L’alibi ricorrente della mancata ratifica della Carta Europea delle Lingue

29 Ottobre 2023

[Giuseppe Corongiu]

Certo è triste che la Repubblica Italiana non abbia mai ratificato la Carta Europea delle Lingue, un trattato che obbliga gli Stati Membri UE e non solo, a determinati livelli di protezione per le lingue locali non nazionali, ma non è un fatto decisivo per le condizioni della lingua sarda.

Per questo ho sempre avuto il dubbio che, chi se ne è occupato saltuariamente negli ultimi anni, lo abbia fatto più per occupare lo spazio politico e mediatico che non per ottenere risultati. Gazzosa a basso costo, insomma, che serve a fare bollicine e non a dissetare. Intere legislature sono state dedicate, magari da parlamentari in buona fede messi sulla cattiva strada da consulenti improvvisati, per poi sentirsi dire, magari da altri parlamentari più informati (friulani, sud tirolesi, sloveni), che la strada non era nè giusta nè utile.

L’Italia ha comunque approvato nel 1999 la legge 482 e assolto, nella sostanza, all’obbligo di riconoscere e dare qualche forma di tutela a tutta una serie di idiomi rimasti fuori dai trattati post conflitto mondiale compreso il sardo e catalano. Inoltre, la Carta non definisce le lingue che sono oggetto di tutela (che è una competenza statale), ma stabilisce solo i livelli alti, medi o bassi di protezione dedicati a ogni singola lingua. Nei vari disegni di legge di ratifica, finora presentati in varie legislature, il livello previsto per la lingua sarda è stato sempre individuato pari a quello della 482/99 (cioè blando), pertanto la sua ratifica o approvazione non avrebbe cambiato, e non cambierà niente rispetto alla situazione attuale.

Anzi, visto che alle porte della 482 premono tutta un’altra serie di lingue regionali non riconosciute, riaprire certi discorsi può essere critico perché le 12 lingue riconosciute potrebbero aumentare di numero. Ciò forse anche a buon diritto, in teoria, ma con gli stessi stanziamenti da ridistribuire in pratica. Pertanto non si capisce, nonostante tutto, perché, nelle ultime legislature, molti soggetti e organismi smaniosi di farsi largo nel teatro della politica linguistica regionale, usino l’arma della pomposa rivendicazione contro la mancata ratifica della Carta, come bandiera dell’ingiustizia avverso la lingua sarda. La quale soffre di altri problemi, oggi, tutti nostri e ben noti, non di certo cagionati dalla mancata ratifica.

Lo dimostra il fatto che da tempo l’Italia ha aderito alla Carta delle minoranze nazionali (la Sardegna è riconosciuta come tale) e non è successo nulla. Invece, gli slogan pro ratifica di una Carta inutile, pur se fanno presa nei titoli dei giornali e tra chi ha interesse a sviare l’attenzione, sono usati semplicemente come alibi per la mancata o fallita e continuata attuazione delle politiche linguistiche locali. Per esempio, che fine ha fatto la modifica dello Statuto Speciale per assicurare l’insegnamento del sardo a scuola, consigliata dalla stessa Corte Costituzionale? E la codificazione unitaria del sardo? E l’accademia universitaria della lingua? E la sensibilizzazione della popolazione? E le survey per tenere sotto controllo il numero dei parlanti che diminuiscono inesorabilmente?

Gli esempi potrebbero essere tanti, ma la sostanza è che è molto più facile per molte organizzazioni culturali e imprenditoriali abbaiare alla luna di una Carta che sarebbe comunque inefficace, piuttosto che denunciare chi è distratto e inadempiente, ma che foraggia comunque giustamente gli stessi che dovrebbbero stimolarla a fare meglio. Si può mordere troppo la mano che ci sfama? Direi di no. Ma non esibiamoci troppo su palcoscenici esteri anche per non fare brutta figura davanti alle altre minoranze europee chiamate a vedere lo spettacolo.

Non si può andare troppo a fondo nelle contraddizioni sarde: indifferenza, divisione, egoismo, localismo, debolezza di intenti. Concezione populista dialettale sintomo del dominio linguistico italiano, piuttosto che di lingua civica secondo i dettami della Carta che si dice di voler vedere ratificata. Ma gli alibi sono alla portata di tutti, basta pagare o essere vanitosi.

La Sardegna è piena di clown che per vanagloria o denaro sono disposti a coprire con fuochi di artificio anni di totale insulsaggine dei nostri ultimi e penultimi responsabili di questa pantomima mal riuscita.

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