Manipolazioni numeriche

5 Luglio 2017
Marco Ligas

Pur di restare in sella Matteo Renzi le sta provando tutte, manipola persino l’aritmetica. Dopo il secondo turno delle amministrative ha dedotto, con l’obiettività che gli è consueta e attraverso l’uso di parziali classificazioni numeriche, che nei Comuni con oltre 15.000 abitanti il centrosinistra ha vinto le elezioni nientemeno che per 67 a 59! Ha anche aggiunto, bontà sua, che l’esito avrebbe potuto essere migliore, che comunque poteva considerarsi ugualmente positivo.

Evidentemente non gli importa l’esito complessivo del voto, non gli dispiace poi tanto che nelle grandi città la sua coalizione abbia subito una netta sconfitta, che Comuni come Genova o La Spezia nella prossima legislatura saranno amministrati dal centrodestra, cosi come Sesto San Giovanni, una delle più grandi concentrazioni industriali dell’Italia del secolo scorso, simbolo delle lotte operaie e della strenua resistenza contro il nazismo e il fascismo.

Emerge così la sua lontananza dai valori della democrazia e questa distanza lo induce a rimozioni pericolose, non conciliabili con i comportamenti di un leader e di una classe dirigente che vogliano davvero governare il paese nel rispetto dei diritti dei cittadini. Un diverso interesse nei confronti della sovranità popolare non lo indurrebbe a ignorare che la percentuale dei votanti delle ultime elezioni è stata del 40%, emblematica del distacco tra il paese reale e il governo sempre più proteso alla tutela dei propri privilegi e degli intrighi che gli sono funzionali.

Purtroppo la manipolazione di numeri e percentuali non riguarda soltanto le interpretazioni dei risultati elettorali ma è diventata una costante in tutti i settori della vita pubblica, e viene utilizzata unicamente per legittimare le scelte inique e impopolari dei nostri Governi, siano essi diretti da Renzi o da Gentiloni.

Si analizzeranno pure le informazioni fornite da istituti di ricerca, dall’Inps e dall’Istat, relative ai diversi fenomeni sociali, all’andamento dell’occupazione, al numero di lavoratori a tempo determinato o indeterminato o le condizioni dei lavoratori che usufruiscono degli ammortizzatori sociali ma, naturalmente, vengono pubblicizzate soltanto quelle che sottolineano la giustezza delle scelte dell’esecutivo. Non è un caso che, sulla base di queste interpretazioni sempre meno attendibili, vengano sottolineati con regolarità livelli di occupazione in crescita, un Pil nuovamente in ripresa, un sistema sanitario che garantisce a tutti i cittadini una regolare assistenza e un debito pubblico che finalmente dà segnali di stabilità. Tutto ciò mentre milioni di cittadini subiscono un impoverimento crescente davvero critico.

E se Istat e Inps talvolta forniscono informazioni differenti, quelle che vengono prese in considerazione e ritenute più attendibili sono quelle che si avvicinano maggiormente alle previsioni dei vari Ministeri. I numeri assumono così significati variabili, funzionali soltanto agli interessi di chi detiene le leve del comando. Poco importa se le diversità delle analisi si riferiscono a periodi differenti o a temi di ricerca non omogenei. L’importante è che si prestino a interpretazione convenienti.

Se poi succede, come ha comunicato l’Inps proprio in questi giorni, che con la fine degli incentivi offerti dal Governo i datori di lavoro applicano di nuovo i loro contratti preferiti, quelli a termine, naturalmente sempre più liberalizzati, allora si invitano tutti all’attesa di una nuova fase che però non è sollecitata né programmata da alcuna riforma che possa garantire crescita e sviluppo.

È ora perciò di ridare ai numeri e alle percentuali il loro significato reale e rispondere ai bisogni dei cittadini attraverso politiche che, tra le altre cose, impongano a chi detiene la ricchezza il pagamento dei contributi fiscali al fine di avviare nuove attività produttive, le sole che possano garantire il lavoro di cui il nostro paese ha bisogno. Dunque non i nuovi voucher o il consolidamento del jobs act.

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