Nominare la differenza

16 Maggio 2013
Silvana Bartoli

– Molto tempo dopo, vecchio e cieco, camminando per le strade Edipo sentì un odore familiare. Era la Sfinge.
Disse Edipo: “Voglio farti una domanda. Perché non ho riconosciuto mia madre?”
“Avevi dato la risposta sbagliata” – disse la Sfinge -“Quando ti domandai cosa cammina con quattro gambe al mattino, con due a mezzogiorno e con tre alla sera, tu rispondesti l’uomo. Della donne non facesti menzione.”
“Quando si dice l’uomo”- disse Edipo -“si includono anche le donne. Questo, lo sanno tutti.”
“Questo, lo pensi tu,” disse la Sfinge.

Così Muriel Rukeyser rilegge il mito facendo della Sfinge un’antesignana della parità, agli albori di un occidente in cui la religione più diffusa avrebbe costruito una famiglia trinitaria cancellando la madre.
Ma “in principio era il logos”: la parola ha costruito il mondo, la parola può cambiarlo.
È la rivoluzione meno cruenta e meno costosa ma anche la più radicale perché va a toccare la dimensione simbolica. Ad esempio la concezione patriarcale della famiglia per cui il passaggio da una generazione all’altra avviene unicamente nel nome del padre: se il principio di parità è ormai diffuso, difficile cambiare per legge duemila anni di pater familias.
Forse è il caso di ricordare che la famiglia non è mai stata un paradiso di armonia e letizia per le donne: il loro ruolo era deciso da altri ai quali dovevano ubbidire con gratitudine. La fine di quel modello è forse all’origine del muliericidio* cui assistiamo da parte di maschi impauriti dall’uguaglianza che usano la violenza per riconquistare potere.
Per fortuna non tutti i maschi sono così: ci sono anche uomini.
E l’emergenza è prima di tutto culturale: se vogliamo che scompaiano i manifesti in cui le donne sono oggetti dati in pasto alla morbosità di certuni, le donne devono avere nome e visibilità in tutti i campi lavorativi.
Senza nome non c’è visibilità: il dominio patriarcale parte dalla parola, attraverso di essa infatti si ratifica la supremazia del maschile in ogni aspetto e tempo della vita, dalle creazioni culturali alle vicende storiche, dai testi religiosi alla pratica politica. Non opporsi a certe consuetudini linguistiche significa continuare a conformarsi a un ruolo subordinato.
La volgare uscita di Battiato voleva dire che nel parlamento italiano tutti e tutte si vendono, ma ha usato un termine che si declina solo al femminile. Veramente il dizionario spiega che il termine “troia” viene da “porcus troianus”, il porcello ripieno con evidente riferimento al cavallo ripieno di soldati.
Nonostante l’origine al maschile, il termine è stato poi declinato solo al femminile: deve essere questo che ha tratto in inganno Battiato- il quale per esprimere meglio il concetto avrebbe dovuto dire “porci troiani”– ma evidentemente non pensava esistesse il corrispettivo maschile, anche se nella realtà (e la politica italiana è ricca di esemplari) non si può certo dire che manchino gli uomini disposti a vendersi.
Tra l’altro mentre il femminile indica chi vende il proprio corpo, al maschile non esiste nemmeno il termine per indicare chi compra un corpo, se non un generico e inoffensivo “cliente”, quasi a dire che chi ha i soldi per comprare vale più di chi si vende.
Un‘altra annotazione si può fare sul termine “casalinga”, che non ha un corrispettivo maschile se non in accezione derisoria. Forse per questo un europarlamentare analfabeta, al quale da anni paghiamo lo stipendio, ha pensato di poterlo usare come insulto contro la nuova ministra dell’integrazione.
Le Pari Opportunità cominciano dal pari diritto ad avere nome e visibilità, e non riguardano solo metà della popolazione ma tutta la Democrazia.
E si smetta di ripetere che l’uso del “maschile con valore universale” è una tradizione: “si è sempre fatto così”, perché questo argomento è buono soltanto come alibi per chi ha paura  dei cambiamenti.
D’altra parte la connotazione vergognosamente sessista della lingua prende avvio da un uomo, il gesuita (guarda il caso!) Dominique Bouhours: nel 1676 stabilì come regola grammaticale che “quando due generi si incontrano, deve prevalere il più nobile”.
La sua religione non aveva dubbi sul posto che compete alle donne e il linguaggio divenne un ulteriore strumento di disuguaglianza sociale, mediante la codificata registrazione e perpetuazione della “naturale” subalternità femminile.
Ma proprio dalla Francia si chiede, oggi, il recupero della regola detta “di prossimità”. Ovvero: “gli uomini e le donne sono belle”, mentre “le donne e gli uomini sono belli”.  Prima che arrivassero le regole misogine di Bouhours era così anche in altre lingue.
Accettare tali regole come ineluttabili, e dimenticare che sono il prodotto di un preciso momento storico, significa perpetuare la dimensione simbolica del “secondo sesso”, mentre è ormai chiaro che coesione sociale e modernizzazione non si costruiscono senza entrambe le metà del cielo.
Nelle Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana, del 1987, Alma Sabatini ha sottolineato le implicazioni sociali, psicologiche e giuridiche del linguaggio per superare una visione del mondo densa di pregiudizi.
Alma Sabatini scende sul pratico: avvocato, medico… c’è chi ritiene imbarazzante declinarli al femminile; ma medico è anche un aggettivo, perché non va bene il femminile medica? O dottora o professora o presidente: il suffisso in essa ha sempre una connotazione dispregiativa; avvocata dovrebbe già essere in uso infatti il cattolicesimo lo usa regolarmente: “orsù dunque avvocata nostra”: la madre-sempre-vergine può essere avvocata e le altre donne no?
Assessora sembra accettato, Ministra meno, eppure per tutto il Medio Evo sono esistiti monasteri doppi, che vivevano del proprio lavoro, distribuivano cibo, predicavano ed erano amministrati da una Superiora: la Ministra appunto. E fino al Vocabolario del 1612 esisteva solo la parola ricamatore, la ricamatrice non era prevista: se lo ricordi chi si appella alla tradizione.
Piero Ottone ritiene ridicole le “quote rosa” e le “pari opportunità”: le donne non sono una minoranza- dice. Ma pensa davvero che metà della popolazione debba essere subordinata all’altra? Perché di questo si tratta. Il fatto che le donne non siano minoranza può giustificare che debbano lavorare il doppio (in casa e fuori) o guadagnare meno a parità di qualifica? O essere licenziate in caso di gravidanza? Ecco è una specificità femminile: nessun uomo è mai stato licenziato per una gravidanza.
Non ritiene Ottone che tale non-minoranza meriti un cambiamento? Le donne sono state per secoli oggetto di un’oppressione diversa da tutte le altre perché proveniva da padri, fratelli, mariti, figli, ovvero da chi faceva parte del loro gruppo. Se gli ebrei, i neri, gli indiani sono stati vittime di gruppi esterni, per le donne il nemico era interno.
E la lingua costruita al maschile non è né neutra né innocente, le regole possono essere armi e chi controlla le parole crea la realtà: in principio era il logos.

* ritengo sbagliato usare il termine femminicidio se non si usa il termine maschicidio per indicare l’uccisione di un uomo

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