Turchia e dintorni: L’Islam da religione a necessità politica

1 Giugno 2021

[Emanuela Locci]

Durante la campagna elettorale che l’avrebbe poi portato a diventare sindaco di Istanbul aveva promesso la costruzione di una grande moschea in una delle piazze più importanti della città, piazza Taksim.

Dopo quasi trenta anni ha mantenuto la promessa e pochi giorni fa ha inaugurato la moschea progettata  dell’architetto Sefik Birkiye e che può ospitare fino a quattromila persone. La moschea di Taksim con i suoi due minareti, la cupola alta 30 metri, vi è poi anche una sala espositiva, una biblioteca, un parcheggio e una mensa per i poveri, sovrasta piazza Taksim considerata da molti il simbolo della lotta repubblicana e della nascita dalle ceneri dell’ex impero ottomano di una nuova Turchia, moderna e laica.

Nella piazza è presente il monumento all’Indipendenza con la statua del fondatore della Repubblica turca, Mustafa Kemal Atatürk, rappresentato come comandante militare e come statista. L’opera fu progettata dall’italiano Pietro Canonica e inaugurata nel 1928.  Il centro culturale Atatürk, che dominava la parte orientale della piazza, invece è stato demolito, al suo posto sorgerà un  museo.

Mustafa Kemal Atatürk, la sua storia, la storia della Turchia, oggi tutto questo sembra lontano anni luce. Come sembrano lontane anni luce le proteste che nel 2013 interessarono proprio quella piazza e il parco adiacente.

Venerdì scorso si è tenuta l’inaugurazione di questa nuova manifestazione della deriva pseudo islamica del paese. Tutto nella cornice della preghiera del venerdì, giusto per non cadere in equivoco sulle tempistiche.

Il progetto di una moschea a Taksim, non era nuovo alla classe politica turca, una prima richiesta era stata avviata nel 1965, ma il progetto ha sempre incontrato nel tempo la forte opposizione dell’opposizione e della parte politica più laica.

Ma perché si è deciso proprio ora di velocizzare i lavori e portare a termine il progetto, iniziato nel 2017 e portato avanti con qualche difficoltà?

Ormai da alcuni anni si è notata una virata del governo dell’Akp verso gli ambienti islamici. Oggi più che mai la vicinanza tra il governo e questi ambient è documentata e vincolante per il governo stesso.

L’Islam è diventato una pedina nel grande gioco della scalata e del mantenimento del potere, quest’ultima fase ben più difficile della prima, infatti riuscire, malgrado le difficoltà, a detenere il potere politico per un periodo così lungo, stiamo parlando di circa venti anni, non è impresa da poco.

La situazione politica attuale è la seguente: il presidente Erdogan è dato perdente di consensi in tutti i sondaggi, ciò per una serie di ragioni, che vanno dall’apprezzamento personale, fino alla gestione della pandemia, per non parlare della precaria situazione economica in cui si trova la Turchia. Eppure Erdogan è ancora lì. Vacilla ma non cade. Non è servito neanche il tentato colpo di stato del luglio 2016.

Il suo governo è sorretto e puntellato efficacemente dal partito ultranazionalista e dagli ambienti islamici più tradizionali, e cosa può esserci di meglio? Quale viatico migliore, che funga anche da collante per tutta una nazione che inaugurare una nuova moschea di cui il popolo secondo il presidente “sentiva la necessità”.

A più sembra invece che sia il governo a sentire la necessità di compiacere una parte della popolazione orientata religiosamente, in un periodo in cui la religione viene strumentalizzata senza remore da un potere politico traballante.

Una cosa è certa, anche se passa del tempo Erdogan mantiene le promesse alla sua base elettorale.

Questo dovrebbe farci riflettere tutti.

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