Metano: la Sardegna è un mondo a parte

1 Agosto 2019
[Antonio Muscas]

Negli ultimi mesi si è intensificato il dibattito sulla metanizzazione della Sardegna ma, mio malgrado, devo constatare come il messaggio diffuso sia pressoché univoco e tutto rivolto a cantare le lodi di un combustibile che a tutti gli effetti, nonostante per migliorarne la presentazione e l’accettazione lo si promuova come naturale, resta un fossile e, come dimostrano i numerosi studi scientifici condotti, pure altamente inquinante.

Il progetto di metanizzazione, con la sua dorsale e i numerosi serbatoi di stoccaggio, è destinato a stravolgere l’assetto energetico della Sardegna con ricadute economiche, paesaggistiche, sociali, sanitarie e ambientali di estremo rilievo.

Il metano non è e non può essere considerato un combustibile di transizione.

E per la tutela della salute di tutti, compresa la salute economica e ambientale, sarebbe bene analizzare tutti gli aspetti dei progetti in corso prima di accoglierli a braccia aperte.

In tutto il mondo, movimenti e organizzazioni a difesa dell’ambiente stanno riuscendo con valide argomentazioni a sensibilizzare l’opinione pubblica, governi nazionali e unione europea sull’emergenza climatica. Giusto pochi giorni fa, il 24 luglio, Greta Thunberg è stata ricevuta presso l’Assemblea Nazionale Francese per esporre le sue tesi sul riscaldamento globale e numerose sono le azioni in corso a tutti i livelli per mettere freno alle emissioni climalteranti.

In Sardegna, invece, come se i problemi del resto del mondo non fossero anche nostri, come se anzi fossimo addirittura un mondo a parte, a cadenza oramai quotidiana si legge dei sindacati confederali, di confindustria e governo sardo, chiedere sempre più insistentemente e a gran voce una moratoria del carbone almeno fino al 2030 e l’accelerazione dell’iter per la metanizzazione dell’isola.

La nostra isola è l’unica regione d’Italia a non aver il metano, forse l’unica regione d’Europa a non averlo. 50 anni fa, per semplici ragioni economiche, si preferì non metanizzarla. L’opera costava troppo e il numero esiguo degli abitanti non ne giustificava l’investimento: non ci sarebbe stato infatti il rientro in tempi congrui.

Da allora fino a pochi anni fa, nessuno si era mai accorto di questa anomalia, ma oggi, per chissà quale misteriosa ragione, il metano è risalito agli onori della cronaca. Nonostante da allora sia passato mezzo secolo e nel frattempo siano cambiate drasticamente le condizioni ambientali, climatiche, economiche e (guarda un po’) la tecnologia e le conoscenze scientifiche siano andate avanti, un po’ come chiedere il telegrafo o le locomotive a carbone dove questi non sono mai giunti, in tanti si son fatti promotori di questo magico gas.

Martedì 30 luglio nel primo incontro di istituzione del tavolo tecnico organizzato dal MISE a Roma per discutere del futuro energetico nell’isola, in un clima surreale, CGIL, CISL, UIL e Governo Sardo, invece di appoggiare la lodevole iniziativa del Governo, che ha fissato al 2025 il termine ultimo per l’utilizzo del carbone in Italia (e quindi anche in Sardegna) e chiedere pertanto garanzie in termini di investimenti e occupazionali per rendere questa scadenza concreta e praticabile, con una sola voce hanno preteso la proroga delle scadenze e il contemporaneo avvio in tempi rapidi della metanizzazione.

Tra i compiti di chi tutela i lavoratori, in testa ci sono (o ci dovrebbero essere) la salute degli stessi, la qualità del lavoro e della vita, con le dovute garanzie economiche e occupazionali. E si dovrebbe promuovere ogni iniziativa volta a superare sistemi energetici obsoleti e produttivi altamente inquinanti, oramai privi di senso e fuori dalla storia. Allo stesso modo, il Governo sardo dovrebbe approfittare di questa occasione più unica per rara per spingere sull’acceleratore della transizione rinnovabile. E invece. Invece siamo alla vittima che chiede al carnefice pene ancora più esemplari.

Gli argomenti utilizzati sono gli stessi di sempre: il costo dell’energia, i risparmi presunti e il rilancio industriale. Che poi di questi costi, dei risparmi e a quale industria ci si riferisca se ne sappia poco, pare sia un problema secondario.

Alla luce delle cifre in gioco, dei costi certi per gli utenti, dei risparmi dubbi, e delle conseguenze di ogni ordine e grado, credo sia doveroso soffermarsi sugli aspetti di rilievo per evitare di commettere un grave errore nell’illusione, come è capitato tante volte in passato, di spiccare un balzo in avanti per ritrovarsi, al contrario, a dover ancora inseguire ma con il problema di aver nel frattempo perduto invano tempo, risorse e territorio.

Entrando nello specifico del metano, o più precisamente del Gas Naturale Liquefatto (GNL), sono oramai disponibili numerosi studi che ne attestano le criticità. In particolare, quello condotto dalla EDF (https://www.edf.org/climate/methane-research-series-16-studies), avviato nel 2011 con ricercatori di oltre 100 università, ha rivelato come negli Stati Uniti il settore delle estrazioni disperderebbe in atmosfera 13 milioni di tonnellate di metano l’anno, un valore superiore del 60% rispetto alle stime ufficiali dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente. Nel contempo, le importanti perdite dalle linee di distribuzione locali, produrrebbero lo stesso impatto sul clima a breve termine delle emissioni da tutte le centrali elettriche a carbone degli Stati Uniti. In termini di riscaldamento dell’atmosfera, una tonnellata di metano è 80 volte superiore a una tonnellata di anidride carbonica nei primi 20 anni dopo l’emissione e 28 volte su un periodo di 100 anni. Sempre secondo la EDF, le emissioni di metano prodotte dall’industria estrattiva negli ultimi due decenni avrebbero azzerato i benefici sul clima derivanti dalla conversione a GNL degli impianti a carbonenello stesso periodo.

Un altro studio pubblicato il 24 Ottobre 2018 e condotto dalla Transport & Environment (https://www.transportenvironment.org/publications/natural-gas-powered-vehicles-and-ships- ), dimostra come i veicoli e le navi a GNL non forniscono benefici climatici significativi rispetto ai carburanti derivati dal petrolio, mentre includendo gli effetti delle perdite di metano a monte, i benefici si annullano in quasi tutti i casi. Inoltre, non risulterebbe prova alcuna del vantaggio teorico dei veicoli a gas sulla base del minore contenuto di carbonio; anzi, la scarsaefficienza del motore a gas sarebbe in grado da sola di cancellare i presunti benefici. I veicoli a gas hanno emissioni simili alle auto a benzina e addirittura superiori alle auto diesel che rispettano i nuovi limiti. Se rapportati ai veicoli Euro VI, non vi sono vantaggi significativi per i camion in termini di NOx e PM. I diesel HPDI hanno emissioni di NOx leggermente superiori ma emettono meno particolato. Il GNL per le navi perde ogni vantaggio anche rispetto al gasolio marino a basso tenore di zolfo se per quest’ultimo vengono utilizzati sistemi di post trattamento.

Nel 2010 il GNL con 550 Milioni di tonnellate ha rappresentato il 20% delle emissioni globali di gas serra, con una progressione di 25 Milioni di tonnellate, di cui 17 Milioni di tonnellate legate all’estrazione di combustibili fossili.

Per concludere:

In Sardegna non c’è il GNL, non c’è la rete e non ci sono impianti per il suo impiego.

Se anche fosse economicamente conveniente, la metanizzazione comporterebbe, oltre alla realizzazione della condotta principale e delle relative diramazioni, anche la realizzazione di un sistema infrastrutturale oggi inesistente, la conversione dei sistemi produttivi e, in ambito civile, la sostituzione di gran parte degli impianti: caldaie, scaldini, forni, generatori, ecc., con tempi e costi enormi, difficilmente quantificabili e non sempre sostenibili.

L’impulso al suo impiego dovrebbe essere dato con sovvenzioni e agevolazioni, ci dovrebbe essere una nuova promozione del consumo energetico a detrimento del rinnovabile, del risparmio e dell’efficientamento energetico e dei relativi incentivi. Altrimenti come potrebbero i privati a recuperare i miliardi investiti?

Non si tratta perciò, come si vuol far credere, della banale realizzazione di un gasdotto, di un’opera transitoria, ma di una trasformazione profonda e duratura.

A livello residenziale, in Sardegna già nel 2011 oltre il 47% delle abitazioni residenziali era dotata di pompa di calore con punte del 73% per le abitazioni di classe energetica B. L’utilizzo delle biomasse (legna e pellet) interessa oltre il 40% degli impianti prevalenti. Il consumo di combustibili fossili, per contro, già nel periodo 2005-2014, ha registrato un calo drastico, pari al 53% per il Gasolio e al 30% circa per il Gpl. In questo quadro generale, in un momento in cui soprattutto in Sardegna si vuole puntare sulle rinnovabili e l’UE si appresta a concentrare i finanziamenti sul settore, la metanizzazione rappresenta un non senso, un arretramento ingiustificabile.

Il rilancio delle attività produttive in Sardegna non passa necessariamente per la metanizzazione e comunque non potrebbe essere una fabbrica oggi dismessa come l’Eurallumina, o (vien da sorridere) la presunta industria della ceramica a giustificare un’opera da oltre 2 miliardi di euro. Nella nostra isola sono tante le attività assenti: oggi non si produce praticamente nulla e comunque non nei numeri consoni per le enormi potenzialità del territorio e le esigenze economiche e lavorative dei suoi abitanti.

E proprio perché per certi versi sarebbe come ripartire da zero, perché non far cominciare il ragionamento da cosa è realmente utile per noi, da cosa ci serve ed è necessario?

Non mi risulta che nessuno l’abbia mai chiesto ai sardi.

Perché non puntare su attività sostenibili, rispettose dell’ambiente, consone col territorio e all’avanguardia? Non può essere questa l’occasione? Perché non iniziare a trasformare quanto già esiste in eccellenza? Con almeno due miliardi di euro si possono promuovere e finanziare tante piccole attività, mobilitando utilmente migliaia di risorse umane con concrete prospettive di continuità.

Alternativamente, si può posare un tubo, mettendo a lavorare per qualche anno qualche escavatore e qualche centinaio di operai, ma senza la garanzia che l’opera venga conclusa, che su quel tubo ci passi mai del gas ,che quel gas lo possano o lo vogliano utilizzare i sardi e, soprattutto, che quel gas sia realmente per noi o serva a qualcosa.

Siamo sicuri che il metano rappresenti per la Sardegna la scelta giusta?

6 Commenti a “Metano: la Sardegna è un mondo a parte”

  1. Nazareno Lecis scrive:

    L’articolo è palesemente scritto senza aver alcun senso pratico e senza avere idee dei tempi che separano le fasi.
    Prima di poter arrivare ad avere il 100% di produzione energetica dovuta alle fonti rinnovabili è necessario inventare un sistema di accumulo per le linee ad alta tensione, cosa ad oggi inesistente.
    Sino a quel momento ci sarà bisogno di utilizzare le fonti fossili e si deve scegliere cosa fare una volta eliminato il carbone. O si aumenta l’utilizzo di petrolio e di usa per 30-40 anni il gas per la transizione energetica.
    Lo studio proposto mostra dei dati parziali su un campione molto ristretto e non tiene conto dell’inquinamento da lavorazione, delle polveri sottili e di 100 altri fattori.

  2. Antonio Muscas scrive:

    Caro Nazareno Lecis, sarebbe bene leggere attentamente prima di definire gli altri “senza senso pratico”. Tra l’altro dove trova una mia affermazione in cui dico che oggi in Sardegna potremmo andare 100% rinnovabile?
    Sono sempre stato disponibile al confronto, al confronto serio. Non so lei

  3. Luciano Lussorio Virdis scrive:

    Premetto che condivido pienamente il contenuto dell’articolo, ci sarebbe anche altro da aggiungere.
    Il problema è che non volete nemmeno le rinnovabili, ricordo che proprio voi avete fatto campagne contro ogni forma di energia rinnovabile, in particolare l’autore dell’articolo.
    Nel 1999 Rubbia, che allora era presidente di ENEA e CRS4, presentò un progetto per rendere la Sardegna indipendente dalle fonti fossili, attraverso il Solare Termodinamico e l’Idrogeno, progetto ripresentato nel 2004 senza esito.
    Dal 2013 al 2018 in Sardegna sono stati presentati 7 progetti di Solare Termodinamico, nessuno di quei progetti è andato in porto.
    Nel 2006 Rubbia, cacciato dal CRS4 e da ENEA, se lo sono preso gli spagnoli che in 5 anni hanno realizzato oltre 50 centrali Termodinamiche (https://www.dropbox.com/s/8lenlf9jkhf2rli/Spagna%20solare%20termodinamico.kmz?dl=0), per un totale di 2.300 MWe, ha realizzato una filiera di 42.000 addetti, oggi la Spagna, pur avendo una tecnologia meno efficiente di quella italiana, costruisce le centrali Termodinamiche in tutto il mondo; questa l’ultima gara vinta dalle società spagnole e una nota di cosa avrebbe potuto fare la Sardegna:
    https://www.dropbox.com/s/234gyjleu8qcxed/00%20MENA%20New%20Energy%202019%20rev..pdf?dl=0

  4. Rosalba Meloni scrive:

    Trovo lo scritto di Antonio Muscas molto interessante in quanto fa delle valutazioni poi argomentate con l’apporto di studi scientifici e dati.
    Trovo utile che stia finalmente uscendo fuori un tipo di informazione che non sia solo legata a degli slogan, tipo “il metano ti da una mano”, che vuole evidenziare la sua indispensabilità, funzionalità e convenienza, o alla messa in rilievo del metano quale “gas naturale” e quindi per questo buono, utile e non nocivo. Non tutto quello che c’è in natura è buono, spesso è nocivo o addirittura mortale!
    Credo che sia giunto il momento di informare le popolazioni su che cos’è realmente il metano, che vantaggi e svantaggi reali può portare, dal punto di vista ambientale, economico e sanitario. Non dire che, siccome non l’abbiamo mai avuto e siccome costa meno (?), ed è pulito (?) ci serve. Gli slogan dovrebbero essere accompagnati sempre da dati, a meno che non si voglia, anzichè informare, indottrinare chi legge o sente. Ognuno di questi slogan, se venisse argomentato seriamente ed onestamente, ribalterebbe completamente quella che potrebbe essere oggi la posizione delle popolazioni coinvolte nel passaggio del metanodotto, nonchè di quelle che dovrebbero avere nel loro territorio depositi o rigassificatori.
    Nel caso del metano l’informazione corretta dei Sardi, al di fuori di logiche di speculazione economica o politica, è fondamentale per il ruolo climalterante del metano e per il consumo enorme di territorio che comporta il metanodotto

  5. Antonio Muscas scrive:

    Caro Luciano Lussorio Virdis,
    Non “contro ogni forma di energia rinnovabile” ma, per la precisione contro ogni finta rinnovabile e, in particolare, ogni forma di speculazione.
    In merito a Rubia e agli impianti termodinamici spagnoli, non ho dati a riguardo capaci di dimostrarne la bontà. Relativamente a quelli sardi, posso affermare invece che la loro bocciatura è avvenuta per voce del Prof. Paolo Giuseppe Mura, probabilmente il massimo esperto di termodinamica in Sardegna, il quale, in un intervento a Gonnosfanadiga, al quale forse anche lei aveva partecipato, ne dichiarò l’inutilità alle nostre latitudini.
    Ciò detto, senza entrare nei dettagli tecnici, di cui volendo potremo parlare in una fase successiva, i progetti presentati sono stati imposti alle comunità locali, non certo discussi e concordati con loro. Si è tentato di strappare centinaia di ettari di fertile terra ai legittimi proprietari facendola passare per suolo arido di nessun valore. È stato non certo un bell’esempio di democrazia, attenzione e rispetto delle questioni e necessità locali, del sacrosanto diritto all’autodeterminazione. Sono questi il rispetto per l’ambiente e le comunità, la sostenibilità, l’eco compatibilità?

  6. Antonio Muscas scrive:

    In estrema sintesi, facendo un calcolo a spanne, per i circa 9.000 GWh oggi necessari a soddisfare le nostre richieste, sarebbero necessari almeno 29 degli impianti proposti da Virdis e 6.700 ettari di terreno.
    Mentre, per rendere la Sardegna totalmente autonoma, e poter produrre elettricità, calore e idrogeno per circa 44.000 GWh all’anno, ci vorrebbero 140 impianti e circa 33.000 ha; ma considerando le perdite per passare da un sistema energetico ad un altro, dovremmo mettere in conto almeno 50.000 GWh, ovvero almeno 160 impianti per circa 38.000 ha.
    A tutto quanto sopra si deve aggiungere:
    -i metri cubi d’acqua annui di raffreddamento e per altri usi;
    -i metri cubi di cemento necessari per realizzare gli impianti;
    -destinazione dei materiali a fine vita;
    -costo del MWh (quanto viene pagato al produttore e quanto vale sul mercato);
    -vita utile dell’impianto (25-30 anni?) e prospettive di reimpiego o necessità di realizzarlo in altro luogo;
    -trasformazione del suolo: livellamento e altre opere di trasformazione;
    Per il resto, i ricavi per la vendita energetica vanno ad un privato. Ai sardi non va niente.
    Ma il punto essenziale è: che diritto avete voi di imporre un progetto senza averlo concordato con le comunità?
    Sono favorevole allo studio di ogni soluzione in grado di dare risposta alle nostre esigenze. Ma le soluzioni vanno discusse e condivise con tutti i portatori di interessi. Invece volete scavalcare chiunque si frapponga fra voi e le vostre soluzioni magiche

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