Programmi e chiacchiere

1 Aprile 2009

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Marco Ligas

Forse perché non contengono le frasi ad effetto pronunciate durante la campagna elettorale, o quelle sfottenti rivolte ai propri avversari, i discorsi con cui i neopresidenti aprono la legislatura assumono sempre un carattere solenne: hanno la pretesa di dare risposta agli innumerevoli problemi sociali e al tempo stesso si rivolgono a tutti gli eletti con toni pacati che invitano alla condivisione; sarò il presidente di tutti, è la frase rituale che viene detta. Tanto buonismo appare così artificioso che le reali intenzioni programmatiche vanno ricercate altrove: o nelle scelte che la coalizione vincente ha messo in pratica in precedenti esperienze di governo o di opposizione, o tra le cose non dette nella presentazione del programma. Anche stavolta si è ripetuto il rito. Alcuni esempi.
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Nel presentare il suo programma, il Presidente Cappellaci ha dato molta importanza al tema della democrazia partecipata. Occorre, ha detto, ‘un diretto coinvolgimento degli attori del sistema nella costruzione e condivisione delle scelte strategiche e nell’attuazione degli interventi conseguenti’. Come non apprezzare questo metodo! Interpretandolo correttamente, credo che non sia arbitrario pensare ad un confronto permanente che la Giunta intende promuovere non solo con i rappresentanti delle istituzioni intermedie, ma anche, trattandosi di attori importanti del sistema sociale, con i lavoratori che si ritrovano disoccupati in seguito alla chiusura delle fabbriche, o con i giovani dei call center pagati 400/600 euro al mese, o con gli studenti che trovano difficoltà a frequentare le università perché gli affitti delle camere sono diventati impossibili.
Il nostro governatore l’avrà intesa così la democrazia partecipata? Abbiamo qualche dubbio perché l’enunciazione metodologica presente nel suo programma è una cornice vuota. Con la democrazia partecipata non ci si può limitare a consultare le parti (che intanto vanno opportunamente individuate), ma le si coinvolge direttamente fissando strumenti per raccogliere osservazioni e proposte, momenti di ascolto, regole. Soprattutto c’è bisogno di relazioni circolari fra le istituzioni e i diversi attori, rispetto per le diversità di posizioni e per i contributi esterni, nonché capacità di assunzione almeno dei suggerimenti più validi. Nel programma di Cappellacci tutto ciò non c’è, non si coglie una disponibilità tesa a sviluppare  rapporti con i diversi interlocutori; al contrario, si arriva presto alla conclusione che ‘spetterà sempre alla politica, tuttavia, e soprattutto a chi ha responsabilità di governo, il compito di arrivare a formulare le sintesi, le mediazioni che devono guidare lo sviluppo’. Sembra quasi che la partecipazione non sia una risorsa ma un ostacolo perché ritarda le decisioni o perché appesantisce le strutture burocratiche delle istituzioni; ma se è così è meglio non parlare di democrazia partecipata. Del resto i governi di centrodestra, sia su scala nazionale che regionale, ci hanno abituato ad una pratica centralista imposta dal presidente del Consiglio e mai contrastata.
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Un vuoto grave, ingiustificabile nelle dichiarazioni programmatiche, è quello che riguarda il ruolo di pace che dovrebbe/potrebbe svolgere la Sardegna nel Mediterraneo. Ripetiamo ormai da decenni che il nostro territorio è occupato da basi militari, sappiamo che continuamente si svolgono esercitazioni che hanno ripercussioni gravissime non solo sull’economia isolana ma anche sulla salute di tanti cittadini. L’ultima di queste esercitazioni si è svolta proprio mentre il Presidente cercava di dar vita al nuovo esecutivo. Diversi cittadini sardi, ma il discorso non cambierebbe se non fossero sardi, hanno subito e subiscono gravi malattie a causa del materiale bellico che viene usato. Ma tutto ciò non è ancora sufficiente per rivendicare il ritiro delle basi militari dalla nostra isola e avviare, una volta per tutte, quelle iniziative indispensabili per il risanamento delle acque che circondano l’isola, anche per consentire alle marinerie le attività di pesca che sono state vietate. Nel programma di Cappellacci non solo non viene fatto riferimento a queste esigenze ma si sorvola, come se si trattasse di aspetti irrilevanti, sulle notizie e sui pericoli relativi all’installazione delle centrali nucleari o allo stoccaggio delle scorie. Non è ammissibile che il Presidente di una regione che ha subito sistematicamente le prevaricazioni dei governi della Repubblica o della Nato non faccia sentire la sua voce per contrastare queste iniziative e mostri al contrario una totale dipendenza nei confronti dei suoi dirigenti nazionali.
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Ancora, affrontando i problemi dello sviluppo e dell’occupazione, Cappellacci attribuisce una grande importanza al federalismo fiscale: sarebbero riconosciuti, a suo parere, gli svantaggi dell’insularità e ciò garantirebbe di per sé il principio fondamentale di equità e di riequilibrio per la Sardegna. Quasi una svolta storica, che favorirebbe la creazione di ricchezza endogena in settori come l’agricoltura, l’artigianato, l’industria, il turismo e il commercio! Come questo cambiamento sarà possibile lo dimostrerà nel corso della legislatura quando dovrà passare necessariamente dalle chiacchiere ai fatti concreti. Per adesso ci anticipa che sarà l’impresa il motore dello sviluppo; chissà se ipotizza, come impresa tipo, quella che in questi decenni ha tratto profitto dal denaro pubblico, come è successo con l’Euroallumina, buon ultima della serie,  che ha devastato l’ambiente e creato disoccupazione. Naturalmente l’impresa deve trovare, nei programmi del Presidente, un legame col territorio che va restituito al protagonismo degli amministratori locali, possibilmente disponibili a farne un uso sciagurato per rispondere ai bisogni di speculatori e cementificatori. Del resto bisogna correggere, sentenzia ancora Cappellacci, l’interpretazione del Codice Urbani dove la gerarchia ambiente-paesaggio è prevalsa su altri valori che non possono prescindere dal ruolo centrale che ha l’uomo nel suo ambiente! Il Presidente non ha sfrontatezza di dirlo apertamente ma non è difficile capire che i valori a cui fa riferimento sono quelli relativi all’intervento sistematico sui beni comuni per trasformali in oggetti di mercato. Non è un caso che l’assessorato agli Affari generali è affidato alla Corona, nome importante della Massoneria, che gestisce con la sua società Immobiliare IECinque i cantieri edilizi in Costa Smeralda anche per conto del proprietario dell’Unione Sarda Zuncheddu. A questo punto, inevitabilmente, il discorso si allarga e arriva al conflitto di interessi. La stessa famiglia di Cappellacci è (o è stata) curatrice degli interessi economici di Berlusconi in Sardegna (da Villa Certosa a Costa Turchese), e perciò si dovrà esprimere (con quale imparzialità è facilmente immaginabile) su questi aspetti; l’Assessore all’Agricoltura Prato è dirigente dell’impresa agricola ‘Amalatte-Galdhya”, affiliata alla compagnia delle Opere di Comunione e Liberazione. Credo che tutto ciò sia sufficiente per affermare che il conflitto di interessi è diventato un sistema sempre più radicato nella vita politica del nostro paese. Ecco, questo è il modo in cui Cappellacci intende essere il Presidente di tutti. Inutile ribadire che chi non si riconosce in questi programmi e chiacchiere farebbe bene ad organizzare un’opposizione credibile.

4 Commenti a “Programmi e chiacchiere”

  1. Andrea Argiolas scrive:

    Un bell’articolo, molto condivisibile sui contenuti. Ciò che meraviglia, agli occhi di un giovane forse sprovveduto come il sotttoscritto che ha ritrovato il piacere della cosa pubblica regionale grazie alle politche innovative e rivoluzionarie della giunta uscente, è il cono d’ombra in cui continuano a vivere e ad agire certi personaggi citati nel testo.

    Di Renato Soru sappiamo tutto, anche documentazioni e dossier creati ad arte che vengono puntualmente smentiti dalle procure. Mi chiedo, e vi chiedo: perchè il popolo sardo è, nella stragrande maggioranza dei casi, all’oscuro delle attività lobbyste del gruppo Zuncheddu? Perchè i cagliaritani e i sardi in generale sanno poco o niente circa la massoneria e dell’intreccio perverso che continua ad esistere tra interessi economici poggianti su edilizia, sanità e politica?

    La mia sensazione è che nell’informazione sarda, almeno quella legata alla grande distrubuzione e ai media televisivi, vi sia un clima di omertà o timore, quando non di sottomissione o bieco servilismo, che rende la formazione dell’opinione pubblica pericolosamente viziata e potenzialmente gravida di conseguenze per qualsiasi voglia futuro possibile.

  2. Angelo Morittu scrive:

    Forse è arrivato il momento che la sinistra sarda pensi realmente a qualcosa di veramente rivoluzionario, come è, o dovrebbe essere, d’altronde nella sua indole.
    Aspettare che sia DiPietro, Pecoraro, Vendola, Ferrero o Franceschini a confezionare la pozione magica per risolvere i mali della Sardegna è peggio che affidarsi ai cartomanti; ormai è finita da un pezzo l’unità nazionale dei partiti italiani se ognuno di essi sta ipotizzando una propria segmentazione territoriale.
    Lo chiamano federalismo ma sono sempre più convinto che trattasi di fallimento del progetto unitario italiano, la Sardegna per la sua specificità storica, geografica e culturale, deve guidare la propria politica in perfetta indipendenza dall’Italia, senza alcun sentimento negativo nei confronti dell’esperienza italiana.
    La sinistra ha tutte carte in regola, soprattutto nell’esperienza culturale di molti suoi pensatori, per elaborare una prospettiva indipendentista, mentre a volte sembrerebbe che questo argomento per molti sia ancora un tabù.

  3. Marco Ligas scrive:

    Non siamo esperti di pozioni magiche, e crediamo che non le abbiano né i politici né i druidi.
    La tradizione alla quale si richiama il manifesto e dalla quale origina l’Associazione Luigi Pintor non è certo indipendentista, né privilegia l’indipendentismo come soluzione rivoluzionaria al conflitto di classe, che per noi esiste ancora ed è ancora centrale, in forme anche nuove ma non meno brutali e ingiuste.
    E’ certamente vero che a sinistra, e nello stesso pensiero marxista e leninista, il tema è stato affrontato, discusso e proposto teoricamente. Non sono mancati, né mancano nella sostanza i luoghi teorici a tale riguardo.
    La nostra redazione e il nostro sito, sulle tracce storiche del Manifesto e del pensiero pintoriano, è volutamente composita: vi convivono sensibilità e provenienze diverse, testimoniate dagli stessi nomi che partecipano alla redazione, e per certi versi rappresentano una fortunata irregolarità ed un portale….
    Ci viene perciò naturale discutere e cercare di capire come comporre relazioni e analisi a sinistra che sappiano unire concretamente, dove è possibile, le tradizioni diverse della sinistra stessa: entro di essa vi è una significativa e seria riflessione di gruppi indipendentisti, che hanno iniziato, ad esempio, a fare i conti in modo importante con le secche dei nazionalismi manifestando approcci di rilevante importanza sui beni comuni e l’ambiente. A breve perciò, ed in qualche modo lo stiamo già facendo, apriremo su questi temi una riflessione ampia.

  4. Angelo Morittu scrive:

    La tara nazionalistica viene sempre evocata nelle istanze indipendentiste, anche se spesso sarebbe più reale l’esatto contrario, cioè sono i nazionalismi (..buoni?) dei grandi stati nazionali a soffocare le giuste aspirazioni dei popoli annessi spesso per crudeli scherzi del destino, magari ad una mano a carte tra potenti.
    Per quanto attiene: “al conflitto di classe, che per noi esiste ancora ed è ancora centrale, in forme anche nuove ma non meno brutali e ingiuste”, non è forse vero che in Sardegna questo è sostenuto dalle potenti elites economiche, massoniche e clericali con evidentissime radici esterne alla Sardegna?
    Quanto siano forti questi potentati lo hanno dimostrato una volta in più nell’ultima campagna elettorale.
    Quindi ben vengano ampie discussioni “serie”, “laiche” e “non nazionalistiche” sul tema dell’indipendenza della Sardegna, visto che ormai è un tema che appassiona tante persone che mai prima d’ora lo avevano preso in seria considerazione.

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