Tre perette pecorine

22 Maggio 2023

[Marinella Lőrinczi]

Sopraffatto dal proprio monologo quasi non la vedeva più. In realtà il volto di lei non gli diceva quasi niente. Gli era familiare per quel tanto che Lawrence aveva fantasiosamente classificato come “sardo di tipo eschimese”, alludendo agli occhi obliqui, scuri, nel viso piuttosto tondeggiante di certuni.

La definizione lo aveva colpito, a suo tempo. Sua moglie non aveva nulla di esotico nel taglio degli occhi, ma nel loro chiarore c’erano tutte le insidie, arcane ed attrattive, dell’elemento acqueo e aereo. Occhi di gatto li chiamavano quando era bambino ed erano una rarità esotica ed inquietante dalle sue parti. Ora, dopo tanti anni, lei ci aveva aggiunto, ahimè! – sospirava rassegnato -, quella capigliatura alla moda che pare un’abbondante porzione di spaghetti cotti e scodellati sul capo di influencers politiche e commerciali e chi più ne ha più ne metta… Senza sugo, però…, cos’altro si può aggiungere?

Invece la familiarità impersonale, neutra, di questi occhi qua lo aveva pian piano sollevato dalla fastidiosa tensione iniziale. Per quanto si sforzasse non riusciva, infatti, a ricordare le varie circostanze, assai banali in verità, in cui la donna pretendeva di averlo conosciuto e più volte incontrato. Siccome però si trattava di occasioni in cui erano state presenti tante altre persone, aveva addotto questa scusante per farsi perdonare la freddezza con cui aveva riposto ai festosi saluti di lei. Benché sulla quarantina, la signora si ostinava a dargli del Lei, e questo avrebbe dovuto confermare che si trattava di una sua ex alunna per la quale continuava ad essere il Professore.

Nella sala professori, silenziosa e un po’ buia, avevano conversato a lungo, con molte sospensioni e mezze frasi, all’inizio. In quella giornata di fine agosto la scuola era deserta. Gli insegnanti si stavano godendo gli ultimi giorni di vacanza e soltanto pochi luoghi dell’edificio erano funzionanti. Giù nell’atrio c’era il viavai di studenti e genitori che guardavano con aria seria e preoccupata il diario degli esami di riparazione. Ma quassù c’era soltanto il frusciare dell’albero mosso dal maestrale, della grande acacia già macchiata di giallo, le cui foglie proiettavano nella stanza un rimescolio di ombre e di luci.

Anche questa incessante vibrazione cromatica gli aveva procurato un certo qual malessere simile al mal di mare; un misto di vertigini e di nausea, lievi del resto, che si aggiungevano ai postumi di un caffè ingoiato a stomaco vuoto nel bar di fronte e all’imbarazzo causato dall’ignota conoscente. Per accrescere il suo stupore che oramai non poteva non mascherare, lei era perfettamente al corrente di tutto quello che lo riguardava; ed era appunto per questo che la conversazione, dopo i primi intoppi, procedette con scioltezza.

Gli argomenti andavano sempre più restringendosi intorno a loro due. Dai quartieri natii ai vicinati, dagli anni di studio alle loro famiglie, e da queste alle inevitabili considerazioni generali sul matrimonio, sulla scelta della moglie, del marito, sui problemi con i figli, con i suoceri, coi cognati. Si scoprì così che lei era vedova da un anno, poco più. Il marito, che aveva dovuto molto viaggiare per il mestiere che faceva, dopo centinaia e centinaia di chilometri percorsi colla macchina e dopo tanti incidenti mancati per un pelo, era intoppato in quel cinque millesimo di probabilità ed era morto sul colpo.

Cercò di spiegargli l’orribile senso di vuote che la soffocò per i primi tempi, come se tutt’ad un tratto le fosse sparita nel nulla una parte di se stessa. “Se solo sapesse … Fortunato Lei …”. Il Lei-lui aveva accennato un borbottio di partecipazione, ma la sentiva appena. Suo malgrado si era tuffato in fantasticherie audaci, in un gioco di associazioni e di accorte permute di un elemento alla volta, per immaginarsi scivolare lentamente e fatalmente verso la solitudine con se stesso.

Per lui, come sarebbe stato se fosse …? Se anche a lui fosse capitato …? Oppure, per incominciare daccapo, se non si fosse sposato; oppure se si fosse sposato con una bruna locale, rassicurante, come chi gli stava davanti – la guardò -, che anziché suggerirgli impalpabili e gelidi pericoli, con i suoi occhi scuri sarebbe stata la solida Gea, l’accogliente tana, la caverna primordiale, l’oscurità del pozzo sacro con luccichii di acqua sotterranea … Il gioco oramai era un altro: cercava tutti gli oggetti che avrebbero potuto rappresentare riparo e riposo. Il nuraghe no, gli venne quasi da ridere: donna-nuraghe, che orrore, l’avrebbe stritolato e schiacciato come la statua-fidanzata nel racconto di Mérimée. Lui era professore di francese.

Ecco, pensò con improvvisa rabbia, il morto aveva già cambiato sesso, anche il desiderio è vacillante. “Eh, sì, io sono e rimango sposato.”  “Suvvia, professore, non vorrà mica che sia io a consolarla.” “No, no, mi scusi … scusami, sai, ero sovrappensiero … Stavo pensando, che strano, anche dopo tanti anni, lei, mia moglie, si vede lontano un miglio che non è di qua. Lo si vede persino guandando dalla strada verso la casa. Me lo faceva notare l’altro giorno una vicina. Stende persino la biancheria in un modo diverso. Non l’avrei mai immaginato. Ma non è questo. In fondo sono stato io a volere una forestiera per moglie. Lavoriamo tutti e due. Del resto lo sai. E ci vediamo soprattutto ai pasti. Io quella cucina non la sopporto proprio, non la sopporto più. Mi vergogno, non ci posso fare niente. Ne sono talmente ossessionato che ne parlo con tutti, ora me ne rendo conto … Anche adesso. E’ veramente ridicolo! Il suo attaccamento ai cibi di casa sua è quasi morboso.

Per me alle volte sono cose immangiabili, per non dire disgustose. Chiedo scusa … Non oso più invitare quasi nessuno perché ho paura di dover accogliere gli ospiti con un nauseante odore di … di … crauti, ad esempio. A lei invece non piace il porchetto, se lo dico nessuno ci crede, per non parlare dell’agnello! Pecora, poi, pfui! … Lo scoprirebbe anche se fosse travestita da … da … foca monaca o da salmone. Dall’odore. Le erbe amare, poi. Se sapessi, in casa nostra non entra un carciofo, un filo di cicoria, niente di niente. E’ fissata. Dice che le fanno male. Soprattutto da quando una nostra nipote piccolina si è gravemente intossicata mangiando un seme di albicocca. Mia moglie ne era spaventata ed inorridita. Diceva che a casa sua, da bambina, ne aveva mangiati a manciate, come tutti gli altri bambini. E a nessuno era mai successo niente.

Diceva anche che lei per via di quel seme sarebbe sicuramente morta, perché noi invece siamo immuni alle sostanze tossiche che ci sono in tutti questi amarumi, così li chiama, e lei invece non lo è. Un giorno mi ha fatto vedere una rivista che si fa arrivare da casa sua, non ci capivo un accidente, usano quelle lettere incomprensibili, soprattutto se scritte a mano, lei me l’ha tradotta … secondo me sono tutte stronzate … scusami, ma è troppo inverosimile … proprio pazzesco … Raccontavano che le abitudini alimentari rendono indifferenti certe popolazioni alle sostanza che stenderebbero chi non ha alle spalle generazioni che hanno mangiato allo stesso modo …”. Tirò il fiato e sorrise imbarazzato.

“Mah … sarà poi vero? … io non ci credo … però, sa cosa mi ricorda? Il conte di Montecristo. Lei ce l’aveva fatto leggere fino all’ultima pagina, anche se non faceva che ripetere che la traduzione italiana era zoppicante. Ci aveva fatto disegnare una cartina con tutti i posti dove il conte c’era stato. Però, se ci penso, abbiamo imparato moltissimo sul Mediterraneo, in fondo era stato divertente. E Marsiglia …  e Parigi … Le abbiamo visitate tutte e due sulla carta. E poi, si ricorda?, aveva portato il testo francese e ci faceva capire gli strafalcioni del traduttore … Le risate… Volevo dire, là dove il vecchio … come si chiama … insomma, il nonno di Valentina immunizza lentamente la nipote facendole bere del veleno a piccole dosi, perché è sicuro che la matrigna vorrà avvelenare anche lei e così la salva. Si ricorda?”  “Ma … chissà se questo può succedere … Comunque, quanti ricordi, mi ha fatto piacere chiacchierare così. Non dare troppo peso a quanto ti dicevo. Forse ho esagerato. Mi sono un po’ sfogato. Oh, queste mogli …”

“Oh, questi mariti, bisogna proprio prenderli per la pancia. A proposito … ora mi viene in mente, stavo per andarmene così … sa, ho una zia che ha qualche pecora, e si diverte ogni tanto a fare del formaggio, delle provole, di quelle a forma di pera … Avevo pensato, roba fatta in casa, genuina, come non se ne trova nelle botteghe, con latte di pecora che pascola nei nostri campi, forse l’avrebbe gradita, gliene ho portate tre, una a testa … ”.

E tirò fuori dalla borsa che aveva poggiato per terra, vicino alla sedia, un involto che scartò con cura. Mostrò un piccolo cestino di vimini che sembrava un nido, imbottito con filini di carta velina multicolore, nel quale riposavano tre provolette lucide, gialline, grassottelle. Sembravano tre uova di Pasqua, come quelle che sua moglie tingeva diligentemente con delle polverine speciali, fatte venire apposta e conservate con grande cura da un anno all’altro, e che poi ammonticchiava in un ciotola, tutte quelle uova, e alla fine non sapevano come consumarle, perché era anche economa, lei, ma a lui tutte quelle uova colorate gli stavano sullo stomaco …

“Com’è grazioso!” – disse per ringraziare. “Ma no, non mi ringrazi nemmeno … vedrà che buone … le pecore le portano a un pascolo dove ci sono delle erbe che soltanto questo pastore conosce … così dice lui … e il formaggio ha un sapore tutto speciale.”

“Speriamo che mia moglie non senta anche qui odore di pecora … Scherzavo … Pure a lei piaceranno moltissimo. Sui formaggi non ha niente da ridire.”

Infatti, a casa non ci sono stati problemi per il fatto delle pecore. Anzi. Lui, qualche giorno più tardi cercò sullo scaffale Il conte di Montecristo e rilesse, così, il capitolo dove il vecchio Noirtier, completamente paralizzato e muto, con lo sguardo riesce a spiegare al medico come aveva salvato la sua Biancaneve dal veleno di quella Lucrezia Borgia di sua nuora. Era arrivato ai sintomi di avvelenamento che Valentine accusava, con gli ospiti in casa, quando entrò sua moglie. Era pallidissima, sudata e appena si reggeva in piedi. Quasi avesse delle visioni: pareva Valentine uscita dal libro.

Gli si accasciò tra le braccia, lei che in vita sua non era mai svenuta. La corsa all’ospedale, dopo essere riuscito a sistemare sua moglie sul sedile posteriore della macchina con l’aiuto del vicino, gli costò qualche anno di vita, ma per sua moglie non ci fu niente da fare, nonostante le lavande gastriche e tutto il resto. I medici non ci capivano niente. Parlavano di tossinfezione alimentare di origine ignota, di una specie di indigestione, nello stomaco però erano stati rinvenuti soltanto pochi resti di formaggio.

L’anno dopo, senza nemmeno passare per la Groenlandia, era sposato con una bella eschimese.

Dis-moi ce que tu manges, je te dirai que tu es.

(A. Brillat-Savarin, 1755-1826)

Der Mensch ist, was er ißt.

 ( L. Feuerbach,1804-1872)

Moglie e buoi dei paesi tuoi.

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