Storia e cultura: inutili scarpe vecchie

16 Novembre 2019

Foto di Chiara Caredda

[Ottavio Olita]

L’ossessione di vivere il presente con la presunzione che questo basti a costruire il futuro sta determinando l’abbandono di valori portanti della conoscenza come la storia e la cultura. E la nostra vita collettiva ne paga conseguenze gravissime.

Cos’è il ‘sovranismo’ se non l’illusione che da soli si è capaci di essere protagonisti in un mondo nel quale – senza un serio riequilibrio economico – gli squali continueranno a mangiare i pesci piccoli? E questa folle ossessione di vivere il presente produce fenomeni come quello della Brexit, la costruzione di muri antimmigrazione, rigurgiti di razzismo e antisemitismo, se non addirittura di nazismo.

L’ossessione del presente fa credere a chi non studia o non vuole studiare che la storia sia una scarpa vecchia che fa inciampare, invece di essere utilizzata per camminare con ponderatezza. Inutile se non proprio pericolosa. Così accade che l’ultimo mezzo secolo ci è scivolato addosso senza la necessaria riflessione che avevamo saputo porre per interpretare i primi cinquant’anni del ‘900.

Dalla strage di Piazza Fontana in poi abbiamo vissuto divorando il tempo, senza fermarci, se non brevemente, a ragionare su come quei fenomeni – gli attentati ai treni, il terrorismo ‘nero’ e ‘rosso’, il rapimento Moro, la bomba di Brescia, la strage della stazione di Bologna, gli attentati mafiosi degli anni ’90 – abbiano drasticamente cambiato l’evoluzione democratica del nostro Paese.

E stiamo continuando ancor oggi così. Gli ignobili messaggi contro la senatrice Segre, gli attentati romani contro sedi antifasciste, le volgarità sempre più pesanti messe in campo nel dibattito politico stanno cancellando la tolleranza che solo una cultura non superficiale sa produrre.

In queste condizioni cosa fare? come intervenire? L’abbandono della scuola, della fondamentale funzione della partecipazione, dell’incontro e del confronto fanno vincere soltanto i produttori di slogan. Come inarrestabili macchine pubblicitarie che – grazie anche allo strapotere televisivo – sanno vendere un prodotto senza che si abbia la possibilità di riflettere su cosa in realtà quel prodotto apparentemente appetibile produce.

Ricostruire la politica, ho scritto su queste pagine tempo fa. Dopo di allora è successo soltanto che slogan si è aggiunto a slogan ed è nata ‘Italia Viva’, mentre non c’è stato alcun provvedimento per porre le basi della rinascita culturale di un Paese ormai irriconoscibile. E visto che non ci sono i magnifici mecenati cinquecenteschi per dar vita a un nuovo Rinascimento, chi deve farlo se non lo Stato, i due rami del Parlamento, il Governo?

Non accade nulla di tutto questo perché siamo in perenne campagna elettorale e ci si illude di poter fermare salvinismo e sovranismo con una battaglia di parole. L’Italia che uscì dalle macerie della seconda guerra mondiale lo fece con lungimiranza, pazienza, capacità, coinvolgimento. Le macerie d’oggi sono di diversa natura ma altrettanto devastanti.

Invece di bruciare la storia, bisognerebbe studiarla di più per capire come è stato possibile che in anni di forti contrapposizioni ideologiche questo Paese sia riuscito comunque a ricostruire se stesso, con i fatti, non con gli slogan, pensando realmente ai cittadini invece che limitarsi ad assistere ad una stancante battaglia puntata esclusivamente sul risultato elettorale.

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