne devono imitare per aspirare alla salvezza: la Madre-sempre-Vergine, casta, velata e concepita senza peccato.
Con questa figura il cristianesimo si stacca dal giudaismo per avvicinarsi all’ideale di verginità proposto da molte religioni cosiddette pagane. Ma la sposa e madre dall’imene intatto, figlia del suo figlio, regina del cielo ma sottomessa al padre, vestita dei colori della purezza, presentata a tutte come una donna semplice e normale, messa sull’altare dall’obbedienza, è in realtà un modello pensato per accentuare i sentimenti di colpa e d’inadeguatezza delle donne che si riconoscono nel cattolicesimo.
Le mogli e madri devono sentirsi menomate per la perduta verginità, mentre per le religiose, sempre-vergini ma non madri, la divisa monastica diventa soltanto il burqa occidentale per dire al mondo che il corpo femminile è una tentazione ambulante da nascondere accuratamente.
Il messaggio sociale del velo islamico dice invece: sono la donna di un solo uomo, senza velo sarei accostabile a una prostituta, sono sottomessa a mio marito e aderisco alle direttive dei difensori dell’Islam.
Le donne velate sono utilizzate per rappresentare una società ordinata e purificata: gli integralisti di ogni religione hanno questa aspirazione; per realizzarla le donne devono essere sottomesse agli uomini e gli uomini alle Scritture; i religiosi conoscono la parola di Dio e la fanno conoscere agli uomini di buona volontà e alle donne obbedienti.
Spesso si sentono monache cattoliche o donne mussulmane dire che il loro velo è segno di libertà e di rispetto, che si tratta di una scelta che sottrae a una dimensione di consumismo e di perdizione. Portare il velo, sosteneva Giovanni Paolo II, è difendere le tradizioni della Chiesa, ma queste tradizioni prevedono la sudditanza femminile: la dignità della donna sta nell’essere sottomessa all’uomo che conosce la volontà di Dio. La donna velata non lancia un proprio messaggio ma quello dell’uomo della sua religione, il quale può indicare la sua supremazia non portandolo. Il velo è dunque un codice sociale potente ed è portato per essere visto.
Simbolo della colpa originale da cui le donne dovevano emendarsi con una vita sottomessa, il velo ha indicato per secoli il diritto di proprietà maschile ed è stato per le donne d’occidente il simbolo di una mutilazione intellettuale che ha reso superflue le mutilazioni genitali. Ma non le ha salvate dalla violenza maschile: solo in Italia, nel 2012, sono state uccise 127 donne, senza contare gli stupri.
Il 14 febbraio si è svolto  il flash mob planetario contro la violenza sulle donne: One billion rising è la prima iniziativa mondiale per affermare il diritto alla vita e alla dignità, la partecipazione prevista è sul miliardo di persone. L’invito è a ballare in piazza, in strada o dove si vuole, ogni città si sta organizzando, chissà se ad Arcore parteciperanno anche le giovani donne che si svelano durante le cene eleganti del padrone.
La violenza è la prima causa di mortalità delle donne nel mondo, il ballo è il modo più diretto per dire che quel corpo, per molti soltanto oggetto di possesso, non si piega.
Ogni manifestazione contro il muliericidio chiede ai maschietti maturi di partecipare contro i violenti: il velo delle donne è simbolo visibile di una colpa commessa da una propria simile, perché non chiedere agli uomini di indossare, almeno per un giorno, il velo simbolico dell’assunzione di responsabilità per le violenze commesse da molti dei propri simili?
Non sarebbe male se lo facessero per primi gli uomini di chiesa, i quali, ignari del rispetto di Gesù per l’altra metà del cielo, insegnano da secoli che la dignità della donna consiste nella sua sudditanza.

4 Commenti a “Il velo della colpa”

  1. Franco Ferrario scrive:

    E’ strano come, tra le molte società umane, spesso a predominanza maschile, a quanto pare solo il cristianesimo e l’islam abbiano sviluppato nel loro seno questa sindrome di avversione vera e propria, direi aggressiva, per tutto ciò che rappresenta l’universo femminile. Ancor più strano il fatto che entrambi sono derivate dall’antica cultura ebraica, che pur essendo decisamente maschilista non aveva certo una tradizione così fanaticamente estremista contro i rapporti con la donna (basterebbe leggersi l’elogio della buona moglie alla fine del libro dei Proverbi). Mi chiedo da dove questa visione di una pericolosa, quasi castrante, realtà femminile possa essersi sviluppata. E perché proprio in queste due culture. Né l’antichità classica, né le civiltà orientali, od altre società umane hanno sviluppato una simile intransigenza. Quasi una nascosta sindrome di paura. Ci dovrà pur essere una spiegazione.

  2. Antonello Barmina scrive:

    Posso dire assai poco sull’islam e sull’ebraismo. Qualcosa invece posso accennare al cattolicesimo. A me pare assolutamente inconcepibile, ad esempio, che le donne non possano accedere al sacerdozio. Direi che la chiesa cattolica, anzi il cattolicesimo in se, è naturalmente misogino. Se c’è un punto di contatto tra i tre monoteismi del deserto questo è costituito dal disprezzo per il corpo della donna. Sono curioso di legge qualcosa in merito scritta dai padri della chiesa.

  3. Irene Marrone scrive:

    il maschilismo è una costante spazio-temporale, basti ricordare gli aborti selettivi in India e in Cina, colpisce tutta la crosta terrestre e tutta la storia dalla culla delle civiltà. Le cosidette civiltà nascono con schiavitù e patriarcato, Engels “L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato”. Nessuna religione (forse un’eccezione si può fare per i Valdesi) ha mai aiutato o semplicemente messo a proprio agio le donne, ma non è la religione l’origine del maschilismo, è solo una delle sue conseguenze, come gerarchia, istituzioni, guerra, sopruso….

  4. Silvana Bartoli scrive:

    Ringrazio Franco Ferrario, Antonello Barmina, Irene Marrone: i loro commenti hanno ampliato e arricchito l’orizzonte del mio articolo.
    Difficile poi non essere d’accordo con le loro osservazioni, sicché spero siano l’inizio di una chiacchierata a più voci su temi “sensibili”.
    La paura del femminile sembra davvero una costante delle tre religioni monoteiste: quale la ragione, si chiede Franco. Provo a sdrammatizzare: se fosse l’invidia dell’utero? Freud ci ha sezionato l’anima per decenni con l’invidia del pene, proviamo a ribaltare la prospettiva…
    Penso, con Antonello, che Santa-Madre-Chiesa sia visceralmente misogina, d’altra parte è una religione maschile, pensata al maschile, per il maschile. Quali ‘padri fondatori’ leggere in proposito? C’è l’imbarazzo della scelta: da S.Agostino, la cui conversione è stata una disgrazia per le donne, a Tertulliano, a Teodor Balsamon, a Origene, a Pietro Crisologo (che si era conquistato il cognomen con splendide prove di aurea eloquenza misogina) … per restare ai più lontani e forse più noti, ma anche quelli più vicini nel tempo non scherzano…
    Il maschilismo è una costante spazio-temporale, scrive Irene, che sta a monte delle religioni. Vero, ma la religione che si dice cristiana dovrebbe pur conoscere il messaggio e l’esempio di Gesù il Cristo, mentre la lettura che ne ha fatto ha ignorato la dimensione profetica ed è stata (ed è) molto più attenta alle necessità del potere da costruire e conservare.

    Ho ricevuto anche diverse mail e telefonate per quell’articolo e ho notato però che nessuno ha nemmeno accennato alla sommessa proposta di una “giornata del velo” per maschietti consapevoli.
    Fa così paura il velo da non riuscire neanche a parlarne? È un simbolo potente, senza dubbio, ma se non si parte dai simboli sarà molto difficile cambiare tradizioni secolari che sembrano far parte della struttura “normale” di una società in cui al ceto religioso si accorda un ruolo direttivo.

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