La scelta di Eluana

1 Agosto 2008

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Manuela Scroccu

Paolo Ravasin da Treviso, ammalato da anni di ASL (Sclerosi laterale amiotrofica), patologia degenerativa dalla quale non si può guarire, ha deciso di stabilire come dovrà essere la sua vita negli ultimi momenti, quando cioè, non avrà più il controllo di sè e del suo corpo. Per far ciò ha registrato un videomessaggio che ha poi messo su youtube. Dopo le polemiche che hanno accompagnato il caso Englaro sembra che molte persone, malate e non, abbiano deciso di incidere come prova dei videomessaggi in cui dichiarare la propria volontà riguardo alla vita assistita dalle macchine. Avete mai detto: “non vorrei mai essere tenuta in vita artificialmente, se dovesse succedere, vi prego, staccate la spina”? Io l’ho fatto che avrò avuto quindici, sedici anni al massimo. Nessun evento traumatico, forse un film o un servizio televisivo sull’argomento, non ricordo bene. Ne ho parlato ai miei genitori, a mio fratello, agli amici più cari. E loro l’hanno detto a me, cosa avrebbero voluto che si facesse se fosse capitato a loro. Succede di porsi delle domande sulla propria vita, sull’eventualità delle scelte da prendere in momenti bui e duri, nei quali ognuno dovrebbe poter scegliere per se stesso. Anche Eluana Englaro l’ha fatto. In occasione di un grave incidente che aveva ridotto allo stato vegetativo permanente un suo caro amico, ha detto al padre e ai familiari: “non vorrei mai vivere così, attaccata ad una macchina”. Stato vegetativo permanente, che brutta espressione. Vivere come un vegetale, così si dice, ma con radici fatte di tubi di gomma e di metallo. Con gli occhi che si aprono e si chiudono seguendo il ritmo del giorno e della notte, ma che non possono vedere. Con le labbra scosse da un tremore continuo, gli arti tesi in uno spasimo e i piedi in posizione equina. Con un tubicino, si chiama “cannula”, che passa dal naso e porta il nutrimento fino allo stomaco e poi un clistere per liberare l’intestino. E gli infermieri che ogni mattina ti lavano il viso e il corpo con spugnature e ogni due ore ti girano nel letto, per farti cambiare posizione e far si che non si formino le piaghe. Di Eluana conosciamo il viso che la ritrae sorridente in una foto che è apparsa spesso sui giornali. Sappiamo che sedici anni fa, una mattina di gennaio, venne ricoverata a Lecco in coma profondo per un gravissimo trauma cranico riportato in un incidente stradale. Da quella mattina “dorme” in una clinica, immobile e con gli arti deformati, alimentata con un sondino nasogastrico e senza nessuna possibilità di uscire dal coma. Nessun miracolo, nessun risveglio come nel film di Almodovar “Parla con lei”. Quella scienza che le assicura “tecnicamente” la vita, con altrettanta sicurezza ci dice che la sua condizione vegetativa è permanente. Il padre, Giuseppe Englaro, nominato tutore, combatte la sua battaglia decennale in Tribunale per vedere riconosciuta la volontà della figlia. Attraverso la sua testimonianza e la sua azione giudiziaria, sempre dignitosa, il caso Englaro riporta periodicamente al centro della discussione pubblica il tema della vita, del rispetto della dignità umana e della libertà di scelta. Proprio in questi giorni la Corte d’Appello di Milano ha autorizzato l’interruzione dei trattamenti che mantengono Eluana Englaro nella condizione di stato vegetativo permanente. Riprendendo le argomentazioni di una recente sentenza della Corte di Cassazione, i giudici milanesi hanno applicato i principi di diritto contenuti nella nostra Costituzione, nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, nella legge italiana sul servizio sanitario nazionale del 1978 e nel codice di deontologia medica. Muovendo dal principio del consenso informato, dal quale discende il potere della persona di disporre del proprio corpo, e dall’art. 32 della nostra Costituzione, che sancisce con fermezza il divieto di qualsiasi procedura medica che possa violare la dignità umana, la Corte ha individuato le due condizioni che legittimano l’interruzione del trattamento di sopravvivenza: il rigoroso accertamento scientifico dello stato vegetativo permanente e la possibilità di individuare la volontà della persona sulla base di dichiarazioni esplicite o attraverso l’analisi dei propri convincimenti e del proprio stile di vita. Questa attenta analisi delle norme e dei principi giuridici ha riconosciuto finalmente ad Eluana il diritto ad una morte dignitosa. Proprio qui ci doveva fermare, con il rispetto dovuto al dolore di un uomo e della sua famiglia. E invece eccoli i Luca Volontè, le Eugenia Roccella (sottosegretaria al welfare) e i loro sodali, come quelli di “Scienza e vita”, berciare scandalizzati contro questi principi così inquietanti e terribili, contro la solita ingerenza della magistratura su temi come la vita e la morte di una persona, che certo non possono essere regolamentati da un organo giudiziario. Stefano Rodotà ha ben spiegato sul quotidiano la Repubblica lo strisciante revisionismo che vuole eliminare i diritti civili per sostituirli con i più malleabili “temi eticamente sensibili”, ormai disancorati dai principi costituzionali. Questi politici servi e prepotenti, che strillano in “difesa della vita”, approfittando magari dell’occasione per attaccare nuovamente la magistratura (che così fanno contento il “datore di lavoro”), hanno perso il diritto di affrontare questioni così delicate e impegnative. Non ne sono degni. Se ne vadano, in silenzio e levandosi il cappello.

2 Commenti a “La scelta di Eluana”

  1. Mauro Medas scrive:

    Ciao manuela ; che sia la sla oppure un’altra patologia cronica o un evento traumatico e ancora … la demenza senile o un bimbo nato in carenza di ossigeno e quindi ridotto a vegetale mi chiedo e domando esistono dei corsi per diventare boia o traghettatori di anime sfortunate ?e se ci fossero chi sarebbe il preposto a staccare la spina ?il medico ,l’infermiere ,il parente.. non mi pare che esista attualmente un braccio della morte in italia ..non concordo con la definizione morte dignitosa o morte legalizzata..se ben ricordi nel film di aldomovar in una scena l’infermiera si prendeva cura di lei e intanto la cambiava perche’ aveva il ciclo !quindi rinnovamento della vita… e se eluana ci avesse ripensato ? finche’ c’e’ vita c’e’ speranza.. i fiori non parlano quindi non calpestate le aiuole..

  2. Marco Pusceddu scrive:

    Esistono – non in Italia, naturalmente, qui di certe tematiche non si puo’ nemmeno parlare – delle tecniche per aiutare chi ne ha bisogno e ne ha manifestato l’espressa volontà, a porre termine a una vita che vita non si può più chiamare. Io non considero vita uno stato in cui si non si possa più avere coscienza di sè, non si possano avere relazioni umane e si sia irrimediabilmente dipendenti da una macchina o da altre persone per le proprie funzioni vitali. Non confondere la vita con il ciclo mestruale, ma soprattutto non confondete la finzione filmica con la vita. Rivendico il diritto di decidere della fine della mia vita, così come lo posso esercitare liberamente in ogni momento della mia esistenza cosciente e autonoma. Nessuna metafisica bigotta può negarmelo: non potete imporre la vostra concezione del mondo a chi non è d’accordo con le vostre convinzioni.
    In Italia non esiste un braccio della morte, ma la stessa chiesa (la minuscola è intenzionale) che nega l’eutanasia non ha mai firmato la moratoria contro la pena di morte, perchè nel suo illuminato catechismo essa è esplicitamente contemplata. Strana ma non unica contraddizione.
    Chi eseguirà la mia volontà sono libero di sceglierlo ora. Io sono i miei atti, le mie convinzioni e la mia memoria: senza queste non sono più.
    Quelli come Eluana non possono cambiare idea, perchè non hanno più idee. Esistono solo per soffrire, e di questo vi ringraziano tutti.
    Finchè c’è morte c’è speranza

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