La proprietà privata è un furto (di beni comuni)

16 Luglio 2010

Karl Marx

Marcello Madau

Capita, nella costruzione continua di questa nostra esperienza digitale, di dover riflettere sul senso delle battaglie e sulla direzione – o le direzioni – che potrebbero o dovrebbero prendere. Proporre punti ed elaborare strade da percorrere, persino idee strategiche, con quel misto fra libertà e irresponsabilità che ti concede il non appartenere ad alcun partito.
Continua a convincermi l’idea che tutto si stia giocando sulla gestione del territorio. Banale, perché tutto è territorio: pure è importante evocare questo termine, poichè ci permette di stabilire uno scenario, e assumerlo come il campo delle azioni importanti. E azioni fra le più importanti per una strategia democratica da svolgere nel territorio sono quelle sui beni comuni.
Molti fra i beni comuni fondamentali sono al crocevia fra storia e natura. E il patrimonio culturale e ambientale, non tanto e solo nei musei, ma quello dei luoghi, attraversabile dai nostri corpi, sta subendo un attacco senza precedenti.
Un nucleo basilare della nostra esistenza viene ad essere particolarmente leso. Da ultimo su ‘Il Manifesto’ Guido Viale ha scritto (ecco il link) che una delle strade ‘a sinistra’ è quella dei beni comuni. Battaglia che recupera il senso delle comunità e della cittadinanza nel riconoscimento e nell’accesso alle ‘cose’ essenziali, perciò non privatizzabili, nella quale si debbono riscrivere strade economiche e traiettorie politiche.
Sappiamo (ed è ovviamente vero anche se non abbiamo letto Marx: basta riflettere accuratamente su noi stessi) che il nostro grado di libertà è fortemente determinato dall’essere affrancati dal bisogno. Ma una volta che il lavoro lo abbiamo, il grado viene definito dal potere disponibile sul ciclo lavorativo al quale versiamo tempo, forze e pensieri. Marx definisce, nella sostanza, alienazione la mancanza di tale potere. Ma anche vivere in un ambiente ostile è una forma molto potente di alienazione.
Come vivere in un ambiente senza la memoria dei luoghi, da tossicodipendenti ante litteram, lo raccontò circa quasi tremila anni fa Omero attraverso i Lotofagi.
Dovremo certamente partire dal basso, dai nostri territori, e governare questi beni: ma non da soli, in microregioni che alzano steccati mentre il concetto di nazione va in briciole.
E non riusciremo a governare nulla, anche se la storia dovesse volgersi radicalmente – e ne dubito – verso le generose arretrate utopie delle indipendenze, senza capire che dietro la chimera del federalismo o del trasferimento delle competenze si sta intanto distruggendo un sistema, in qualche modo funzionante, di tutela dello Stato e, giorno dopo giorno, la condivisione della sua necessità e soprattutto il patrimonio.
Bisognerebbe essere più lungimiranti: che il trasferimento delle competenze sia atteso a destra come a sinistra ci può stare, ma la politica del tanto peggio tanto meglio è irresponsabile.
Ci sarebbe da pretendere, anche avendo mire, speranze e aspettative di indipendenza o forte autonomia – e quindi competenze primarie sul patrimonio culturale e paesaggistico – che intanto non venisse smantellato. Che venisse davvero tenuta bene, e non indebolita, la futura ‘eredità’.
Credo sia necessario un vero patto territoriale che non lasci sola la tutela, che unisca i soggetti che la condividono e ne sono interessati, e che nello stesso tempo impedisca che alcuni funzionari delle istituzioni facciano, con la scusa della cittadella assediata, il bello e il cattivo tempo: anche esse sanno che senza il concorso paritario della società civile e professionale sono destinate a consumare – mentre la peste portata da Nosferatu dilaga nella città – al massimo qualche spuntino finale.
L’attacco parte da scenari così vasti da richiedere una risposta altrettanto vasta, cercando la costruzione di una massa d’urto, motivata da interessi e solidarietà comuni, che non può trovarsi nella definizione di nuovi più stretti territori.
Ma non si tratta solo di questo, perché la questione è più profonda e complessa.
Quanti beni comuni si distendono su scenari assai allargati, e non possono essere percepiti, diventare davvero tali, se non al di là delle quinte e dei fondali di piccoli territori e limitate indipendenze!
E’ vero per i fenici e per i romani, ma anche per il medioevo e la preistoria, è verissimo per i greci, persino per il nuragico. Per l’acqua, dalla Sardegna alle Puglie alla Sicilia. E i paesaggi del Sud e del Mediterraneo uniscono sensibilità e colori, con racconti che si intrecciano e vanno cercati nell’incontro curioso ed equamente reciproco.
L’aggressione globale del sistema capitalistico, dell’Occidente forte e settentrionale, si misura non casualmente nell’attacco al patrimonio di cultura e ambiente del sud dell’Europa, del mediterraneo dei popoli e delle diversità. Una ricchezza irripetibile, stupefacente, formatasi in una sintesi contraddittoria e quasi miracolosa con le categorie dell’arretratezza e di antiche centralità, queste ultime spostate a Nord e ad Ovest dalla modernità.
Oggi quel patrimonio solare e costiero, monumentale ed interno, è la maggior risorsa possibile per il meridione d’Italia, la base per condurre al centro la folgorante idea mediterranea che riporti l’Europa, ancora così dominata dalla moneta e dalle banche, a luogo d’incontro, che restituisca al Mediterraneo –‘il mare in mezzo alla terre’ – quell’antico furto greco fatto da uno Zeus disonesto (forse è per questo che la storia dell’Occidente ama così tanto i Greci da porli al centro della sua nascita).
Che curioso incrocio di ricorrenze e fatti politici: a 150 anni il completamento democratico del ‘risorgimento senza eroi’ rischia di fallire perché quel capitalismo che si è ingrassato sul Mezzogiorno vuole ora liquidarlo, mettendosi piume di pavone ogm di false liberazioni, di ottuse e spesso interessate chiusure.
L’attacco ai beni del paesaggio e dell’identità è quindi un nuovo attacco al Meridione e alla sua unica via di riscossa originale, il lavoro nella traccia della memoria e del sole, dell’ambiente e del tempo libero goduto con il piacere della lentezza, del no al nucleare, dello sviluppo veramente sostenibile. E curiosamente l’Araba fenice della questione meridionale, che lega il mezzogiorno al mediterraneo ed ambedue alla nostra isola, riappare in straordinari dati comuni che richiedono il coraggio, lo sforzo e anche l’entusiasmo di rinnovate alleanze, per rispondere al furto.

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