Merito degli studenti

16 Giugno 2012

Jessica Saba

In questo periodo storico di crisi e tagli, tra l’instabilità dell’economia e le oscillazioni delle borse,  governi tecnici e politiche d’austerity, l’opinione pubblica tende a dare spesso un’importanza secondaria ad alcuni fra i temi che dovrebbero animare la discussione politica di uno Stato attento alle esigenze del suo paese e dei suoi cittadini; in primis, l’istruzione pubblica e la ricerca.
Gli ultimi provvedimenti in materia risalgono all’operato del precedente governo Berlusconi che, attraverso il duplice apporto del Ministero dell’Istruzione e del Ministero delle Finanze, elaborò con faziosi intenti la nota Riforma Gelmini: contenuta in forma embrionale all’interno della Finanziaria sottoscritta dall’ex Ministro Tremonti (legge n°133/2008), prese concretamente forma nei decreti 168/2008 (per la scuola primaria e secondaria) e 240/10 (per l’università e la ricerca), nella più totale assenza di dialogo e confronto tra le parti coinvolte e le istituzioni legiferanti.
Mentre l’OCSE colloca l’Italia al ventisettesimo posto nella graduatoria dei paesi europei per un investimento in istruzione pubblica pari  4,8% del PIL, contro una media europea del 6,1%, assistiamo ormai da quattro anni alla lenta e dolorosa decadenza del settore della conoscenza in Italia, privato di  8 miliardi di euro nel triennio 2008-2011 per far fronte alla crisi mondiale. Tradotto in pratiche concrete, nel mondo universitario ciò significa riduzione, in quantità e qualità, dei servizi agli studenti, tasse che aumentano sproporzionatamente all’efficienza dell’offerta formativa che dà lo stretto necessario -o forse un po’ meno-, aumento delle spese per gli studi che ricadono per l’80% degli studenti sulle loro famiglie. Insomma,  l’Università Pubblica, diventa un surrogato di impresa privata, dove il “sapere” non è concesso a chiunque, ma come per il suffragio universale dei tempi pre-moderni, è soggetto al censo, alla quantità di zeri posseduti dentro un conto in banca: per signora povertà, oggi è fortunato chi ancora il conto lo possiede.
Gli effetti reali dell’applicazione della Riforma si cominciano a vedere ora nell’Ateneo Cagliaritano che, preso il tempo necessario per fare le sue valutazioni, definisce e realizza la struttura della nuova università: molte facoltà vengono amalgamate nei nuovi poli, alcune di queste retrocedono senza un valido motivo allo status di “dipartimento” perdendo la loro sfera di autonomia,  il numero dei docenti viene ridotto fino a lasciare cattedre vuote e c’è chi, per amore dell’insegnamento, continua ad esercitare gratuitamente, mentre  ricercatori sottopagati per il loro mestiere, si vedono costretti a svolgerne un secondo senza vedere nessun aumento nella paga.
Questi cambiamenti sono i primi a manifestarsi e farsi notare perché più immediati e visibili, ma non bisogna fermarsi a queste considerazioni, perché l’istruzione è un servizio e come tale deve essere rivolto ad una platea di soggetti, rappresentati nel concreto dagli studenti.
Giovani e meno giovani intraprendono la carriera universitaria per ottenere una più alta formazione sotto il profilo che scelgono di specializzare, frutto di un’aspirazione innata o di una valutazione in termini di liquidità remunerativa in un futuro lavorativo ormai fin troppo incerto.
Al giorno d’oggi non tutti riescono a concedersi questo semi privilegio, con dei costi per nulla contenuti in varie categorie di spesa: tasse universitarie determinate in base al reddito (ma ad essere maggiormente penalizzate sono le fasce più basse),  acquisto dei manuali (prezzi variabili, anche 60 euro ), libri di approfondimento e fotocopie non sempre accessibili a causa della legge sul Copyright che concede la riproduzione del solo 15% dell’opera; non sono meno incisive le quote per il trasporto (se si tratta di studenti pendolari), dai treni scomodi e pieni fino all’ultimo posto in piedi su due vagoni, al servizio di mobilità in città, inadeguato al costo di un abbonamento studenti  “annuale” (copre 9 mesi e non comprende luglio), oscilla tra i 140 e i 182 euro.
I costi per gli studenti fuori sede, secondo  l’ analisi presentata dal ricercatore Antonio Fadda all’interno del progetto di ricerca Social Welfare Student, si aggirano intorno ai 600 euro mensili, e mettono in evidenza un importo non proprio conforme ad una città che dovrebbe essere universitaria.
Intanto, l’Ente regionale per il diritto allo studio Ersu, non riesce a far fronte a tutte le richieste di borse di studio e fitto casa degli studenti iscritti nell’ateneo: cresce il numero degli idonei non beneficiari che richiedono sempre più i servizi offerti  dalla fondazione (dalla mensa, alla casa dello studente), ma di cui non tutti possono usufruire a causa di una riduzione del 90% ai fondi per le borse di studio (in Sardegna si registra l’importo più basso), e del 95% al Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO). La politica regionale non aiuta, i finanziamenti vengono erogati in ritardo e non viene attuato nessun investimento importante in materia di diritto allo studio in un territorio, quello sardo, in cui i ragazzi sono sempre più costretti a dover emigrare per cercare fortuna, un po’ come negli anni 50’, ma senza la prosperità americana a fortificare le proprie speranze.
I servizi proposti dalle facoltà, che cercano di sopravvivere ai tagli, non sono in linea con le tendenze europee di offerta formativa: Regolamento Didattica vecchio di generazioni, che risulta ormai inadatto alle esigenze dello studente contemporaneo, lezioni frontali che fanno dell’insegnamento teorico l’unico metodo di preparazione, senza  garantire un reale approccio pratico al corso di studi proposto, improbabili corrispondenze tra numero di CFU (crediti formativi) e prove da sostenere,  mentre lauree triennali e specialistiche propongono gli stessi esami a discapito della specializzazione dello studente.
Il nuovo Regolamento Tasse, fonte di aspri dibattiti fra il Rettore e i Rappresentanti degli Studenti nel Senato Accademico, si propone di promuovere esclusivamente un merito distorto, che non tiene conto delle differenti condizioni di partenza degli studenti , che guarda alla media dei CFU annuali, piuttosto che alle effettive competenze acquisite durante il loro percorso formativo.
Uno Stato che investe in istruzione,  secondo le regole base dell’economia, trae benefici attraverso la produzione di esternalità positive, ma forse andare contro tendenza è una caratteristica tipica di questo paese, o probabilmente di chi eleggiamo in Parlamento e nei nostri organi regionali.
Si preferisce trarre risorse dalle categorie deboli, condannare senza motivo un’intera generazione di studenti  ed il futuro della società, privando entrambi di tutte quelle prospettive di miglioramento dettate da una più alta formazione della persona.

La conoscenza dovrebbe essere oggi accessibile e garantita a tutti, così come previsto dagli articoli 33 e 34 della nostra Costituzione, ma l’onere della battaglia per veder messi in pratica dei diritti riconosciuti nella forma, ma non nella sostanza, grava unicamente sulle spalle dei giovani: se non saranno gli studenti a far valere i propri diritti, nessun’altro si prenderà la responsabilità di realizzare l’equità e la giustizia sociale nel campo della conoscenza.

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